CASALE, Giovanni (da Casale, da Carate, de Casalis, Caxal)
Ignote le origini di questo personaggio, originario probabilmente di Casale o, come suggerisce il Pasolini (Caterina Sforza, II, p. 73), senza peraltro giustificare la supposizione, di Carate (Carate Brianza). Il Guicciardini (pp. 324 s.) lo definisce "uomo di vilissima nazione, ma pervenuto a qualche grado onorato perché nel fiore dell'età era stato grato a Ludovico Sforza, e poi famoso per l'amore noto di quella Madonna" (Caterina Sforza). In realtà la prima testimonianza sul C. ci è fornita dal Sanuto che, enumerando i gentiluomini del corteggio che il 13 sett. 1496 accompagnava l'imperatore Massimiliano al castello di Vigevano, durante la sua breve calata in Italia, annota al seguito di Ludovico Sforza "dominus Ioannes de Casalis, olim favoritus" (I, p. 309). La figura del C. ruota attorno a quella del duca di Milano e, in più occasioni, egli appare sempre come un diretto dipendente dello Sforza che se ne servi soprattutto come uomo di fiducia, portavoce e agente, nella zona d'operazioni del Casentino e in Romagna.
La guerra tra Venezia e Firenze per il controllo di Pisa aveva ben presto coinvolto in quelle vicende Caterina Sforza, signora di Imola e Forlì: l'invadenza dei Veneziani nella Romagna e i loro buoni rapporti con Astorre Manfredi, signore di Faenza, l'avevano persuasa della necessità di prendere l'iniziativa per salvaguardarsi dal pericolo che incombeva sulla sua signoria. Peraltro il suo matrimonio con Giovanni de' Medici, fortemente compromesso col nuovo regime repubblicano, la facevano propendere per un'alleanza con Firenze che si precisò nel giugno del 1498 con l'invio del figlio Ottaviano al servizio della Repubblica. L'alleanza indispettì i Veneziani che aumentarono la pressione sui domini di Caterina presentandosi, con frequenti scorrerie, fin sotto le mura di Forlì. Sollecitato insistentemente dalla nipote, il duca di Milano, nell'agosto di quello stesso anno, le inviò Gaspare Sanseverino, il celebre capitan Fracasso, e successivamente un forte contingente di truppe.
Il 15 settembre fra gli uomini del Moro in Romagna figura anche il C.I, col compito, ben presto palese, di tutelare gli interessi dello Sforza, sia per i difficili rapporti fra il Fracasso e la contessa Caterina, sia per il timore che quest'ultima, sollecitata dagli avvenimenti, rinunciasse alla sua alleanza compromettendosi con Venezia. Appena giunto, il C. fu posto dal Fracasso al comando delle truppe di stanza a Forlì. Il suo primo compito fu quello di tentare di convincere il Sanseverino a schierarsi esplicitamente dalla parte dei Fiorentini, come richiedeva insistentemente la contessa Caterina che accusava il capitan Fracasso e il fratello di questo, Galeazzo, di mancanza di determinazione, consentendo ai Veneziani di compiere impunemente scorrerie e rappresaglie nei suoi domini.
Il C. riuscì, per il momento, a persuadere il Fracasso e nel novembre-dicembre del 1498 partecipò alle operazioni delle truppe milanesi nel Casentino. Sul finire dell'anno, anche per il disperdersi delle milizie venete, il Sanseverino decise di smobilitare e, desiderando tornare in Lombardia, inviò il C. al Moro per chiedere licenza, proponendo di lasciare in Casentino lo stesso C. con un piccolo contingente di uomini d'arme.
Tuttavia le informazioni che Caterina inviava contemporaneamente al Moro sulle nuove leve di soldati che Venezia faceva con larghezza di mezzi per tutta la Romagna, convinsero il duca di Milano a rafforzare la propria presenza militare nella zona, invitando il Fracasso a reclutare nuove truppe di fanti e garantendo un adeguato finanziamento che avrebbe inviato per mezzo del Casale.
Questi, all'inizio del febbraio del 1491, era nuovamente nel campo del Fracasso a Pieve Santo Stefano, ove gli venne affidato il comando di un grosso contingente dell'esercito sforzesco che si stava rapidamente riorganizzando per contrastare l'iniziativa del nemico che convergeva sulla vicina Casteldelci coll'intento di soccorrere Bibbiena. Per tutto l'inverno il C. restò nel Casentino con gli Sforzeschi finché, nel maggio, fu destinato dal Moro alla corte di Caterina.
Già nel marzo di quello stesso anno la posizione di Caterina Sforza si era ulteriormente aggravata, avendola Alessandro VI dichiarata decaduta dai vicariati di Forlì e Imola, assegnati a Cesare Borgia. La situazione precipitava rapidamente e Caterina paventava già un'alleanza fra Luigi XII e i Borgia, mentre il suo accordo con Firenze caldeggiato dal Moro, era sempre più precario. L'unica possibilità di salvezza era oramai rappresentata dal prestigio politico e dai successi militari del duca di Milano, al quale Caterina doveva ora offrire maggiori garanzie: già Alessandro Orfeo, agente del Moro a Forlì, si era ripetutamente lamentato dell'atteggiamento incostante della contessa e soprattutto dell'ambiguità del suo segretario Antonio Baldraccani, incaricato di numerose missioni a Milano.Cogliendo il pretesto di un presunto agguato subito dal Baldraccani, Caterina, nel maggio del 1499, chiese al Moro di inviarle "secretamente fino a qui messer Joanne da Casale quale fra li altri suoi sonno pratichati di qua me è parso retrovarlo et alla Excellentia Vostra fidelissimo et verso me amorevolissimo" (Pasolini, Caterina Sforza, III, p. 384). La richiesta di Caterina consentiva esplicitamente al Moro di porre a Forlì una persona di sua completa fiducia. D'altra parte, quando nel luglio di quell'anno Niccolò Machiavelli si recò in legazione presso Caterina per ottenere nuove forniture militari per la guerra di Pisa e per rinnovare la condotta di Ottaviano Riario, rilevò subito il prestigio politico e la considerazione che il C. si era garantiti a Forlì.
Indubbiamente il C. riscosse la fiducia incondizionata di Caterina, non spiegandosi altrimenti la sua piena libertà di manovra nelle vicende politiche farlivesi, ma si può anche supporre che egli sia stato a un certo punto irretito dalla stessa contessa, essendosi impegnato in trattative segrete con Venezia cui il Moro non avrebbe probabilmente consentito. Le voci di una relazione amorosa fra il C. e Caterina sono riscontrabili in tutte le testimonianze coeve e a suffragarle concorre il fatto che essa fu l'unica a non rimproverare al C. la responsabilità della presa della rocca di Forli ed anzi, come afferma Lucido Cataneo, durante la battaglia "la Contessa... deprecava solum per la salute de Joanne più che de la sua" (Pasolini, Nuovi documenti, p. 184).
Nell'agosto del 1499 il C. si recò a Firenze quale oratore di Caterina per perfezionare gli accordi con quella Repubblica dopo la legazione del Machiavelli e per tentare di coinvolgerla in un'alleanza militare contro l'offensiva del Borgia e dei Francesi. Firenze mantenne tuttavia un atteggiamento evasivo riguardo a quest'ultimo punto e quando Forlì venne assediata osservò una totale neutralità.
Il C. giocò allora l'ultima carta tentando un'alleanza con Venezia. Nel settembre, avvalendosi del bolognese Girolamo Ludovisi, inviò un messo alla Serenissima per offrire l'alleanza di Caterina, ma il Consiglio, pur assumendo un atteggiamento dilatorio, aveva già espresso un parere negativo.
Oramai la resistenza armata al Valentino si presentava come l'unica soluzione. Il 10 dicembre era stata occupata la rocca d'Imola e il Borgia si apprestava ora ad assediare Forlì. Il 19 dicembre entrò nella città e pose l'assedio alla rocca ove si era rinchiusa Caterina, decisa a resistere. Al C. era stato affidato il comando del Paradiso, parte della rocca ove erano gli alloggi privati della contessa. L'assedio durò fino al 12 genn. del 1500, allorché le artiglierie del Borgia riuscirono ad aprirsi un varco sufficiente nelle mura di cinta e a penetrare all'interno della rocca. La difesa degli assediati fu disperata e si registrarono episodi di estrema violenza da entrambe le parti: il C. in particolare lasciò che i nemici penetrassero in gran numero all'interno di una torre, quindi diede fuoco alle polveri, provocando anche la morte dei suoi soldati che là si trovavano. Ma fu lo stesso C. che, resosi conto dell'inutilità di una resistenza così disperata, diede il segno della resa, pur senza chiedere il parere di Caterina.
Questa sua decisione gli valse l'accusa di traditore dalla quale egli si difese con una justifichacione scritta(Pasolini, Caterina Sforza, III, pp. 451-454), ove respingeva le calunnie, indicando nell'insubordinazione, nelle discordie interne e nelle incertezze del fratello di Caterina, il conte Alessandro Sforza, le vere cause della perdita della rocca (il Machiavelli nell'Artedella guerra, individua le cause della presa della rocca di Forlì nella struttura delle fortificazioni che non ne garantivano una difesa adeguata).
Fatto prigioniero, assieme ad Alessandro Sforza, dal balio di Digione Antoine de Bessay, il C. fu ben presto riscattato per 4.000 ducati da Giovanni Bentivoglio, forse per incarico dello stesso Moro, rientrato nel frattempo in Italia e al cui servizio il C. si pose nuovamente.
All'inizio del marzo del 1500, Ludovico Sforza, che si trovava nel castello di Vigevano, fronteggiato dalle truppe di Gian Giacomo Trivulzio concentrate nella vicina Mortara, si trasferì a Trecate affidando al C. il comando della guarnigione di Vigevano. Contemporaneamente anche le truppe del Trivulzio abbandonarono Mortara e si trasferirono a Robbio per poi riversarsi su Novara. Il C., informato dei movimenti del Trivulzio e ritenendo oramai perduta Novara, pensò di sottrarre ai Francesi Mortara lasciata momentaneamente sguarnita.
Il C., che contava sulla sorpresa, uscì da Vigevano il 21 marzo insieme con duecento svizzeri e trecento lombardi al comando di Giovanni Grimello, del parmense Ippolito Tagliaferro e del cremonese Spingilis. Quando oramai gli Sforzeschi giunti sotto le mura della città, parlamentavano coi magistrati di Mortara sulle condizioni della resa, un contingente di Francesi che si trovava nella vicina Vespolate al comando di Pérot du Payennes, con una rapida conversione, tornò a Mortara. Pérot de la Haye, luogotenente del capitano francese, riuscì ad entrare nella città e sostenne l'assalto degli assedianti, trattenendoli fino all'arrivo del Payennes che, nel frattempo, aveva sbaragliato lo Spingilis che riconvergeva precipitosamente su Vigevano. Una sortita degli assediati, favorita dall'arrivo del Payennes, determinò, con uno scontro sul campo, l'esito della battaglia, disastroso per gli Sforzeschi che lasciarono sul campo circa duecento uomini.
Il C., ripetutamente ferito, fu fatto prigioniero insieme con gli altri capitani e condotto a Mortara. Il Moro, informato della battaglia, provvide a riscattare il Grimello e il Tagliaferro, ma lasciò il C. in mano ai Francesi, giudicandolo responsabile della disfatta per aver agito senza interpellarlo.
Negli anni successivi alla sconfitta definitiva del Moro, il C. si stabilì a Parma ma, dopo l'alleanza di Cambrai, lo troviamo al servizio dei Francesi e posto al comando della fortezza di Sassuolo.
Incrinatasi l'intesa fra Luigi XII e il papa, per l'appoggio prestato dal sovrano francese al duca di Ferrara, una delle prime piazzeforti investite dall'offensiva di Giulio II fu Sassuolo. Il 20 nov. 1510 conversero da Modena sulla cittadina le truppe guidate dal duca d'Urbino, Francesco Maria I Della Rovere, e quelle veneziane al comando del provveditore in campo Paolo Cappello, che si unirono all'esercito di Fabrizio Colonna, attestandosi nel vicino castello di Maranello.
Il giorno successivo, dopo un fitto fuoco di artiglieria al quale gli assediati risposero "gajardamente", fu dato l'assalto alla fortezza e il C., giudicata inutile la difesa per il preponderante numero dei nemici, si arrese a discrezione, provocando il severo giudizio del Guicciardini sull'"infamia" della sua condotta (II, p. 324).
Dopo questa vicenda si perdono le tracce del C., ristabilitosi probabilmente a Parma.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Milano, Archivio Visconteo-Sforzesco, Potenze estere-Romagna, cartt. 180, 181, 182, 183, 184, passim;Archivio di Stato di Firenze, Arch. Mediceo avanti il Principato, filza X, n. 641; filza LXXVIII, nn. 205, 311; filza LXXXV, n. 374; filza XCVI, n. 302; filza XCVIII, nn. 597, 647; filza CXXVI, n. 218; A. Grumello, Cronaca... dal 1467 al 1529, a cura di G. Müller, in Raccolta di cronisti e documenti storici inediti, I, Milano 1856, pp. 38, 48 s.; M. Sanuto, Diarii, I-III, XI, Venezia 1879-1884, ad Indicem; J. D'Auton, Chroniques de Louis XII, a cura di R. de Maulde la Clavière I, Paris 1889, pp. 120, 135, 205, 219, 233; A. Bernardi, Cronache forlivesi, II, Bologna 1896, p. 277; P. D. Pasolini, Nuovi docum. su Caterina Sforza, in Atti e mem. della R. Deputaz. di storia patria per le prov. di Romagna, s. 3, XV (1898), pp. 171-174, 184; L. G. Pélissier, Alcuni documenti sconosciuti su Caterina Sforza, in Arch. stor. ital., s. 5, XXII (1898), pp. 328-331; G. Fantaguzzi, Caos, a cura di D. Bazzocchi, Cesena 1915, p. 106; F. Guicciardini, La storia d'Italia, II, Firenze 1919, pp. 324 s.; V. Adami, Ilcarteggio di un capitano di ventura. Gaspare Sanseverino d'Aragona detto il Fracasso (1475-1518), in Miscell. di storia veneta, IV (1930), pp. 84, 91, 94, 97, 105, 109, 122 s., 127, 134; B. Zambotti, Diario ferrarese dall'anno 1476 sino al 1504, a cura di G. Pardi, Bologna 1934, p. 295; N. Machiavelli, Dell'arte della guerra, a cura di S. Bertelli, Milano 1961, p. 497; Id., Legazioni, commissarie e scritti di governo, a cura di F. Chiappelli, I, Bari 1971, pp. 194-219; A. Burriel, Vita di Caterina Sforza Riario, Bologna 1795, pp. 794-799; P. Bonoli, Storia di Forlì, Forlì 1826, pp. 293-295; P. D. Pasolini, Caterina Sforza, Roma 1893, II, pp. 73, 89, 100, 108, 123, 157, 181, 196 s., 199 s., 214, 217, 324; III, ad Indicem;L. G. Pélissier, Louis XII et Ludovic Sforza, II, Paris 1896, p. 176; E. Breisach, Caterina Sforza, Chicago-London 1967, pp. 97, 203 s., 206, 219, 228, 232; G. Moroni, Dizion. di erudizione stor. eccles., XXV, p. 271.