CARBONCINO (Carboncini, Carbonzino, Carbonzini), Giovanni
Nacque a Treviso, oppure a Venezia, verso la metà del sec. XVII, e a Venezia morì dopo il 1703.
La più ricca fonte, anche se non la più antica, sul C. è senz'altro la vita che ne stese Nadal Melchiori nelle sue Notizie di pittori, iniziate nel 1720, e rimaste manoscritte fino ad epoca recente ma conosciutissime da vari autori, tra cui il Lanzi. Ma la biografia in questione non è opera originale del Melchiori, che, come ammette egli stesso, la trascrisse da un manoscritto più antico dovuto a un anonimo che si sigla "M.S.": questi sarebbe da identificare con un padre cappuccino trevigiano operante nella metà del sec. XVII (Favero).Un dato d'archivio inedito, rintracciato fra i registri del "Tabularium Vicariatus Urbis" di Roma, ci permette di fissare al 1703 il termine post quem per la morte del C.: infatti, a questa data, nel Libro delle anime della parrocchia di S. Lorenzo in Lucina, si trova registrato (p. 51r) fra gli abitanti del "secondo traversale da Strada Vittoria mano destra" (oggi via Bocca di Leone), insieme con altri coinquilini dall'inequivocabile cognome veneto (Serada, Valsanter), anche "Giovanni Carboncino pittore". Il C. doveva comunque essere di passaggio a Roma, se si considera che né l'anno precedente né il seguente risulta domiciliato in tal luogo. Un altro punto fermo nella sua cronologia è fornito dalla citata biografia quando ci informa che "passato per Roma circa il 1680... si restituì in patria da vecchio". Poiché da documenti inoppugnabili (Lorenzetti), tratti dalla fraglia dei pittori veneziani, risulta che il C. vi era iscritto dal 1687 al 1692, si può stabilire un primo soggiorno del pittore dal 1680 circa al 1687, e un secondo, ma temporaneo, dopo il 1692, del quale solo l'anno 1703 è documentato. Di un viaggio giovanile a Roma di cui tutti i suoi biografi, con l'esclusione del Melchiori, parlano, a cominciare dall'Orlandi, non si hanno più precise e documentate notizie.
Secondo lo Zani l'esordio artistico del C. è da porsi nel 1660 circa; ma si può giungere a una datazione più logica, anche se non ad annum, considerando che Marco Boschini, che è la fonte più antica, ci parla di due opere del pittore soltanto nella seconda edizione (1674) delle Ricche minere della pittura veneziana. Considerando che tra la prima edizione della guida boschiniana e la seconda intercorrono dieci anni, bisogna verosimilmente supporre che l'inizio della carriera del C. cada tra il 1665 e qualche anno prima del 1674, spostando così in avanti la datazione fornita dallo Zani in modo da postulare in termini più credibili una cronologia che altrimenti sarebbe troppo estesa nel tempo. A questo si aggiunga che due sue opere sono databili al 1672 (Martirio di s. Angiolo, Venezia, S. Maria del Carmine) e al 1681 (Visitazione, Padova, Ognissanti).
Al di là di questo attendibile se pur frammentario regesto, restano comunque inspiegabili alcune notizie contraddittorie: per esempio lo Zani lo dice nato a Treviso, mentre tutti gli altri biografi lo dicono nativo di Venezia; è strano inoltre come anche il Melchiori, che pure si rifaceva a una biografia redatta ancora vivente il pittore, non conoscesse la data di nascita, o anche, come mai del C., che pure visse a lungo a Roma, e in più riprese, non si trovino in questa città sue opere, nemmeno fra le tante citate dalle guide settecentesche prime fra tutte quelle minuziose del Titi.
Il Boschini è il primo, in ordine di tempo, ad essersi occupato criticamente del C., dichiarando il Martirio di s. Angiolo collocato nel fregio sotto il soffitto della chiesa della Madonna del Carmine a Venezia "opera veramente rappresentata con un bel concerto di figure e decoroso ornamento d'architettura; certo degno assaggio della virtù di Giovanni Carbonzino". Dal momento che si tratta di un'opera del 1672 (a proposito di tale datazione, si v. Moschini, Arslan, Baroni Rossi), il contesto ci indica come il C. fin dall'anno 1674 avesse già una discreta fama nell'ambiente pittorico veneziano. Esperto di composizione ("bel concerto di figure") e notevole quadraturista ("decoroso ornamento d'architettura"), il C., d'altronde, dimostra di esserlo veramente nell'insieme della sua opera, se non altro nella tela più famosa, il Miracolo del beato Susone, conservata nella chiesa di S. Nicolò a Treviso.
Per giungere però a un giudizio critico più puntuale, che esca dalle consuete espressioni generiche (solo il Melchiori parla in modo più specifico di "maniera robusta, vivace, gradita, risoluta"), bisogna arrivare al 1803, quando il Federici cita esplicitamente il C. come "uno de' buoni imitatori di Tiziano". L'affermazione mette a fuoco uno degli aspetti principali della sua opera, cioè quel debito, se non altro di formazione, che la lega al venezianismo. Si parla difatti in maniera esplicita nel testo del Melchiori di un apprendistato del C. presso Matteo Ponzone, pittore dalmata, il quale, attivo in Venezia fin dagli inizi del sec. XVII e scolaro del veneziano Sante Peranda, può avere trasmesso all'allievo tutto un bagaglio di dedizione, sempre in chiave di maniera, ai modi di Tiziano, Bassano e soprattutto del Veronese. Fin dal 1833, comunque, il Crico riesce a individuare nell'arte del C. un elemento estraneo a quello veneto, una componente romana che farà da reagente determinante alla sua formazione manieristica. In tempi più recenti il "blando caravaggismo" sottolineato dal Fiocco, la "scorza caravaggesca" notata dall'Arslan (1936), il gusto "neocaravaggesco" puntualizzato dallo Zampetti, oltre che confermare un'autoformazione del C. sui testi romani durante il suo supposto viaggio giovanile (non a caso il Melchiori si esprime in termini precisi sulla questione: "formatosi poi da sé una maniera..."), ci indicano anche, con sufficiente chiarezza, come il punto cruciale della sua arte debba proprio essere individuato in questo continuo richiamarsi a esperienze locali (venete e veronesi) sostanziate però da un naturalismo di fondo le cui radici vanno ricercate nella cultura postcaravaggesca romana. Semmai i prodromi della nuova pittura del Settecento sono visibili nell'impiego di una gamma coloristica in più punti addolcita e nell'uso di una luce radente che porta a risultati quasi di chiarismo. Non per niente l'Arslan (1946) parla a proposito di questo luminismo di "formula che rappresenta talora un piacevole compromesso", ed inoltre accosta il C., per il colore, al Ruschi giovane.
Della produzione pervenutaci del C., oltre alle opere già citate, sono da ricordare: S. Luigi che dona la croce al b. Bartolomeo Breganze, Vicenza, duomo; Cristo che libera gli ossessi (firmato e datato 1684), già in S. Bartolomeo, Vicenza; Gesù fra i dottori, Venezia, chiesa dell'Ospedale della Pietà; Predica di s. Antonio da Padova, ibid.; Miracolo del beato Susone, Treviso, S. Nicolò (ulteriore versione del cit. dipinto di uguale soggetto conservato nella medesima chiesa); S. Domenico trasportato in paradiso dagli angeli, ibid.; S. Marco Evangelista, Vas (Treviso), chiesa di Ca' Gradenigo; Ritratto di Francesco Morosini, Venezia, Museo Correr.
Fonti e Bibl.: M. Boschini, Le ricche miniere..., Venezia 1674, pp. 46, 72; Bibl. Apost. Vaticana, ms. 13718: N. Melchiori, Notizie dei pittori... (cod. orig. autogr. presso Bibl. capit. di Treviso, ms. 1/67; copia del sec. XIX a Venezia presso la Bibl. naz. Marciana, cod. It. IV, 167; ediz. a cura di G. B. Favero, Venezia 1968, senza alcune vite tra cui quella del C.); P. A. Orlandi, Abecedario pittorico..., Firenze 1788, p. 566; D. M. Federici, Memorie trevigiane, Venezia 1803, pp. 99 s.; S. Ticozzi, Dizionario dei pittori..., Milano 1818, I, p. 280; G. Moschini, Itinéraire de la ville de Venise..., Venezia 1819, p. 302; Lanzi, Storia pittorica della Italia, Firenze 1822, III, p. 167; L. Cirico, Lettere sulle belle arti trevigiane, Treviso 1833, p. 292; Catal. delle cose d'arte... d'Italia, L. Coletti, Treviso, Roma 1935, pp. 414, 426 (con ult. bibl.); Invent. degli oggetti d'arte d'Italia, W. Arslan, Prov. di Padova..., Padova, Roma 1936, p. 146 (con ult. bibl.); G. Fiocco, La pittura venez. Nel '600 e '700, Verona 1929, p. 26; E. Arslan, Il concetto di "luminismo"…, Milano 1946, p. 44 (con ult. bibl.); G. Lorenzetti, Venezia e il suo estuario, Venezia 1956, pp. 117 s., 865; P. Zampetti, in La pittura del Seicento a Venezia (catal.), Venezia 1959, p. 70 (con ult. bibl. a p. 202); Catal. Bolaffi, 1972, M. G. Baroni Rossi, G. C., p. 41; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, V, p. 577 (con bibliografia).