CARAFA, Giovanni
Figlio di Giacomo signore di Castrovetere e di Roccella, dal 1486 conte di Matera, e di Antonella di Molise, nacque alla metà circa del secolo XV. La prima notizia che si ha di lui è del 1489. Nel novembre di quell'anno infatti Ferdinando I re di Napoli incaricava il suo luogotenente in Calabria, Luigi de Lull, di costringere al pagamento i creditori del Carafa. L'anno dopo il sovrano gli donò Rofrano e Mandia, in provincia di Salerno, e dette gli ordini opportuni perché egli ne potesse entrare in possesso. Nel 1493 il C. era castellano di Castel Capuano in Napoli.
Quando Ferdinando II successe sul vacillante trono di Napoli, subito dopo l'abdicazione di Alfonso II (23 genn. 1495), il C. fu uno dei nobili che lo accompagnarono nella solenne cavalcata attraverso la città partenopea. Pochi mesi appresso il sovrano rinnovò al C. ed alla moglie di lui, Giovannella Sanchez, figlia del castellano di Castel Nuovo, una concessione sul maggior fondaco di Napoli, già elargita ai coniugi da Ferdinando I in cambio di un prestito da loro concessogli.
Fuggito poco dopo Ferrandino dal Regno, incalzato dall'esercito francese, il C. lo seguì nell'esilio, e mentre la moglie a Napoli nell'aprile del 1495 otteneva da Carlo VIII la concessione di duecento ducati annui per sé e per il marito, egli si recava a Venezia per sollecitare dalla Repubblica interventi in favore del giovane e sfortunato sovrano aragonese. Quando nella primavera Ferrandino si accinse, risalendo il Regno dalla Calabria, a riconquistare il trono, forte degli aiuti veneziani e spagnoli, il C. partecipò alla campagna con il grado di capitano regio e con il titolo di commissario generale. Il 4 febbr. 1496 il re sul campo di Sarno gli fece dono di Policastro (Salerno), già appartenuta ad Antonello Petrucci, e di altri beni e casali, a compenso dei meriti che si era acquistato in special modo con l'ambasceria a Venezia. Mentre il 7 ott. 1496 Ferdinando II moriva, il C. fu eletto quale rappresentante dei baroni napoletani, affinché si recasse, insieme a Troiano Caracciolo per i baroni del Regno, ed a Lodovico Follero per il popolo di Napoli, ad offrire il trono a Federico, principe di Altamura, figlio di Ferdinando I. L'anno dopo partecipò all'incoronazione del nuovo sovrano, avendo ottenuto già il 25 ott. 1496 il titolo di conte di Policastro.
Nel 1497 il re inviò il C. in Ungheria, dove la posizione della regina Beatrice si faceva sempre più difficile, mentre il processo di divorzio intentatole da Ladislao si trascinava a Roma.
L'anno successivo, quando già si profilava la sentenza sfavorevole alla regina, che sarebbe stata emessa nell'aprile del 1500, il C. fu inviato di nuovo nel regno magiaro, munito di una procura regia, insieme con Guglielmo Frassino, nel tentativo di recuperare la dote di Beatrice. Durante il suo viaggio, nell'agosto, arrivò a Bergamo, ove il suo abbigliamento (una veste foderata d'oro) suscitò meraviglia e disapprovazione.
Spazzata via dal Regno la dinastia aragonese, nelle lotte che seguirono subito dopo, fra Spagnoli e Francesi, il C. prese posizione in favore dei primi e ricevette da Gonzalo de Córdoba, il 18 maggio 1502 in Atella, una provvigione di 1.000 ducati annui. Nel 1507 ottenne una sentenza favorevole nella lite che lo opponeva al ponte di Rossano, il quale aveva avanzato delle pretese su Policastro. Il 25 sett. 1510 partecipò, prendendo per primo la parola, ad una assemblea che avvenne nella chiesa napoletana di S. Domenico Maggiore.
Si temeva allora nel Regno l'introduzione dell'Inquisizione al modo di Spagna e l'arrivo a Napoli di un inquisitore che era stato inviato dal sovrano aveva rinfocolato i sospetti esistenti. I baroni napoletani, deciso l'invio a Ferdinando il Cattolico di un ambasciatore, Francesco Filomarino, che recasse direttamente al sovrano le istanze emerse dal Parlamento, conclusero le manifestazioni con una processione il 28 ottobre.Due anni dopo il C., già regio consigliere, divenne provveditore maggiore. Morto Ferdinando il Cattolico (23 genn. 1516), il C. ottenne il 31 ott. 1518 dal successore, Carlo V, la conferma di tutti i suoi diritti su Policastro, già confermatigli dal precedente sovrano a riconoscimento del valore militare dimostrato in favore degli Spagnoli durante la guerra per la conquista del Regno. Nel 1522, dopo la morte del viceré Raimondo di Cardona e prima che succedesse a questo Carlo di Lannoy, il C. come decano del Consiglio collaterale, che governò il Regno fino all'arrivo del nuovo viceré il 16 luglio, firmò gli atti pubblici emanati fra il 18 marzo ed il 1º aprile.
Alla fine del 1523, quando il Lannoy partì per fronteggiare l'esercito francese calato di nuovo in Lombardia, il C., che manteneva a sue spese una compagnia di cavalli, si adoperò nell'organizzazione della spedizione, ma rimase a Napoli, continuando la sua attività politico-amministrativa nel Collaterale, che, con la partenza del viceré, il quale aveva lasciato il conte di Santa Severina, Andrea Carafa, quale suo luogotenente, aveva assunto una notevole importanza per il governo del Regno. Il 9 marzo del 1525 il C. riceveva dallo stesso Andrea Carafa l'annuncio della vittoria conseguita a Pavia dalle armi spagnole e della cattura del sovrano francese.
Morto il luogotenente nel giugno del 1526, il governo, in un momento che si presentava difficile, e per l'infuriare della peste, e per le frequenti incursioni corsare e turche, e per i rapporti spinosi con il pontefice, fu assunto dal Consiglio collaterale, del quale, come si è detto, il C. era decano. Nei primi mesi del 1527 il C., che aveva accresciuto il suo patrimonio con l'acquisto di parecchi possedimenti ed aveva ricevuto i benefici di vari provvedimenti regi in suo favore, ottenne la mastrodattia di Foggia.
Morì probabilmente prima del maggio di quello stesso anno.
Aveva avuto sei figli, fra i quali Pietro Antonio, il primogenito, e Federico, morto al servizio dell'esercito spagnolo.
Del C. si conosce il soprannome, La Morte, dovuto alla sua bruttezza.
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