CAPIS, Giovanni
Vissuto fra il sec. XVI e XVII, appartenne a un'illustre famiglia ossolana.
Nel '400 viveva un Matteo Capis, da cui discese un Giovanni (che, rimasto vedovo, divenne canonico), padre di Caterina e Matteo; da questo Matteo discese un altro Matteo, medico, e il C., padre di Giovanni Matteo (1617-91, che coprì cariche importanti nella curia di Mattarella, e lasciò le sue sostanze al Calvario di Domodossola) e di Francesco, frate minore.
Il C. studiò leggi a Pavia, e, rientrato poi a Domodossola, fu eletto nei comizi generali a difendere (ciò che fece con successo) i privilegi ossolani, contro l'infeudamento concordato fra il re di Spagna e il ducato di Milano (Scaciga, 1842, pp. 226-29). Dal 1612 ebbe funzioni importanti per incarico del tribunale di Sanità di Milano, durante i timori provocati dalla peste.
Si dedicò anche allo studio della storia patria, basandosi non solo sugli scritti Novaria di Carlo Bascapè vescovo di Novara, e su un Sommario di memorie di guerre...di Bernardino della Porta, ma anche sull'esame diretto di documenti, privilegi, ecc., che egli stesso veniva raccogliendo e vagliando. L'opera che produsse si intitola: Memorie della corte di Mattarella O sia del Borgo di Duomo d'Ossola et sua giurisdittione, e inizia con una "Lettera dell'Autore à Paesani", datata 1º marzo 1631; essa fu stampata a Milano da Giuseppe Garibaldi nel 1673, ad opera del figlio del C., Giovanni Matteo, che le premise una dedica al conte Vitaliano Borromeo datata 20 giugno 1671, e con una prefazione dell'altro figlio Francesco. Fra la dedica e la prefazione, dovute ai due figli, e la "Lettera dell'Autore à Paesani", si legge un Sonetto di Matteo Capis,dottore in medicina,in lode dell'autore suo fratello, ove il C. è ricordato anche per l'attività di linguista, attività della quale, peraltro, non sappiamo, di preciso, praticamente nulla.
Mentre studiava leggi a Pavia il C. compose una raccolta di parole milanesi, discutendone le origini e (secondo l'uso allora diffuso di cercare etimologie greche, latine o ebraiche che nobilitassero i termini dei vernacoli romanzi) ritrovandole, per la maggior parte, in espressioni greche e latine.
Quest'opera, nota col titolo Varon milanes de la lengua da Milan, ci è accessibile in un'edizione milanese di Gio. Iacomo Como, del 1606, in cui è seguita dal Prissian da Milan de la parnonzia milanesa, prezioso trattatello in milanese, sulla pronuncia milanese, di G. A. Biffi, destinato, dice l'editore, a chiarire il modo in cui bisognava pronunciare le parole citate nel Varon. Il Varon e il Prissian furono ristampati insieme più volte e furono associati e spesso confusi l'uno con l'altro nei secoli successivi. L'edizione del 1606 reca una dedica di G. I. Como "All'Illustre Signor Hercole Galarato" e una prefazione dello stesso Como "A gli onorati lettori". La dedica, datata 6 marzo 1606, spiega come il Como abbia convinto Ignazio Albani a lasciargli stampare, ancorché imperfetto, "quel libretto delle parole Milanese" che "haveva nelle mani per emendarlo et accrescerlo"; la prefazione spiega come G. A. Biffi sia stato convinto a ragionare sulla pronuncia milanese per illustrare il Varon, ché altrimenti "non tutti haverebbono saputo pronuntiarlo come bisognava". Fra la dedica e la prefazione si trovano nove interessanti composizioni poetiche in milanese, riguardanti il libro. Il Varon occupa, nell'edizione del 1606, le pp. 1-54, e consiste di un'introduzione (presumibilmente di Ignazio Albani) a p. 1, di una lista di oltre 500 parole milanesi, in ordine alfabetico, con traduzione italiana (pp. 2-28), e di una Esplicatione de i vocaboli milanesi, con meno di 200 lemmi, di cui si ricercano le etimologie (pp. 29-54).
Nell'introduzione si spiega che la "nova raccolta delle parole milanesi, ... fatta da un nobilissimo spirito, e stampata dal Bartoli in Pavia", indusse l'autore di questa nuova versione ad accrescerla: "E così scelsi dall'opera tutto ciò che mi piacque, e gli aggiunsi quelle voci che per allora d'improviso mi soggiunsero nella mente. E dichiaratele tutte le adornai di espositioni intorno all'origine loro, parte togliendone delle sue, parte mutando, ò accrescendo, e parte di nove. E tutto ridussi sott'ordine d'Alfabetto". A ciò il rielaboratore (per quanto sappiamo I. Albani) fu indotto anche dal fatto "che quell'honoratissimo ingegno dell'Autore asceso al Dottorato s'era rivolto à studi più gravi". Qui si parla evidentemente del Capis. È comunque chiaro che l'edizione del 1606 differisce in maniera radicale dall'opera originaria del Capis. Purtroppo l'edizione pavese curata dal Bartoli è risultata irreperibile.
La situazione è ulteriormente complicata dal fatto che, oltre che all'Albani, la rielaborazione del Varon fu attribuita (per la prima volta, sembra, dal Picinelli, pp. 368 s.) a Giuseppe Milani, altro letterato attivo a Milano all'inizio del '600; la vita del Milani appare presso questo autore curiosamente non dissimile da quella del Biffi. Il Picinelli scrive che il Milani stampò un libro intitolato Varon... ò sia Priscian. La notizia pare evidentemente errata; ma si ignora se essa risalga al Picinelli o ad altri, e su che cosa si fondi; essa si trova riprodotta nel Cotta (pp. 141 s.), secondo cui il Milani avrebbe rifatto il Varon del C., intitolandolo Prissian; nell'Argelati (I, 2, col. 277; II, 1, col. 926: Varon... sive Priscian) e in altri repertori. In D. Balestrieri si legge (La Badia di Meneghitt [sic], Milano 1760, p. 36): "Ignazi Alban, o, come vocur quaeighedun d'olter, Isepp Mìlan, l'è el noster Varon Milanes", e in C.A. Tanzi (Poesie, Milano 1765, p. 94): "el nost Varon / Quel che on moderna Autoron / Pretend ch'el sippia Isepp Milan / Se ben l'ha nomm Ignazi Alban". Il Cherubini (Collezione..., I, pp. 25 s.) arriva a un compromesso: il Varon fu scritto dal C., arricchito dal Milani, e infine emendato e stampato nel 1606 dall'Albani. La notizia del Cherubini venne poi abitualmente ripresa nel corso dell'Ottocento e del Novecento. Allo stato delle attuali conoscenze chi scrive ritiene che il testo che possediamo sia da attribuire all'Albani. Il nostro maggiore esperto di storia della letteratura milanese, D. Isella, parla, nel 1959, del C. come "presunto autore" del Varon.
Quali che siano i problemi di attribuzione è certo che il Varon occupa un posto centrale fra i penati della tradizione locale milanese. L'opera è ripetutamente citata dal Tanzi e dal Balestrieri, ed è coinvolta nella cosiddetta polemica "brandana". Il padre Paolo Onofrio Branda nel suo dialogo Della lingua toscana, Milano 1759, ironizzava sui "Dotti Varoni, i sottili investigatori delle più ascose, e riposte origini de' vocaboli, e de' proverbj" locali (p. 19); poi, dopo un diluvio di proteste, nel Dialogosecondo, Milano 1760, p. 17, sosteneva che gli altri, e non lui, avevano tirato in mezzo il "Varrone Milanese". Notava allora il Parini (A padre D. Paolo Onofrio Branda… prete Giuseppe Parini milanese, Milano 1760, pp. 46-52) che se nel secondo dialogo il Branda scrive "Varrone", nel primo aveva scritto "Dotti Varoni" con una r: voleva "alludere a quel nostro libro intitolato Varon Milanes; e insieme a tutti coloro, che come l'Autore di quel libro, si applicano allo studio della nostra lingua" (p. 51). Va anche notato che se il testo del Varon fuapprezzato e utilizzato nella tradizione dialettologica che va dal Cherubini al Rajna e al Salvioni, esso non è ancora stato studiato come merita, sia in quanto documento linguistico, sia in quanto testimonianza importante di un capitolo della storia del pensiero linguistico e della cultura in generale nella prima metà del sec. XVII.
Opere. Delle Memorie della corte di Mattarella (1631, e stampata nel 1673) siha un'edizione moderna, con prefazione di G. Bustico, Novara 1918. A.Sorbelli nel vol. XXXIV degli Inventari del Mazzatinti, Firenze 1926, p. 163, cita nella sezione di Domodossola, a cura di G. Bustico, un ms. settecentesco delle Memorie, "accresciuteda un amico del paese" (forse Paolo Della Silva). Il Varon, oltre che nell'edizione citata del 1606, ci ènoto nella ristampa di G. Marelli, Milano 1750, nella Collezione del Cherubini, I, pp. 23-74; nell'Antologiameneghina di F. Fontana, Bellinzona 1900, pp. 63-73.
Bibl.: F. Picinelli, Ateneo dei letter. milanesi, Milano 1670, pp. 368 a.; L. A. Cotta, Museo novarese, Milano 1701, II, pp. 141 s.; F. Argelati, Bibliotheca scriptorum Mediolanensium, I, 2, Mediolani 1745, col. 277; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 2, Brescia 1760, p. 1214; F. Cherubini, Collez. delle migliori opere scritte in dialetto milanese, I, Milano 1516, pp. 25 s., F. Cherubini, Vocab. milanese, I, Milano 1839: pp. VII, XXVI, XXXVIII; V, ibid. 1856, pp. 284, 303; F. Scaciga della Silva, St. di Val d'Ossola, Vigevano 1842, pp. 226-31; Id., Vite d'Ossolani illustri, Domodossola 1847, p. 133; G. Melzi, Diz.di opere anonime..., III, Milano1859, pp. 195 s.; G. B. Finazzi, Notizie biogr. raccolte ad illustr. della bibliografia novarese, Novara 1890, p. 31; G. Bustico, prefaz. alla riediz. delle Memorie, Novara 1919; A. Ottolini, in C. Porta, Poesie, a cura di A. Ottolini, Milano 1927, p. 271; G. Rotondi, La biblioteca di C. M. Maggi, in Rend. d. Ist. lombardo, s. 2, I-XIII (1930), p. 502; D. Isella, in C. Porta, Poesie, a cura di D. Isella, Milano-Napoli 1959, p. 37; G. C. Lepschy, Una fonologia milanese del 1606, in L'Italia dialettale, XXVIII(1965), pp. 143-50.