CAVALLI, Giovanni
Nato a Venezia, il 7 sett. 1613, da Daria di Alvise Mocenigo e da Federico (1567-1618; rettore a Crema - affermerà riconoscente il musicista Francesco Cavalli - "mi condusse" a Venezia e "per lui et per la sua casata anch'io vengo chiamato dall'istessa") di Giovanni, il C. venne destinato alla carriera politica al pari del fratello minore Giacomo (1617-1674) che fu provveditore sopra il Cottimo di Alessandria e sopra gli Uffici, senatore, savio di Terraferma e del Consiglio nonché consigliere di S. Marco.
Ricorrente, quanto meno dal 1638, il nome del C. in elezioni a varie cariche - su di lui convergono voti, in misura comunque insufficiente, quando si tratta d'eleggere il rettore di Chioggia, il podestà di Bergamo, il provveditore di Peschiera o di Zante, oppure di Asola, o sopra i beni inculti o sopra le spese superflue, il conte a Zara, il luogotenente a Udine, il sopravveditore alla Sanità -,i reggimenti di Terraferma connotano il suo profilo politico-amministrativo, cui è, invece, estranea la componente della esperienza diplomatica se si esclude il giovanile soggiorno, privo di incombenze specifiche, in Inghilterra al seguito di Angelo Correr, ivi rappresentante veneto nel 1634-1636.
Rifiutata l'elezione, del 26 febbr. 1641, a capitano di Vicenza, nominato, il 29 giugno, podestà della stessa, vi entra il 17 febbr. 1641 per rimanere sino ai primi di maggio del 1642.
"Versando - come ricorda nella relazione conclusiva, la sua carica - nel buon governo di quei popoli e nell'amministratione della giustitia", è stata sua cura, pel primo punto, rendere, "con incessante applicatione",la città "abbondante di vittuarie" e d'ogni altra "cosa necessaria" vigilando, inoltre, sui prezzi "per non lasciar che la povertà... fosse soverchiamente aggravata dall'ingordigia de' venditori"; ciò non toglie che il C., assieme al capitano Alvise Bragadin, anteponga a ogni altra esigenza l'interesse della Dominante visto il proclama col quale proibisce d'introdurre "in alcuna maniera di alieno stato in questa città e territorio" merci che non siano state "levate in Venetia col bollo particolare et colle bollette ordinarie". Quanto alla giustizia, si è in particolar modo impegnato, colla valida collaborazione degli "assessori",nel "dar continue audienze, sufragare li pupilli vedove e persone miserabili usando ogni studio per liberarli dalle vessationi de' potenti e de' civillosi". Gravissimo, però, "il preiudicio" ch'essa "riceve... per non esservi in quella città prigioni capaci e sicure per la custodia o per pena de' rei"; tant'è vero che il "massaro" del Monte di pietà Francesco Andriani, colpevole d'un rilevante "intacco" e perciò imprigionato, è riuscito a fuggire. Altrettanto esiziale la mole dei processi "inespediti",ché "la maggior parte dei delitti non si possono punire"; per quanto il C. abbia perfezionato tutti i "casi d'homicidio" avvenuti "ne' reggimenti anteriori",purtroppo "restano casi d'altra qualità",a volte assai "gravi",i quali, "dai soli due ultimi reggimenti in qua, ascendono a 1.500 in circa"; né la disposizione senatoria imponente ai "consoli" uscenti di lasciare ai subentranti i processi "non perfettionati" apporta l'auspicata accelerazione. Vanto anche del C. - che si occupa dell'incanto dei dazi, di "estirpar li banditi... numerosi... in diversi luoghi di questa giurisditione",delle contese tra "quei di Folgaria" e i "nostri sudditi" di Lastebasse pel "possesso di quelle montagne e pascoli" - l'essere riuscito a collocare in "persona sicura" l'"esattoria delle condanne" al solo 8%, laddove, "ne' passati incanti",l'"utilità all'esattor" arrivava al 10%. Va inoltre ricordata la sua opposizione alla pretesa dell'inquisitore di giudicare una donna che, con "ontioni" di sua fattura, si offriva di guarire, a pagamento, "li corpi amalati"; la stessa, accampando la sua "domestichezza col demonio" asseriva "di poter astringere",grazie a lui, "gli huomini al matrimonio con chi li desiderava et le donne" a "condescendere a' piaceri di chi li bramava". A suo avviso il caso era semplicemente d'"herbarie et strigarie",non d'"eresia",e come tale rientrava nelle sue competenze.
Nominato, il 7 maggio 1645, podestà e capitano di Rovigo, vi entra il 13 novembre e ne parte il 12 maggio 1647, lasciandola "in sicuro stato di pace e di quiete" - "mi glorio di non haver, nel corso del mio reggimento, dentro il distretto tutto altri casi di morte che otto solamente" -,col Monte di pietà "ottimamente regolato", "le munizioni ben custodite" e - malgrado gli "accidenti... della Val Precona et degl'argini del Po alla Palada di Corbola" - "in buona corrispondenza" col cardinal legato di Ferrara.
Momenti salienti di attività: la distruzione degli "intoppi" e delle "roste" eretti da la "temerità e l'ingordigia de' molinari" nello "alveo del Castagnaro" compromettendo la navigazione, elevando eccessivamente il letto del canale e turbando lo "scolo alle campagne"; l'opposizione alla "moltiplicità de' mercati" di "notabile discapito",a suo avviso, "alle rendite pubbliche" anche perché incentivo al contrabbando; la scrupolosa "rassegna" della "militia"; la "provisione de fieni" e "paglia" per la Dalmazia; l'impegno "per affittare" i dazi gravanti su tutta una serie di prodotti e d'attività "col più possibile vantaggio" (e riesce a collocare quello del vino "a pretio maggiore della precedente condotta"); il coordinamento della "reparatione degli arzeni... di Po... e di questi canali"; la "descrittione delle biave"; l'invio di contributi alla guerra di Candia pur mancando Rovigo di "scuole o altri luoghi oppulenti et che godano entrate di consideratione"; "i proclami rigorosi per levar l'uso pernitioso di inchiettar grani" e la vigilanza attenta perché siano rispettati. Un aspetto negativo del suo reggimento è rappresentato da un continuo susseguirsi di ripicche e puntigli tra lui e i rettori delle "castelle... molto altiere" di Lendinara e Badia Polesine, i quali, contestandone il titolo di "provveditor generale di tutto il Polesine",lo accusavano d'indebita ingerenza - voleva, ad esempio, intromettersi "nelle cause di prima instanza" a loro spettanti - e di prevaricazione; e il C. replicava insistendo sugli inutili dispendi derivanti dalla loro pretesa che pochi "scolari bombardieri" s'addestrassero in loco anziché "capitar a Rovigo... nei tempi stabiliti per l'esercitio loro" e sulla complicazione apportata coi versamenti diretti a Venezia di contributi ch'era meglio indirizzare a "questa camera".
La podesteria di Verona, conferita al C. il 19 marzo 1654 e da lui tenuta dal 27 settembre alla fine di gennaio 1656, lo vede impegnato assieme al capitano Paolo Contarini a fronteggiare, con mezzi inadeguati, una situazione di violenza cronica e quotidiana: la città è infatti "sconvolta per le inimicitie... fra le principali famiglie",cui si collega "l'introducione di persone triste, che servono per bravi gl'istessi gentilhuomini" commettendo "ogni male senza rispetto al signor Dio et alla giustitia".
Si aggiungono: la revisione delle "partite di credito" di Girolamo Massagrandi, "già esattore del territorio"; le "incessanti... diligenze" per "frequentare continuamente gl'incanti" evitando "colusioni a publico pregiuditio" tra i "daciari" (e il C. è particolarmente soddisfatto quando può annunciare d'aver "affittato il dacio dell'oglio" per due anni a 24.000 lire l'anno); l'esame della situazione del Monte di pietà per "riconoscer il suo capitale"; il controllo della circolazione monetaria nel non facile intento di favorire le monete venete in una piazza caratterizzata dalla massiccia presenza di "parpagiole, sante lucie, quarti di ducatoni forestieri et altre simili". Applicando "tutto l'animo... ai bisogni dell'armata et alla publica volontà" e "dricciando",quindi, "l'oggetto di condanar li rei alla galea",il C. è inoltre zelantissimo nel "terminar gli affari criminali" nella convinzione che l'invio d'un nutrito numero di galeotti sia il miglior attestato della bontà del suo servizio; purtroppo "le cause" si protraggono a lungo per "gl'artificii de' rei che, ingannando" l'Avogaria, "si fan scudo" e ne ritardano "l'espedittione con mille... pretesti".
Eletto, il 17 genn. 1665, podestà di Padova, il C. vi entra il 26 luglio e - sommando, dalla fine di settembre sino al 10 genn. 1666, in assenza del capitano, alla "carica pretoria" la "viceprefettura" - vi risiede sino alla fine di novembre del 1666, salutato, nella partenza, da un panegirico di Andrea Cervato e da una esaltazione, a nome degli "artisti" dello Studio, del veronese Giacomo Pighi (entrambi pubblicati a Padova nel 1666; il primo, comunque, è irreperibile).
Opera "accurate diligenze per fermare" il "pernicioso disordine" provocato dalle "fraudi esercitate dall'ingordigia de' pistori sopra la riviera del Brenta" speculanti sui prezzi dei "formenti"; indotto dall'"apprensione" per la "strettezza di minuti" dovuta alla "siccità"; si occupa della "compreda di tanti formenti" per costituire scorte adeguate; sovrintende alla raccolta dei "sussidi estraordinari ultimamente imposti"; fa "riddur a perfettione il libro del resti del debitori di tanse e campatici". Lo anima, al solito, la convinzione, comune a tutto il patriziato veneziano, che "i datii" rappresentino il "patrimonio precioso" della Serenissima e che sia, quindi, suo precipuo dovere, cercando, "più che sia possibile",di renderne "maggiorate l'affittanze",mirare, anzitutto e a costo di tutto, ad "avvantaggiare le rendite" della Repubblica. Suo cruccio, queste, assillante, il conseguito loro aumento - anche se Padova, "dovitiosa di popolo",è, invece, "mediocre di ricchezze e di traffici" - costituisce pel C. un motivo di sincero vanto. Quanto al "castigo de' colpevoli e delinquenti" - asserisce il C. nella rapida relazione del 7 dic. 1666 (edita a Padova nel 1871 e, di nuovo, in Relazioni dei rettori veneti in Terraferma, a cura di A. Tagliaferri, IV, Milano 1975, pp. 395-399) - "rei circa due milla spedii in 1420 processi de sotto posti al malefitio, oltre 250 circa ne' processi incaminati per la cancellaria, e qualche summa ancora nella preffetitia come vicecapitano"; e, tra i giudicati, è riuscito a destinarne 45 al "serviggio delle galere". Ha indagato, infine, con particolare attenzione, sui "maneggi" del Monte di pietà, rivedendo puntigliosamente quelli per "l'adietro scorsi" ed esigendo, con rigore, la copertura dei gravi ammanchi riscontrati; assai rilevante l'"intacco" di circa 200.000 lire addebitabile alla "massaria" di Bonifacio Papafava. Nuoce, purtroppo, la rete di connivenze e d'omertà locali, ché i "massari" non ricevono "molestia alcuna da' sindaci dello stesso monte",mentre i "deputati della città niente operano". Sono, osserva il C., "dell'ordine de' gentilhuomini e però sempre nasce ch'alcuno d'essi ha parentella o congiontione con depputati o sindici"; ne deriva che gli amministratori, sicuri di non avere fastidi dai "congionti",procedono con estrema disinvoltura, e "punto non pensano" all'attuazione di quei decreti della Repubblica, che, se debitamente applicati, avrebbero ridotto l'attuale debito di 10.000 lire a sole 60.000.
Eletto il 3 nov. 1675 consigliere pel sestiere di S. Marco, il C. è uno dei quarantuno elettori che, il 25 ag. 1676, elevarono al dogado Alvise Contarini. "Amalato da febre et affano... giorni tre",morì il 25 luglio 1682 nel suo palazzo di S. Vidal.
Sposatosi il 10 genn. 1633 con Lucrezia di Carlo Contarini (ilfuturo doge) latrice di 40.000 ducati di dote, rimasto vedovo si riaccasò il 4 luglio 1651 con Cecilia di Giacomo Soranzo dalla quale ebbe nel 1653 Federico (eletto, il 14 maggio 1679, provveditore sopra i conti), nel 1658 Francesco Maria e Lucrezia, maritata, nel 1668, con Antonio da Mosto. Nominato, nel testamento del 12 marzo 1675, dal musicista Cavalli, memore dei benefici ricevuti da suo padre, erede delle sue due maggiori "possessioni" (del valore complessivo di 5.500 ducati garantivano una rendita annua di 130 ducati), il C. appare, dall'inventario dei suoi beni compilato l'11 sett. 1682, possessore d'una casa a Padova, "in contrà S. Tomio appresso le porte Contarini",dove "soleva habitar". Più ampia la dimora di famiglia a Venezia, a S. Vidal, con parecchi quadri nelle numerose stanze e circa 40 (del valore, questi ultimi, approssimativo di 1.000 ducati) "in galleria"; molta l'argenteria, numerose e preziose le gioie. Proprietario di campi ad Este, Camisano Vicentino e, nel Veronese, a Nogara - a stare ai molti livelli e a qualche acquisto nei cui contratti figura -, i suoi interessi risultano ancorati alla terra; e tra le sue speculazioni si possono ricordare l'"acquisto",del 21 marzo 1664, dai "presidenti sopra l'esation del dinaro publico",d'una "carica di mesurador da biave e di metter fuori banchetti et aprir boteghe sopra la piaza di Camisan per ducati 110 in giorno di mercato" e l'"affittanza",concessagli dal patrizio Nicolò Venier, "di carati dodeci e cinque settimi d'altro carato sopra una posta de molini de rode quatro con... casa et altre fabriche",nei pressi di Camisano, "per capital di ducati 4000 con pro di 200 ducati annui".
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Avogaria di Comun, regg. 58, c. 57; 91, c.74; 92, c. 59; 159, alla data di morte; la relazione del C. sulla podesteria di Vicenza, Ibid., Senato. Relazioni, busta 51; lettere del C., Ibid., Capi del Consiglio. Lett. di rettori e altre cariche, buste 94/161-232, 235-242, 244-250, 252-259, 261, 262, 266-269; 123, 186-98, 100, 101; 201/235-245, 248-257, 259-268, 270-274, 277-288, 293, 294; 229-464, 165, 167-191, 193-208; Ibid., Senato. Lettere rettori Vicenza e Vicentino, filza 26, lettere del C.dal 18 febbr. 1641 al 4 maggio 1642; Ibid., Senato. Lettere rettori Rovigo e Polesine, filze 31-33,lettere del C.dal 13 nov. 1645 all'11 maggio 1647; Ibid., Senato. Lettere rettori Verona e Veronese, filze 57-59, lettere del C. dal 28 sett. 1654 al 24 genn. 1656; Ibid., Senato. Lettere rettori Padova e Padovan, filze 63, 64, lettere del C.dal 3 ag. 1665 al 28 nov. 1666; Ibid., Senato. Dispacci Francia, filza 87, lettera del 1° ott. 1634; Ibid., Senato Rettori, regg. 12, cc. 3, 99; 13, c. 20r; 17, cc. 174v-175r; 28, cc. 192, 288; 29, cc. 33v, 104r, 135r; 30, cc. 23v, 62v, 76r, 92v, 96r, 97; 40, cc. 321v, 322r; Ibid., Giudici di Petizion. Inventari, busta 384/59; Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, mss. P. D.,693 C/III, Indice instrumenti, passim;Ibid., mss. P. D.,757/67, acquisto del C.,del 6 apr. 1660, di 5 campi; Ibid., mss. P. D.,832/66, 76, 80, ducali al C. del 19 apr. 1641, 28 apr. 1672, 15 sett. 1674; Ibid., mss. P. D.,833/1, 3, ducali al C.del 26 nov. 1680 e del 16 ott. 1670; Ibid., Cod. Cicogna, 1406, un privilegio, firmato dal C.,concedente l'esercizio del notariato al padovano Riccardo de' Riccardi; Venezia, Bibl. naz. Marciana, cod. It. VII,839-845, 847-850 (= 8918-8924, 8926-8929): Raccolta dei consegi, XXVII, c. 355v; XXVIII, cc. 177v, 207r, 210v, 228v, 236v; XXIX, cc. 2v, 3v, 9v, 13v, 166v, 168r, 191v, 194r, 226v, 236v; XXX, cc. 21v, 79v; XXXI, cc. 18r, 24r, gor, 93r, 143r, 146, 151, 157r, 168v, 212r, 219v, 242v; XXXII, cc. 7r, 33r, 66v; XXXIII, cc. 16r, 122v; XXXV, cc. 138r, 143r, isor, 194v, 234v; XXXVI, C. 266r; XXXVII, cc. 38r, 79r; XXXVIII, c. 128v; G. Pighi, Le prerogative dell'illustriss. ... G. C. ... nella partenza dal... governo di Padova..., Padova 1666; Calendar of State Papers... relating to english affairs... in the archives... of Venice…, XXIII, a c. di A. B. Hinds, London 1921, p. 285; E. A. Cicogna, Delle Inscrizioni Veneziane...,VI, Venezia 1853, p. 870; F. Caffi, Storia della musica... nella cappella... di S. Marco...,I, Venezia 1854, p. 290; A. Gloria, Il territorio padovano...,I, Padova 1862, p. 294; G. Durazzo, Dei rettori venez. in Rovigo..., Venezia 1865, p. 30; G. Cappelletti, Storia di Padova…, II,Padova 1875, p. 266; G. Soranzo, Bibliografia veneziana...,Venezia 1885, nn. 4196 s.; G. Biadego, Catalogo... dei mss. della Bibl. comunale di Verona, Verona 1892, p. 54; T. Wiel, F. Cavalli, in Nuovo Arch. ven., n. s., XXVIII (1914), pp. 146 s.; M. Borgherini-Scarabellin, La vita privata a Padova nel sec. XVII…, Venezia 1917, p. 7; A. Favaro, Saggio di bibl. dello Studio di Padova..., I, Venezia 1922, pp. 58 s.; S. Rumor, I podestà vicentini..., Vicenza 1927, p. 32; M. Tosi, Il torneo di Belvedere in Vaticano e i tornei in Italia nel Cinquecento, Roma 1945, p. 29.