IMBONATI, Giovanni Carlo
Nacque a Milano il 24 maggio 1753 dal conte Giuseppe Maria, noto animatore culturale e mecenate delle lettere lombarde, e da Tullia Francesca Bicetti dei Buttinoni, anch'ella rinomata letterata e poetessa.
La famiglia Imbonati, di antica origine comasca, aveva accumulato grandi ricchezze. La notorietà e la stima universale di cui godeva il padre, rifondatore e conservatore perpetuo dell'Accademia dei Trasformati, fecero sì che la nascita dell'I., suo unico figlio maschio, fosse salutata dai letterati milanesi con un coro di composizioni d'occasione, fra le quali spicca un'anacreontica di Pietro Verri. Naturalmente in un contesto tanto colto e agiato l'educazione dell'I. fu accuratissima: ebbe i precettori più qualificati, dei quali il più noto fu dal 1764 G. Parini, che in occasione di una malattia del discepolo undicenne gli dedicò l'ode L'educazione, nella quale illustra i principî informanti il suo lavoro di pedagogo ed è prodigo di consigli e di ammonimenti affettuosi. Tuttavia, se quanto alla formazione culturale e alla determinazione nel perseguire le sue scelte l'I. trasse gran profitto da tanto maestro (e da studi svolti a Roma per un breve periodo), forse non altrettanto se ne avvantaggiarono (ma in questo le testimonianze contrastano) le sue scelte di vita, spesso guidate da un ostinato anticonformismo e da un certo disprezzo per la morale corrente, anche se mai prive di schiettezza e di eleganza. Ai ricordi di G. Baretti ("Quell'insolente contino ad un tratto a Cavallasca [la sontuosa villa dove il padre ospitava gli amici letterati] mi scagliò un grappolo d'uva in faccia": lettera del 12 marzo 1784 a G. Carcano) fanno da contraltare testimonianze che lo definiscono colto, bello, elegante, d'animo nobile e generoso, per non parlare dei giudizi di V. Monti e di A. Manzoni. Certo la scomparsa del padre nel luglio del 1768, quando l'I. aveva solo 15 anni, e la conseguente disponibilità di un grande patrimonio giocarono un ruolo determinante nella sua vita: egli viveva "onoratamente e splendidamente", frequentando la società e la corte, agli onori della quale fu ammesso nel 1776. Viene comunque ricordato che in certi periodi si diede al gioco d'azzardo, anche con episodi esasperati (una volta in una bisca, esaurita la "posta", avrebbe gettato sul tavolo la più amata proprietà del defunto padre, esclamando: "Vada Cavallasca!": Buzzetti, p. 53 n. 85). Sotto il profilo politico, davanti ai grandi sconvolgimenti sociali del suo tempo, forse per i fermenti che gli ambienti illuministi milanesi cari al padre gli avevano inculcato dall'infanzia, dimostrò una notevole disponibilità, adottando una Weltanschauung confermata poi dalle sue scelte parigine. Tuttavia la notorietà che ancor oggi accompagna il suo nome è esclusivamente dovuta agli importanti personaggi con i quali si intrecciarono le vicende della sua vita, come Giulia Beccaria, il Manzoni, i Verri, il Parini, il Monti, Marie-Louise-Sophie de Condorcet (nata de Grouchy), anche se in gioventù come membro dei Trasformati aveva tentato qualche modesta attività letteraria. Decisivo per l'I. fu l'incontro con Giulia Beccaria, avvenuto nel salotto di una sorella di lui verso il 1789.
Figlia primogenita del già celebre marchese Cesare e della sua prima moglie, Teresa de Blasco, Giulia era nata nel 1762, ed era quindi più giovane dell'I. di circa dieci anni; orfana della madre dal 1774, educata in convento dalle monache di S. Paolo, in grave contrasto con il padre per l'eredità materna, sposata per convenienza a don Pietro Manzoni, conservatore e bigotto, e costretta a convivere con le sette sorelle nubili di lui, era divenuta madre di Alessandro nel 1785. Dal 1781 aveva una relazione con il minore dei fratelli Verri, Giovanni, cavaliere di Malta, uno sfaccendato elegante, cui la voce pubblica attribuì, non senza qualche fondamento, la paternità del bambino; anche dopo la fine di quel rapporto Giulia continuò a frequentare il salotto dei Verri e l'ambiente stimolante che lo circondava. Il matrimonio nel febbraio 1792 era sfociato in una separazione che assegnava alla Beccaria una rendita annua di 8000 lire. L'incontro con l'I. fu un vero colpo di fulmine per entrambi: egli era reduce da un lungo viaggio all'estero, e forse sentiva il bisogno di dare alla propria vita un punto fermo, mentre lei, dopo la separazione, essendole improvvisamente morto il padre nel novembre 1794, era pervenuta a un accordo con la vedova di questo, Anna Barbò, e per la prima volta si era trovata a godere di una certa disponibilità patrimoniale.
Ben forniti di mezzi, i due amanti decisero di stabilirsi a Parigi, dove l'irregolarità della loro posizione avrebbe certo creato meno problemi che a Milano. Alla vigilia della partenza l'I. volle però affidare a un documento le sue ultime volontà. Si tratta del testamento olografo del 25 ott. 1795 (affidato al notaio F. Franzini di Milano) con il quale nominò la Beccaria sua erede universale, destinando alla propria famiglia (aveva ben sette sorelle) solo piccoli legati: fu così che la proprietà di Brusuglio pervenne ai Manzoni.
Tuttavia nel testamento, oltre a vivissime espressioni di amore e riconoscenza per la Beccaria, v'è traccia di quegli elevati sentimenti di fondo che alcuni attribuirono all'I.: nelle frasi conclusive, poi, egli adombra (seppure in modo vago) una fede religiosa che sembra contrastare con l'illuminismo sempre professato. Vi stabilì inoltre che fosse elargita una somma a ognuno dei suoi massari di Cavallasca, Brusuglio e Cassina Amata, anche se essi non poterono goderne per lo scompiglio portato dai Francesi nei maggioraschi e nei fidecommessi e perché egli stesso, con atto 9 sett. 1796 del notaio A. Mantica di Milano, incaricò l'abate F. Zinanni di alienare la tenuta di Cavallasca (la vendita, esclusi solo libri e biancheria, fu perfezionata il 19 dic. 1801 dal notaio G. Perti di Como, per la somma di 152.000 lire). Nel 1805, poi, poco prima di morire, egli venderà al ricco commerciante svizzero F. Blondel (il futuro suocero del Manzoni) anche il suo palazzo milanese in contrada Marino.
A Parigi la coppia si stabilì prima al n. 1116 della petite rue Verte, poi in un grande appartamento di place Vendôme, legandosi presto ad ambienti intellettuali avanzati e a personaggi dell'illuminismo che avevano avuto ruoli di rilievo nell'Encyclopédie e nella Rivoluzione. I più intimi furono C.C. Fauriel, "l'uomo più bello di Parigi", critico e filosofo, già segretario di Fouché e poi stretto amico del Manzoni, e la sua amante Sophie de Condorcet, vedova del celebre filosofo e matematico, che aveva vissuto straordinarie avventure durante la Rivoluzione. Essi vivevano a Meulan, nei pressi di Parigi, in una proprietà denominata La Maisonnette, dove l'I. e la Beccaria erano di casa: ma molti altri personaggi noti entrarono a far parte del loro entourage, da madame de Staël a B. Constant, da P.-J.-G. Cabanis a D.-J. Garat, da A.-L. Destutt de Tracy allo scrittore C.-F.-D. de Villers e a molti altri. Il nome Beccaria, notissimo e apprezzato a Parigi, apriva alla coppia tutta le porte, e quel periodo fu molto felice.
Ma il 15 marzo 1805, dopo una forte colica biliare, l'I. morì inaspettatamente (è controverso se nella casa della petite rue Verte o in quella di place Vendôme), sembra a causa di disturbi epatici lungamente trascurati.
Spinto dal Monti, suo ospite a Parigi, che gli aveva parlato bene del giovane, egli aveva qualche tempo prima invitato Alessandro Manzoni a raggiungere la madre, ma quello giunse solo nel luglio, quasi tre mesi dopo la sua morte. Le vicende toccate alla salma dell'I. furono molto complicate, sia per lo stato di pubblico concubino e adultero sia per la fama di libero pensatore: la Beccaria lo fece imbalsamare (da un dottor L'Evesque insieme con altri chirurghi, per 3000 franchi) e Sophie de Condorcet ospitò temporaneamente la salma in una cappelletta nel giardino della Maisonnette. Pare che Giulia, anche sulla scorta delle frasi del testamento di lui a cui si è accennato sopra, che alludevano alla divina misericordia, avesse ritrovato qualche inquietudine religiosa e riuscisse a fargli celebrare una funzione funebre nella chiesa di St Philippe du Roule (ma il registro dei morti di quella parrocchia per il 1805 è misteriosamente scomparso). Ella ebbe allora un grave periodo di crisi: cercò i consigli di un pastore protestante, F. Menestraz, che la spinse verso ideali umanitari, tanto che coltivò per un po' l'idea di farsi suora ospedaliera in Svizzera; scrisse alle sorelle dell'I. di voler dividere con loro il patrimonio ereditato, e regalò i mobili e le suppellettili di casa, trasferendosi prima in un appartamento di rue St-Honoré, poi nuovamente, all'arrivo del figlio, in uno più grande di rue Neuve du Luxembourg. In tale casa il Manzoni, che stava scoprendo un'intimità con sua madre mai conosciuta prima, scrisse, forse per compiacerla, il Carme in morte di Carlo Imbonati (che pubblicò a Parigi nel 1806, ma che più tardi, probabilmente per scrupoli religiosi, ripudiò), esaltando la nobile figura e le virtù morali dell'I., che peraltro conosceva solo attraverso la testimonianza di lei. Nel maggio 1806 Giulia decise di far traslare la salma a Brusuglio, in un tempietto in cui si potesse officiare, che aveva ottenuto il permesso di erigere grazie a F. Melzi d'Eril, e rientrò in patria con il figlio nel 1807 (nel marzo era morto anche Pietro Manzoni) Nel 1817 però, ormai del tutto tornata all'ortodossia cattolica e presa da scrupoli, fece nuovamente traslare la salma del "peccatore", forse nel cimitero locale, in seguito spostato e distrutto, forse in quello milanese di S. Gregorio. Si perde così anche l'ultima traccia dell'I.; perfino il tempietto fu demolito dopo la morte del Manzoni, probabilmente da Vittoria Brambilla Manzoni, l'ultima della famiglia ad abitare a Brusuglio. Nel 1955 furono rinvenuti nei dintorni della villa frammenti dell'epigrafe del conte. Di lui è conservata un'effigie in mezzo rilievo nella sala manzoniana della Biblioteca Braidense in Milano.
Fonti e Bibl.: Milano, Arch. della Parrocchia di S. Fedele, Liber baptismatum, II (1646-1766) della soppressa parrocchia di S. Stefano in Nosigia, 27 maggio 1753; F. Tridi, Genealogia Imbonati; A. Buccellati, Del progresso morale, civile e letterario quale si manifesta nelle opere di Alessandro Manzoni, II, Milano 1873, p. 27; C. Cantù, Reminiscenze di Alessandro Manzoni, I, Milano 1882, pp. 34-36; [S. Stampa], Alessandro Manzoni, la sua famiglia, i suoi amici, Milano 1885, I, p. 24; II, p. 36; P. Petrocchi, Dell'opera di Alessandro Manzoni, letterato e patriota, Milano 1886, pp. 8, 15, nn. 1 s.; C. Cantù, L'abate Parini e la Lombardia nel secolo passato, Milano 1892, passim; F. Buzzetti, I conti Imbonati a Cavallasca, Como 1896, pp. 35-43, 53 s., nn. 83-100; M. Capelli, Giulia Beccaria, madre di Alessandro Manzoni, in Il Pensiero italiano, XXIII (1898), pp. 32-34; A. Giulini, Milano nei primi anni dell'Ottocento dalle lettere di un parroco urbano, in Arch. stor. lombardo, LII (1925), p. 175 n. 2; M. Bruché, Quadri di vita milanese nel Settecento: il "cavaliere" Giovanni Verri, ibid., LXVII (1940), p. 373; D. Chiomenti Vassalli, Giulia Beccaria, la madre del Manzoni, Milano 1956; B. Amerio, Il criptotafio di C. I. a Brusuglio, in Giorn. stor. della letteratura italiana, LXXIX (1962), 425, pp. 313-319; T. Gallarati Scotti, La giovinezza del Manzoni, Milano 1969, passim; F. Calvi, Il patriziato milanese secondo nuovi documenti… (1875), Bologna 1970, pp. 451, 485; G. Savoca, Studi suGiuseppe Parini. Il Parini minore, in La letteratura italiana. Storia e testi, VI, 1, Il Settecento: l'Arcadia e l'età delle riforme, a cura di G. Compagnino - G. Nicastro - G. Savoca, Roma-Bari 1974, pp. 413, 462, 464; M.L. Astaldi, Baretti, Milano 1977, p. 68; N. Ginzburg, La famiglia Manzoni, Torino 1983, pp. 7-19 e passim.