GLORIOSI (Glorioso), Giovanni Camillo
Nacque nel 1572, forse a Gauro, allora territorio di Giffoni (e di Giffoni si disse il G.), oggi di Montecorvino Rovella, presso Salerno. I nomi dei genitori sono ignoti; la famiglia apparteneva alla piccola nobiltà (Sovero disse del G. "cognomen accepit splendidum, splendorem nullum").
Nel 1595, a Napoli, il G. era in rapporto con il collegio gesuitico, dove forse aveva studiato (ebbe lauree in filosofia e teologia, che conseguì probabilmente nello Studio cittadino). Così la formazione in matematica, suo interesse precipuo, gli venne da gesuiti (V. Figliucci o G.G. Staserio) o, poiché non era insegnata nell'Università, da docenti privati quali G.P. Vernalione o N.A. Stelliola; tuttavia non lo si ritrova mai menzionato con questi ultimi e, pur lontano dal dogmatismo aristotelico, non ne seguì l'eterodossia filosofica. Indicò, invece, la base della propria preparazione nelle opere di C. Clavio.
Nel 1604 un frate, Costanzo da Cascio, chiese a Galileo Galilei di aiutare il G. a ottenere una lettura di matematica; poco dopo seguì una lettera del G. che allora non ebbe esito, ma avviò un rapporto. Entro il 1606 il G. si stabilì a Venezia. Secondo A. Favaro, prima di questa data incontrò a Roma Clavio e J. Schreck, ma quest'ultimo dal 1605 era all'estero (l'incontro avvenne poi, in effetti, nel 1609 o 1610); quanto a Clavio, una lettera del G. del 1608 mostra che non lo conosceva, né sembra che lo incontrasse poi. In Veneto, il G. frequentò Galileo, P. Sarpi, G.F. Sagredo, A. Santini; dal 1614 fu in amicizia con M. Ghetaldi. Tentò di ottenere una lettura di matematica a Venezia o un duplicato di quella di Galileo a Padova e insegnò privatamente anche a Sagredo e a G. Fugger, inviato imperiale. Lettere e lavori editi in seguito mostrano che Schreck, Santini e Ghetaldi avviarono il G. all'algebra recente e al suo uso in geometria, seguendo l'indirizzo di F. Viète. I suoi lavori, pur frammentari, sormontarono i metodi classici persistenti in Galileo, ponendosi nella fase preparatoria della geometria analitica in forme soprattutto teoriche (a Sagredo parve "freddo in agibilibus", Galilei, XI, p. 505). Il rapporto con Galileo, pur cordiale e non scevro di stima, coesisté nel G. con riserve sul valore dei contributi astronomici del toscano. Si è parlato di invidia e incomprensione, mentre il suo caso mostra la vaghezza di dicotomie tra "amici" e "nemici" di Galileo: orgoglioso, il G. tenne a dirsi ingegno libero e, più che chiusura, i suoi giudizi sulle tesi galileiane rivelano fastidio per un supposto protagonismo (scrisse che la natura "terrestre" della Luna era tesi greca, e che le prove recenti di un Universo più ampio di quello tradizionale non erano novità radicali).
Nel 1610 il G. si candidò a succedere a Galileo. Allo scopo effettuò la prima pubblicazione, su un quesito geometrico postogli dal patrizio Agostino Da Mula per incarico del Sarpi (richiesto di sondare la sua competenza) e su una proposizione di Diofanto. L'opuscolo (Ad problema geometricum Ioannis Camilli Gloriosi responsum. Huic subnectitur solutio hactenus desiderata prop. 19 lib. 2 arithmeticorum Diophanti Alexandrini ex unica tantum facta hypostasi, pubblicato a Venezia nel 1613; ma alcuni esemplari sono titolati Ad theorema geometricum a nobilissimo viro propositum, Ioannis Camilli Gloriosi responsum) fu poi rifuso nelle Exercitationes (I, 1 e 8). Nell'ottobre 1613 il G. ebbe la nomina (con il favore di Galileo - che ringraziò - e, disse, con l'opposizione del Sarpi). Lasciò la cattedra nel 1622, perché il governo veneto lo riconfermò con uno stipendio che ritenne inadeguato; il fatto destò scalpore, perché il G. si appellò al doge e cessò le lezioni quand'era ancora in carica (sulla vicenda le versioni del G. e del successore B. Sovero contrastano). Del suo insegnamento restano documenti amministrativi, ma quasi nessuno didattico; il rotulus del 1622-23 suggerisce che il G. seguì l'usuale alternanza biennale tra Elementi euclidei e "sfera" e temi applicativi (Padova, Arch. antico dell'Università, Mss., 679, c. 107v: "Leget librum 5 Euclidis et lib. de sphaera diebus alternis"). Ancor meno nota è la vita privata; secondo G.F. Tommasini, amico e biografo, il G. frequentò librerie e circoli colti, e fu stimato dal più noto docente padovano di filosofia, C. Cremonini, pur dottrinalmente ben più conservatore. Le opere accennano a viaggi nell'Italia settentrionale.
Lasciato l'insegnamento, il G. decise di tornare a Napoli, ma si trattenne nel Veneto fino al 1624 per stampare la De cometis dissertatio astronomico-physica habita in Gymnasio Patavino anno Domini MDCXIX… in qua per triplices, easque celebriores hypotheses ultro citroque disputatur (Venezia 1624).
Ampliando lezioni su una cometa del 1618, oggetto di un'ampia letteratura, il G. esibisce conoscenze aggiornate (molti i rinvii a Keplero); pur senza la generalità e la brillantezza di Galileo, critica le basi del cosmo tradizionale (ma non si mostra copernicano, come detto talora). Cita il discorso di O. Grassi sulla cometa, la risposta di M. Guiducci, ispirata da Galileo, e la replica di Grassi, ma non il Saggiatore. Contro Guiducci e Galileo usa la parallasse a prova della natura astrale delle comete ed echeggia voci sull'esistenza del telescopio dagli inizi del secolo XVI, sminuendo il ruolo di Galileo.
Questi seppe delle lezioni del G. già nel 1620; avuta l'opera dall'autore, non accusò ricevuta (lo stesso fece per la prima deca delle Exercitationes) né inviò il Dialogo sopra i due massimi sistemi al G., che nel 1633 glielo chiese ma non poté averlo, per l'intervenuta proibizione. Più critico il G. fu sul De novis astris, et cometis (Venezia 1622) di F. Liceti, lettore di filosofia a Padova ed ex collega, che spiegava i nuovi dati nel quadro aristotelico. Ne nacque una polemica che amici comuni non seppero sedare: nelle Controversiae de cometarum quiete, loco boreali sine occasu, parallaxi Aristotelea, sede caelesti, et exacta theoria peripatetica (ibid. 1625) Liceti attaccò il G. anche sul piano personale, ribadendo che parte dei nuovi dati era compatibile con i principi di Aristotele. Mosso da un geloso senso della dignità, il G. (Responsio ad controversias de cometis peripateticas, seu potius ad calumnias, et mendacia cuiusdam peripatetici, ibid. 1626) rinfacciò all'avversario forzature filologiche ed errori. Liceti controreplicò in uno Scholium al De intellectu agente (Padova 1627), cui seguì la risposta definitiva del G. in appendice alla sua Responsio a Sovero (Napoli 1630). La polemica con quest'ultimo, suo successore a Padova, nacque da alcune osservazioni rivoltegli dal G. nella Responsio al Liceti. Con toni più urbani e argomenti più sostanziali del Liceti, Sovero replicò nel libro II della Curvi ac recti proportio… promota, designando il G. come C. Mallius Eudoxus (anagramma del nome e grecizzazione del cognome). Egli ritenne che le critiche del G. nascessero dalla convinzione che, mostrandosi disposto a succedergli sulla cattedra, Sovero aveva offerto agli amministratori dello Studio un'alternativa, che aveva loro permesso di respingere le richieste retributive del Gloriosi. Secondo la versione del gesuita, per mostrare che il rivale era impari al ruolo, il G. gli avrebbe indirizzato un problema geometrico, che però Sovero avrebbe subito risolto, inviandone poi a sua volta uno al G., che non sarebbe riuscito a fare altrettanto. Sovero espose poi in modo sfavorevole al G. i fatti relativi alla sua rinuncia alla cattedra e segnalò pecche nelle sue dimostrazioni del 1613. Il G. fu così indotto alla Responsio ad vindicias Bartholomaei Soveri (ibid. 1630), che fornì una sua versione di quella vicenda, dette una soluzione del problema di Sovero e rivolse critiche a teoremi della Proportio.
Dall'estate o dall'autunno del 1624 il G. visse a Napoli da privato gentiluomo. Non risulta, come asserito da alcuni, che insegnasse, né che formasse una famiglia; visse - o fu vicino - con un nipote, coerede del patrimonio familiare. Solo nel 1628 accettò di candidarsi per una cattedra di matematica a Bologna, ma poi - forse deluso dall'offerta economica - si defilò (fu scelto B. Cavalieri). Riprese le relazioni con i matematici gesuiti napoletani (il citato Staserio e allievi: G.B. Trotta, F.A. Camassa, G.B. Zupi) e con intellettuali quali A. Gallo, vescovo di Massa, e il linceo F. Colonna; influì forse su G.A. Borelli e corrispose con i nuclei scientifici di Padova, Venezia, Bologna, con i matematici del Collegio romano (una lettera ad A. Kircher del maggio 1640 è in Roma, Arch. dell'Università Gregoriana, Mss., 557b, cc. 387r-388v) e con M. Ghetaldi. Restano quattro lettere del G. a Galileo (1624-35: in una espresse solidarietà per la vicenda inquisitoriale) e una di Galileo a lui (ottobre 1635), interessante scientificamente perché contraria alla tesi del G. sulla realtà dell'angolo di contingenza o contatto (cfr. Exercitationes mathematicae, II, 6), che il G. pubblicò in una replica nella stessa opera (III, 8). Nelle Exercitationes sono incluse anche parti di un commento alle Notae scritte da Viète alla propria Logistica speciosa, che il G. aveva avuto dal Ghetaldi nel 1620. Rinunciò però a pubblicare le Notae vietiane con il suo intero commento, quando ne apparve un'edizione francese.
Le Exercitationes, il suo lavoro più ampio e importante, sono una raccolta di schede (teoremi, problemi, chiarimenti di luoghi di classici, risposte a quesiti), già avviata nel Veneto e divisa in più volumi, ognuno con dieci schede; da ciò la denominazione di deche e la genericità del titolo: Exercitationum mathematicarum decas prima. In qua continentur varia et theoremata et problemata, tum… ad solvendum proposita, tum… inter legendum animadversa, ibid. 1627; Exercitationum mathematicarum decas secunda…, ibid. 1635; Exercitationum mathematicarum decas tertia…, ibid. 1639.
Pur sviluppata per circa un trentennio, aggiornando progressivamente le questioni e gli autori di riferimento, l'opera mantiene i caratteri originari della cultura matematica dell'autore (assenti il metodo di Cavalieri e la geometria analitica). Nel prevalere della matematica pura (temi algebrici e geometrici, i secondi derivati da Euclide, Archimede, Apollonio e Pappo, trattati in termini tradizionali o algebrici), si danno anche questioni astronomiche e ottiche. Anche a queste, tuttavia, il G. guarda sempre soprattutto da matematico, più attento alle metodiche dimostrative e di calcolo che alla strumentazione e alla natura fisica dei fenomeni misurati. Nonostante il relativo isolamento dell'autore, le Exercitationes circolarono anche fuori dall'Italia (vi si riferiscono gli epistolari di M. Mersenne, H. Oldenburg, C. Huygens).
Nel secondo periodo napoletano vennero altre polemiche, con il cesenate S. Chiaramonti e con il medico anconetano B. Maghetti. Il G. aveva mosso rilievi al primo nel De cometis (III, 8), e nelle Exercitationes (II, 1) ne mosse altri al suo De tribus novis stellis (Cesena 1628), che era una difesa del quadro aristotelico, seppure in termini diversi da quelli del Liceti. Chiaramonti replicò al De cometis nel De sede sublunari cometarum (Amsterdam 1636), e alle Exercitationes nello Examen censurae Ioan. Camilli Gloriosi in librum de tribus novis stellis (Firenze 1636), cui il G. rispose a sua volta con la Castigatio examinis Scipionis Claramontii in secundam decadem Io. Camilli Gloriosi (Napoli 1637). Alla controreplica del cesenate (Castigatio Io. C. Gloriosi adversus Scipionem Claramontium castigata, Cesena 1638) il G. reagì ancora nella Responsio… ad apologiam Benedicti Maghetti. Item responsio eiusdem ad Scipionem Claramontium (Napoli 1641). In questo testo, pensato per una quarta deca di Exercitationes mai edita, il G. polemizzò anche con il Maghetti che aveva rivolto ai matematici nove quesiti. Si è ritenuto che Maghetti fosse il prestanome, o lo pseudonimo, di un religioso palermitano, P. Emmanuele, ma non vi è prova che non sia l'autore reale. Risolti i quesiti nelle Exercitationes (III, 5-8) adattando un metodo di S. Stevin per estrarre le radici dei polinomi, il G. criticò le soluzioni divulgate da Maghetti o Emmanuele (Analisi, o risolutione de quesiti altre volte stampati, Ancona 1639). Alla replica (Apologia di Benedetto Maghetti d'Assisi, ibid. 1640), reagì aspramente nella Responsio.
Dopo il 1630 il G. lamentò ostacoli all'impegno scientifico, scrivendo a Galileo di una vertenza giudiziaria con il nipote, i cui atti - se reperiti - potrebbero fornire dati sulla famiglia. Alla sua morte, lo stesso nipote "bibliothecam relictam quingentorum aureorum pretio vendidit Proregi Neapolitano qui in Hispaniam transtulit" (Tommasini, p. 313); i volumi non sono stati localizzati.
Il G. si spense a Napoli l'8 genn. 1643.
Fonti e Bibl.: B. Sovero, Curvi et recti proportio… promota, Patavii 1630; Edizione nazionale delle opere di G. Galilei, I-XX, Firenze 1890-1909; XX, ad indicem; C. Clavius, Corrispondenza, a cura di U. Baldini - P.D. Napolitani, VI, Pisa 1992, 1, pp. 77 s.; 2, pp. 43-45; G.F. Tommasini, Elogia virorum literis et sapientia illustrium, Patavii 1644, pp. 311-313; Giornale de' letterati d'Italia, XX (1715), pp. 225 s.; A. Favaro, Amici e corrispondenti di Galileo Galilei, IX, G.C. G., in Atti del R. Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, LXIII (1903-04), 2, pp. 1-48; Id., I successori di Galileo nello Studio di Padova, in Nuovo Archivio veneto, n.s., XXIII (1917), pp. 100-107; P.P. Bockstaele, Adrianus Romanus and G.C. G. on isoperimetric figures, in Mathematical perspectives, a cura di J.W. Dauben, New York 1981, pp. 1-11; P.D. Napolitani, Galilei e due matematici napoletani: L. Valerio e G.C. G., in Galileo e Napoli, a cura di F. Lomonaco - M. Torrini, Napoli 1987, pp. 172-190, 192-195; R. Gatto, Tra scienza e immaginazione. Le matematiche presso il collegio gesuitico napoletano, Firenze 1994, pp. 154-157; U. Baldini, Libri appartenuti a G.A. Borelli, in Filosofia e scienze nella Sicilia dei secoli XVI e XVII, a cura di C. Dollo, Catania 1996, pp. 197 s., 216.