CAPPONI, Giovanni
Nacque a Porretta (Bologna) nel 1586 da Guidotto e da Pellegrina Berti: modenese per parte di madre e di origine fiorentina per ascendenza paterna. Compì i primi studi letterari nella città natale sotto la guida dello zio Giovan Matteo Capponi perfezionandosi poi nella conoscenza della cultura greca e latina sotto la guida di un altro zio paterno, Pellegrino; fu quindi mandato a Bologna, dove apprese in casa di Flaminio Rota, medico e pubblico lettore di fisica, qualche nozione di medicina pratica e di astrologia. A questa educazione di tipo tradizionale il C. aggiungeva una particolare disposizione per la poesia nonché una precoce abilità tecnica che lo posero ben presto al centro dell'ambiente accademico cittadino e gli dettero la possibilità di intrattenere rapporti letterari con alcuni dei personaggi più rappresentativi della sua età, quali Giambattista Marino, il Guarini, Francesco Bracciolini.
Già alla piccola Accademia degli Instabili che si radunava intorno a Pellegrino Capponi egli aveva partecipato col nome di Volubile stringendo amicizia col poeta Cesare Rinaldi; poi organizzò in casa di Filippo Certani un altro gruppo di letterati ai quali diede il nome di Selvaggi. Frutto di questa prima attività culturale furono una raccolta di poesie pubblicata a Bologna nel 1606 sotto il titolo di Oziose occupazioni con dedica al senatore Galeazzo Paleotti, e una favola pastorale: Tirinto, data alle stampe nel 1697 a Bologna con dedica all'amico e mecenate Filippo Certani e rappresentata nel 1607 nell'Accademia di cui il giovane autore faceva parte.
I contrasti con la famiglia, cui sembra che tali occupazioni non andassero interamente a genio, lo consigliarono a sospendere per qualche tempo l'attività poetica e a dedicarsi maggiormente agli studi di medicina in cui si addottorò presso lo Studio bolognese. Ma intanto l'amicizia stretta con un influente mecenate, il cardinale legato di Romagna Bonifacio Caetani, gli assicurava di poter continuare nel brillante esercizio di poeta, e al cardinale, cultore egli stesso di letteratura, dedicò nel 1609 l'idillio Leucotoe nonché la prima e la seconda parte delle Rime impresse nello stesso anno a Venezia. Il potente prelato figurerà come protagonista di un fastoso panegirico del C. dato alle stampe in Bologna nel 1616 col titolo di Urania. Al conte della Porretta Annibale Ranuzzi sono invece dedicate le Egloghe boscherecce e marittime, Venezia 1609, mentre a Giovan Battista Grimaldi appare indirizzato l'idillio I Bombici, stampato dal Benacci a Bologna nel 1610.
A questo punto dell'intensa attività poetica del C. cade l'episodio che servì a renderlo più famoso e che, comunque contribuisce a definire la sua personalità in uno specifico clima della cultura italiana secentesca. Ferrante Carli, sotto lo pseudonimo di Andrea dell'Arca, aveva criticato il sonetto del Marino "Obelischi pomposi all'ossa alzaro" premesso al poema su s. Maria Egiziaca di Raffaele Robbia, e la censura del Carli provocò, come spesso accade nella biografia del Marino, una chiassosa polemica in favore del più celebre autore del tempo. Fra gli scrittori che si mossero per difendere il Marino, capeggiati da Ludovico Tesauro, si inserì anche il C., che dettò sull'argomento un'astiosa Lettera diGirolamo Clavigero [pseudonimo scelto per l'occasione] scritta ad un suo amico a Bologna in materia dell'Esamina del conte Andrea dell'Arca intorno alle ragioni del conte Lodovico Tesauro in difesa di un sonettodel Cavaliero Marino, Bologna 1614.
Il Marino mostrò di ritenere per buona la difesa del bolognese, tessendone le lodi in una lettera del 24 dic. 1614indirizzata allo stesso Carli: "...deve sapere ch'è una scrittura molto salsa e pungente, composta da spirito assai vivace e che vale oltremodo nelle cose satiriche e nelle burlesche". Questo giudizio positivo sul C. il Marino lo ribadiva ancora scrivendo da Parigi a Claudio Achillini nel 1620, e da parte dello scrittore bolognese si può altrettanto affermare che l'ammirazione per l'autore dell'Adone non venne mai meno, fino ad intervenire nella polemica sul poema con Le Staffate date al cavaliere Tommaso Stigliani per aver mal ragionato contro l'Adone del Cavalier Marino, Francfort (ma Bologna) 1638.I rapporti diretti col Marino servirono evidentemente a chiarire le intenzioni poetiche del Capponi. Marinistica è la favola boschereccia Urania (Bologna 1616) e marinistica, come stile e quanto ai motivi ispiratori, è la raccolta di Idilli che l'autore provvedeva a pubblicare nel corso dello stesso anno a Venezia, in parte ristampando componimenti già editi (I Bombici, Leucotoe), in parte includendo nuove composizioni (Aci, Terminda, Armando moribondo, Testamento di Clori, Sogno). Di nuovo, col titolo di Euterpe, verranno ristampati a Milano nel 1619 gli Idilli del C. "corretti ed accresciuti alla memoria di Bonifazio Cardinale Gaetano".
Nel 1617 il C. si trasferì a Torino presso la corte di Carlo Emanuele di Savoia, dove compose l'Arione, dramma rappresentato in musica per le nozze del principe Vittorio Amedeo con Cristina di Francia (1618); poi accettò l'invito rivoltogli da Scipione Gonzaga principe di Bozzolo di passare ai suoi servigi in qualità di medico e di consigliere (e sembra che in questo periodo egli si trovasse in mezzo ai contrasti che scoppiarono tra il principe e Ferdinando Gonzaga, duca di Mantova, il cui fratello Vincenzo, che poi gli successe nel ducato, dopo aver rinunciato allaporpora, aveva sposato Isabella, madre del principe di Bozzolo). Forse nutrita dalla pratica di consigliere di corte, ma più probabilmente derivata dalla matrice letteraria di uno dei "generi" più famosi dell'epoca, apparve del C. a Venezia una Lettura di Parnaso (1620) che dette all'autore una notevole rinomanza come scrittore politico. Ad un'altra attività aveva comunque dato l'avvio il C. durante il soggiorno presso il principe di Bozzolo: a quella di astrologo, per la quale poté valersi delle lezioni apprese in gioventù dal bolognese Giovanni Magini, matematico e astronomo dello studio, e questa attività conferì al C. una fama ai suoi tempi largamente eccedente la professione di medico e l'esercitazione poetica.
Rientrato in patria e assunto al servizio del cardinale legato Roberto Ubaldini (al quale è dedicata un'Ode per la statua eretta nel pubblico palazzo del pontefice Urbano VIII, Bologna 1625), il C. si dedicò all'attività astrologica con assiduità e profitto, tanto da essere regolarmente interpellato sia in pubblico sia in privato sull'esito di avvenimenti di generale interesse. Frequentemente visitato dall'arcivescovo di Bologna Ludovico Ludovisi, dal principe di Bozzolo, dai responsabili della politica e dell'amministrazione cittadina, il C., costretto in casa dalla podagra che avrebbe di lì a poco consumato la sua esistenza, dava stimati responsi e veniva lautamente retribuito. Il 29 genn. 1627 fu nominato astrologo del Senato e gli fu assegnato l'incarico di compilare e pubblicare quel Lunario che aveva cominciato a redigere Antonio Cataldi. Il complesso degli interventi astrologici del C., le sue opinioni in merito e anche il resoconto di alcuni gustosi aneddoti connessi a tale attività si leggono compendiati nei Discorsi astrologici dall'anno 1622 al 1629, Bologna 1629.
Ma nel contempo il C. non tralasciava le incombenze più propriamente letterarie connesse alla sua già più che perspicua carriera. Aggregato all'Accademia dei Gelati dal 1620, inviava regolari contributi poetici alle varie tornate accademiche e partecipò ai cartelli del famoso torneo di Amore prigioniero in Delo combattuto nel 1628 dai cavalieri Torbidi. Compose ancora degli Intermedj posti in musica da Domenico Benedetti musico della Signoria di Bologna per lo martirio di s. Orsola, Bologna 1626, e una tragedia, Cleopatra, Bologna 1628.
L'anno successivo le sue condizioni di salute peggiorarono sensibilmente. Il 18 ag. 1628 il C. si spegneva e fu seppellito nella chiesa dei padri dell'Oratorio, detta della Madonna di Galiera. Fu ricordato con simpatia nel vasto ambiente artistico di cui aveva fatto parte: non soltanto dai poeti Preti e Achillini, ma dai pittori A. e L. Caracci, G. Reni, L. Spada, G. Valesio, F. Albani.
Per quel che concerne la produzione letteraria, l'attività del C. è sufficientemente caratterizzata dal clima marinistico imperante nel campo della poesia: e questo non soltanto spiega l'invadente offerta lirica dello scrittore bolognese, orientata spesso verso un ricalco sovente pedissequo degli artifici retorici del concettismo (predilezione per la metafora, i giochi verbali, l'effetto inusitato delle significazioni), ma anche l'eccezionale varietà metrica delle composizioni - veri e propri esempi di virtuosismo -, l'insistenza su alcuni generi tipici, come l'egloga e l'idillio, su cui si era venuto concentrando il gusto delle poetiche tardorinascimentali.
In un orizzonte siffatto, limitato dalla scuola e impreziosito, per lunga estenuazione di motivi ispiratori, dalla sola perizia tecnica, il C. agisce come un debole imitatore che accentua i difetti del modello marinesco. Anche quando l'opera letteraria sembra accennare ad un recupero più profondo e più valido (del Tasso, poniamo, o della lirica del primo Cinquecento) alla base del tentativo si sorprende la mediazione marinistica (e talvolta la diretta sollecitazione di alcuni tra i più freddi scolari del Marino), sì che, nel complesso, anche il desiderio di un dettato letterario più articolato appare illusorio o scontato.
Questa direzione sembra comunque informare soprattutto il genere della favola pastorale, la cui stessa tradizione insigne (dal Castiglione al Tasso al Guarini) imponeva una serie di richiami più che impliciti, mentre ormai disancorati da ogni tradizione rinascimentale e atteggiati a un fantasioso idoleggiamento scenografico appaiono i tentativi drammatici del C. culminanti nella Cleopatra.
Fonti e Bibl.: Del C. scrisse un elogioV. Zani nelle Memorie imprese e ritratti dei signori accademici Gelati di Bologna, Bologna 1672, pp. 274 ss.; G. B. Marino, Lettere, acura di M. Guglielminetti, Torino 1966, ad Indicem;F. S.Quadrio, Della storia e della ragione di ogni poesia, II, 1, Bologna 1741, p. 283 e passim;G. Fantuzzi, Notiziedegli scrittori bolognesi, III, Bologna 1783, pp. 90 ss.; A. Belloni, Il Seicento, Milano s.d., ad Indicem;C.Jannaco, Il Seicento, Milano 1963, ad Indicem.