CARRACHA (Caraca, Caraqua, Carrach, Carrachio, Karack, Karraca), Giovanni (Jan Kraeck)
Originario di Haarlem (e quindi impropriamente detto fiammingo), mancano notizie sulla data di nascita e sulla formazione giovanile. Di certo è da presumere una indubbia (benche non appurabile) notorietà in Fiandra se l'incontro con Emanuele Filiberto di Savoia, già governatore del paese, gli valse forse nel 1567 - quattro anni dopo il ritorno del sovrano nella propria capitale - la chiamata alla corte torinese. In realtà il primo documento conosciuto, e cioè la nomina a pittore ducale, è del 1º genn. 1568 e presuppone non soloun arrivo anticipato, ma anche stretti rapporti antecedenti: si accenna infatti a opere del "bendiletto nostro, Gioanni Caraqua fiamengo, che assai ci sono piacciute" e alla "sincera affettione che mostrò sempre havere al servittio nostro". Ciò comporta due sicure deduzioni: l'apertura del duca alla pittura extraregionale, esemplata su quella in auge non solo in Francia (Clouet), ma tra Madrid e l'Escorial, e l'aderenza del C. a un gusto fatto insieme di minuzia esecutiva e di marcato ma non cortigianescamente esteriore realismo, sui modelli che in tal senso potevano successivamente offrirgli Sanchez Coello e Pantoja de la Cruz. è certo che la predilezione dell'epoca per il ritratto - specie in un centro prestigioso quale la corte di Spagna - giovò alla fortuna del genere e che gli stretti legami di Emanuele Filiberto e poi del figlio Carlo Emanuele I con essa ne facilitarono l'introduzione in Piemonte. La scelta di Torino a capitale, dopo circa un trentennio d'occupazione francese, implicava non solo la sua trasformazione urbana, ma altresì la sua riqualificazione culturale, anche - e soprattutto - per dar credito a una corte di cui gli eventi storici avevano messo in dubbio la sopravvivenza. Ora, quel tipo di realismo era il mezzo idoneo per imprimere sulla matrice quotidiana (e cioè di poco abbellita rispetto al vero) l'idea del potere unita all'isolamento di casta: alterando cioè appena la sua essenza fisica per vestirla di toni atti a rilevarne, più che la vita intima, il rango. Sono gli anni in cui Emanuele Filiberto e quindi il figlio danno corpo all'idea d'una città incentrata su due elementi complementari: difensivo (creazione della cittadella) e di parata (tracciamento di piazza Castello e "palazzo novo grande"), assumendo con ciò un impegno aperto anche in campo estetico. Per il C. l'estrinsecazione piena delle sue capacità poteva naturalmente riuscir meglio col secondo: tuttavia la sua attività fu notevole anche negli anni immediatamente seguenti il suo arrivo in Piemonte. Documentata è, nel '68, l'esecuzione delle armi sabaude (mezzo per ostendere visibilmente il nuovo corso politico) su castelli in Savoia e, un decennio dopo, di rilievi topografici in Delfinato: elemento questo che rivela aspetti di servizio connessi alle esigenze immediate del sovrano e concretati nella stesura della grande pianta di Torino (cm 358 × 397) del 1572, la prima non di fantasia e prototipo d'ogni altra per almeno un secolo. Sotto Emanuele Filiberto, la sua attività si svolse soprattutto nei domini transalpini e può stupire che di tale non breve periodo siano rimaste così scarse testimonianze. Occorre infatti giungere alla vigilia dell'assunzione al trono di Carlo Emanuele I (1580) per trovar traccia della sua presenza non piùin Savoia ma a Torino. Nel '79 risiedeva tuttavia ancora a Chambéry, di cui aveva la cittadinanza, eseguendo per committenti locali (da cui fu saldato il 2 dicembre) il ritratto di Emanuele Filiberto (perduto) e quello, firmato e datato 1577, della consorte Margherita di Valois, ora nei Musées d'art et d'histoire di Chambéry insieme con i ritratti del senatore Claude Milliet e di sua moglie Jeanne Lambert, datati anch'essi 1577 (Roques, tavv. XCVII s.). Con l'avvento di Carlo Emanuele lo troviamo comunque impegnato a Torino in molteplici incombenze, alcune delle quali ai nostri occhi (ma non a quelli dei contemporanei, sensibili ai valori araldici) dimesse, quali l'esecuzione di stemmi e simili (pagamento del 1584 che dà anche conto di trasferte a Chambéry). Notevole invece, e caratterizzante, l'esecuzione nel 1680 del ritratto (datato e firmato) del nuovo duca Carlo Emanuele I, pure al museo di Chambéry, con echi evidenti di Clouet. L'aderenza fedele e cattivante al modello fece sì che venisse invitato al seguito di Carlo Emanuele I quando, nell'85, questi si recò in Spagna per sposare a Saragozza Caterina, figlia di Filippo II. Fu un incontro al vivo con la grande ritrattistica locale e una lista di quel tempo elenca infatti molte opere del genere. Peraltro la sua personalità non è circoscrivibile a questo solo ambito. All'araldista, al topografo, al ritrattista (che lascerà indimenticate effigi di personaggi sabaudi, quali il ritratto più tardo di Carlo Emanuele, in cui pare indagare a fondo, nel contrasto dei bianchi e neri e nel freddo squadro di nudi elementi architettonici, la psicologia concentrata e tesa del regnante, e quello di Caterina d'Austria, di rigidezza fragile e luminescente, entrambi a Saluzzo, casa Cavassa, riprodotti in Griseri, 1963, tavv. 2 s.), s'accompagna infatti l'apparatore delle residenze ducali - dalla reggia al castello a Miraflores - con opere di vaste dimensioni. Non sono precisati i soggetti, ma, data la destinazione, non poteva trattarsi che di vedute o temi simili. Che non gli fosse però estranea l'arte sacra lo dimostra (oltre alla menzione della vendita al duca del "gran quadro del giudicio… che fu fatto in Anversa") l'esecuzione nel 1578 della pala con la Vergine e il Bimbo oggi nella chiesa di St.-Maurice di Annecy (Roques, tav. XCIX), così com'è attestata con certezza quella della Madonna del Popolo, già in S. Pietro in Curte Ducis e traslata poi in S. Agnese (la futura, vitozziana, SS. Trinità).
Notizie pubblicate a fine Settecento l'ascrivono al periodo fiammingo e attribuiscono la collocazione in S. Pietro al dono della vedova Claudina. In realtà però questa premorì (10 luglio 1590) al marito, il quale si risposò con la conterranea Maria di Brid ed è possibile legasse il dipinto alla chiesa proprio in sua memoria (Storia della… Madonna del Popolo…, Torino 1797, passim). Latavola (un po' alterata da restauri nel 1958)ha aspetto arcaizzante per il fondo d'oro su cui campeggia frontalmente la Vergine (in vesti verde-rosa), ma anche chiarezza e nobiltà d'impianto eccedenti l'ambito locale e accolte quindi con favore.
Nel programma estetico inaugurato da Carlo Emanuele I il C. si distinse anche quale procacciatore di dipinti, e del 1º genn. 1586 è una ricevuta per vari quadri a lui forniti: una incisione della Passione del Dürer, nature morte con frutta, paesaggi, una S.Maria Egiziaca, un S.Sebastiano e altri soggetti analoghi. Certo la sua posizione doveva esser salda se pochi mesi dopo, il 1º aprile, gli veniva assegnato lo stipendio annuo di 300 scudi d'oro e l'anno dopo egli operava nella reggia e in duomo, ove decorò il tempietto rotondo eretto per accogliere la Sindone, traslata dal palazzo ducale a causa dei lavori in corso. Inserito perfettamente nell'ambiente, affrontò con diligenza i compiti via via affidatigli e nel '91 compì un secondo viaggio in Spagna ove le sue opere furono gradite e gli procurarono anzi l'incarico di ritrarre il re e i suoi familiari. In premio ottenne, al ritorno, altri vantaggi materiali (fra cui il godimento e il possesso della casa da lui abitata); mentre un documento del 13 ag. 1593 lo definisce controllore generale delle fortificazioni. In realtà le difficoltà economiche dello Stato lo rendevano creditore d'una ingente somma (oltre 4.000 scudi) comprensiva di lavori eseguiti a Fossano e Torino oltre che di viaggi e acquisto d'opere d'arte, del disegno di medaglie per "la Madonna del Mondovì" (e cioè per la prima chiesa eretta sul luogo del miracolo, nel 1593, dal luganese Pietro Goano) e di una ancona "di tutti i Santi" per Chambéry, ove si recò fra il '97 e il '98.
A Milano nel '99 per incarico del duca, fu insistentemente sollecitato a tornare, sebbene dai conti rimasti non risulti fosse tosto impiegato in lavori d'importanza: compì infatti un nuovo viaggio in Savoia e nel 1600, oltre a fornire dipinti per la reggia, attese alla manutenzione dell'edificio. Dato il cumulo dei debiti, Carlo Emanuele lo ricompensò - almeno virtualmente - coi proventi del vicariato d'Oneglia e, successivamente, di Barcellonnette, cui aggiunse nel 1604 i beni feudali di Ottaviano Dagna ad Altessano. Sono gli anni in cui ha inizio a Torino, sotto la regia di Federico Zuccari, la decorazione della galleria allacciante la reggia al castello, ma è dubbio se il C. poté parteciparvi. Lo impedivano l'età avanzata e il mutamento del gusto. Morì a Torino il 18 marzo 1607 e il giorno dopo le sue spoglie vennero inumate in duomo.
Alle opere a lui ascritte va aggiunto un corpo di ritratti a matita eseguiti durante uno dei soggiorni in Spagna, che sarebbe stato prezioso per la constatazione degli influssi subiti: purtroppo fu distrutto nell'incendio della Biblioteca nazionale di Torino nel 1904. Forse è sua l'effigie di Maria di Savoia (figlia naturale di Emanuele Filiberto e Laura Crevola e sposa in seguito del marchese di Lanzo) nel Museo civico di Torino, stando almeno al giudizio di L. Mallé che recentemente ne ha curato il restauro. Gli si possono assegnare dubitativamente i ritratti di Carlo Emanuele I del Museo del Bargello di Firenze e del Residenz Museum di Monaco di Baviera, mentre d'un ritratto equestre del medesimo è nota un'incisione di Sadeler eseguita a Venezia. Altra incisione su suo disegno, ma di mano del Fornaseri concerne la presa di Bricherasio.
Fonti e Bibl.: Schede Vesme, I, Torino 1963, pp. 260-267 (con gran parte dei docc.); R. H. Wilenski, Flemish painters 1430-1830, London 1960, pp. 178, 193, 195, 223; A. Griseri, in Mostra del barocco piemontese (catal.), II, Torino 1963, pp. 2, 45 s.; V. Moccagatta, G. Caccia detto il Moncalvo. Le opere di Torino e la Galleria di Carlo Emanuele I, in Arte lombarda, VIII (1963), 2, pp. 215, 241 n. 48; M. Roques, Les apports neerlandais dans la peinture du Sud-Est de la France…, Bordeaux 1963, ad Indicem; N. Carboneri, Vicenda delle cappelle per la s. Sindone, in Boll. d. Soc. piemont. di archeol. e belle arti, XVIII(1964), pp. 97 s. nn. 9 s.; A. Peyrot, Torino nei secoli, Torino 1965, I, pp. 6 n. 9, 7-9 n. 10, 9 n. II, 75 n. 58, 76 n. 60, 79 n. 62/1; A. Griseri, Le metamorfosi del Barocco, Torino 1967, pp. 44 s., 52 n. 13, 57 n. 27; L. Tamburini, Le chiese di Torino, Torino 1968, pp. 83, 93; L. Mallé, Palazzo Madama in Torino, Torino 1970, I, pp. 38, 64, 66, 72, 74, 99; Id., Le arti figurative in Piemonte, Torino 1974, I, p. 119; II, pp. 41 s., 71; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XXI, pp. 376 s. (sub v.Kraeck, Jan).