CESCIA, Giovanni
Nato a Trieste il 7 genn. 1858, compì gli studi secondari nella città natale e frequentò quindi le università di Vienna e di Graz. Nel 1878, contrario all'occupazione austriaca della Bosnia, occupazione che ripugnava al suo spirito irredentista, egli emigrò in Italia dove frequentò l'università di Padova, laureandosi in filosofia. Si perfezionò quindi all'istituto di studi superiori di Firenze e all'Accademia di Zurigo.
Il C. iniziò la sua attività pubblicistica con ricerche di storia documentaria istriana e giuliana: Cinque documenti inediti sui fiorentini dell'Istria, Capodistria 1880; Sedici documenti inediti sulle trattative fra Trieste e Venezia prima dell'assedio del 1368, Fano 1881; Le relazioni fra Trieste e Venezia sino al 1382, Verona-Padova 1881; La sollevazione di Capodistria nel 1348, ibid. 1883; Venezia e la rivolta triestina del 1468, Arezzo 1888; VII documenti inediti sulle relazioni tra Pola e Venezia, ibid. 1888; Trieste e il patriarca Niccolò d'Aquileia, ibid. 1888; Un documento del 1470sulle relazioni tra Venezia e l'imperatore Federico III, Capodistria 1891. Nel 1884 iniziò la sua collaborazione alla Rivista di filosofia scientifica, diretta dal Morselli, collaborazione che durerà sino all'ultima annata della rivista (1891).
Dal 1886 all'88 insegnò nel liceo di Treviso, poi in quello di Arezzo fino al 1891, anno in cui si trasferì a Messina dove era stato nominato professore incaricato di storia della filosofia. Nel 1891 venne nominato titolare della cattedra e ottenne inoltre l'incarico di pedagogia. Nel 1899 fu nominato preside della facoltà di lettere.
Morì nel terremoto di Messina, con la moglie e il suo unico figlio sedicenne, il 28 dicembre del 1908.
Spirito laico-radicale e irredentista, il C. centrò i suoi interessi sul problema della unificazione ideologica morale e culturale del nuovo Stato unitario, la cui soluzione egli vedeva realizzata soprattutto attraverso la riforma e l'organizzazione di un nuovo "ordo studiorum" della scuola italiana. I vecchi problemi storici ereditati dall'Italia preunitaria, i nuovi nati dal modo stesso della formazione del nuovo Stato e i nuovissimi della "questione sociale" si sarebbero risolti per il C. solo se una riforma religiosa, la creazione di una laica "religione civile" rousseauiana, avesse spezzato le catene con cui le miopi classi dirigenti impedivano l'accesso delle classi popolari alla vita istituzionale del paese e alla dignità, se non all'uguaglianza, culturale e sociale.
Si capisce quindi con quale spirito il C. si accosti alla filosofia: questa non è estrinseca posticcia sistemazione dei risultati dello sviluppo scientifico in una cornice genericamente metafisica, né solo problema del metodo delle scienze, umane o naturali che siano. Filosofia è soprattutto ideologia, battaglia politica e culturale consapevole, coerente sistemazione dei problemi sociali in un armonico sistema di fini da imporre alla e nella società.
Richiamandosi alle più serie e problematiche illuministiche del progresso umano, quelle secondo cui tale progresso non si realizza solo attraverso una provvidenziale eterogonia dei fini che giustifica e ipostatizza l'ingiustizia sociale e la concorrenza economica (e qui si vede come il "positivista" prenda immediatamente le distanze dal darwinismo sociale dello Spencer), per il C. il cammino storico si realizza nel "lavoro culturale umano", che se da una parte "si dirige sempre nella materia naturale e non è altro che una elaborazione intenzionale e teleologica della Natura" (e appare quindi in prima istanza come dominio sulle forze autonome della natura, come progresso scientifico), dall'altra è soprattutto sviluppo intensivo "di attività, di intelligenza e di volontà, in quanto queste sono indirizzate al miglioramento della vita individuale e sociale".
Allo sviluppo meccanico e quantitativo della divisione del lavoro e della cooperazione sociale (al C. sfugge purtroppo il lato intensivo di questo sviluppo, e perde quindi di vista il metro reale delle differenze e dello sviluppo storico) si deve contrapporre un sistema sempre più vasto di "idealità" che tenga unita e coesa la società dettando ai suoi singoli componenti i fini di un'azione ad essa adeguata, ovvero morale. Una società e un popolo saranno per il C. tanto più civili quanto più elevato, ma soprattutto diffuso tra tutte le classi, sarà il sistema delle sue "idealità".
La filosofia non rimane mai isolata nella vita sociale, ma è sempre in intimo rapporto con tutte le altre manifestazioni dell'attività umana: "accanto alla Filosofia concentrata e specializzata vi è la Filosofia diffusa, generalizzata e indeterminata, la quale, fondendosi coi prodotti della fantasia, della fede e del costume, esercito il suo impero in tutti gli strati sociali e su tutte le forme dell'attività umana, ed apporta un'intima armonia in tutte le manifestazioni dell'Idealità etico-sociale" (La filosofia dell'azione, Palermo 1907, p. 149).
Quindi la filosofia appare come l'ultimo prodotto della più varia esperienza storica dell'umanità, se la si considera come risultato; ma anche come ciò che ci mostra la struttura, lo scheletro, così come la stratificazione e la distribuzione dei propri benefici al suo interno, della società in un punto qualunque della sua evoluzione, se la si considera come punto di partenza: o meglio, come l'effettivo centro gravitazionale delle varie manifestazioni sociali.
Naturalmente questo carattere sociologico della filosofia, di risultato e di epicentro dinamico dello sviluppo sociale, va anche dimostrato in sede gnoseologica. A tal fine il C. prende le mosse da un riesame della filosofia kantiana, in polemica con il neokantismo tedesco e con la filosofia dei valori.
Nella Dottrina kantiana dell'apriori, ma soprattutto in una sterminata serie di saggi e articoli di natura polemica e storiografica, il C. vuole confermare il carattere fenomenico e relativo di ogni conoscenza umana, al fine di bandire ogni tipo di dommatismo metafisico e di religione "teocratica". Richiamandosi a Spencer, ma soprattutto al dibattito interno alla nascente scienza psicologica tedesca tra il nativismo dello Hering e l'empirismo dello Helmholtz, e in generale sfruttando, magari estrinsecamente, tutto ciò che la "Psicologia scientifica" poteva offrirgli, il C. cerca di dimostrare che tutte le forme a priori sono tali per l'individuo, ma non per la specie, comprese quelle dell'esperienza morale.
Ma il fenomenismo non esclude il realismo della conoscenza, il suo valore gnoseologico positivo, essendo l'uomo e la società del tutto all'interno dei processi naturali. Riprendendo l'idea baconiana secondo cui si comanda alla natura solo obbedendole, ma facendo solo del lavoro, dell'attività teleologica (non considerata in astratto, bensi sempre come cooperazione sociale e divisione del lavoro) il vero soggetto di questo dominio, il fenomenismo e la relatività della conoscenza assumono nel C. il significato della storicità e della gradualità di questa approvazione e sfruttamento delle forze naturali. La società presenta sempre all'individuo un sistema dato di conoscenze e metodi, che costituiscono per lui un a priori del quale si deve impossessare secondo uno sviluppo psichico naturale e secondo un processo di sviluppo morale e pedagogico. Ciò che restadell'oggetto al di là di questo filtro metodologico e al di là delle effettive conoscenze, la cosa in sé e l'inconoscibile, è solo il campo delle future scoperte del progresso reale, non un semplice prodotto mentale da manipolare per operazioni di carattere idealistico.
Si può quindi dire che il C. giunga a formulare una sociologia della conoscenza. Ma in realtà egli non scende in particolari. Ciò che gli preme è solo ribadire l'origine sociale del contenuto della conoscenza e l'origine psicologica delle sue forme. E tutto questo per poter porre la società come fine etico dell'individuo, come oggetto e scopo di affetto e venerazione, e quindi come fulcro della verace vita religiosa. Tenendo ferma l'idea che la società è prima di tutto l'insieme di individui cooperanti, uniti da attività e compiti comuni, sottolineando quindi la differenza tra Gemeinschaft e Gesellschaft ("quella legge ["la legge della concorrenza economica] - dirà il C. nella Religione della morale, p. 94 - non è sociale, e neppure della sola economia politica, ma è un recente prodotto dell'attuale stato economico ed industriale"), e facendo quindi della cooperazione umana la scaturigine e il fine di ogni attività specificamente umana, teoretica o pratica che sia, ribadendo che la società è fatta di uomini e per gli uomini, e che non può identificarsi nell'astrazione delle sue istituzioni giuridiche e delle sue leggi economiche, il C. conclude che la ricomposizione interna dei mali e delle disuguaglianze sociali è il supremo fine etico dell'uomo, in cui si risolve l'apparente antinomia tra il fine e il mezzo dell'attività umana, tra il valore del fine e l'esigenza della sua origine empirica.
Opere: oltre alla collaborazione alla Biblioteca delle scuole italiane (1904-1905) e ai numerosi articoli apparsi nella Rivista di filosofia scientifica (1884-1891), si ricordano: Ilnuovo realismo contemporaneo della teorica della conoscenza in Germania e in Inghilterra, Padova 1883; Storia edottrina del criticismo, Verona-Padova 1884; La dottrina kantianadell'apriori, Verona-Padova 1885; Ueber die Existenz von anbewussten psychischen Zustände, Leipzig 1885; La dottrina psicologica sulla natura della coscienza, Milano-Torino 1886; La morale della filosofia scientifica, Verona-padova 1886; Die Lehre von Selbstbewusstsein, Leipzig 1887; La suggestione ipnotica, Napoli 1887; La metafisica ela teorica della conoscenza del Leibniz, Padova 1888; La scuola secondaria unica, Padova-Verona 1889; Dell'educazione morale, ibid. 1891; L'insegnamento secondario classico, Cagliari 1891; La religione della morale, Padova-Verona 1893; Principi di pedagogia generale, Torino-Roma 1900; La scuola secondaria, Palermo 1902; La religione morale dell'Umanità, Bologna 1902; La filosofia dell'azione, Palermo 1908; Religiosità e pedagogia moderna, Messina 1908.
Fonti e Bibl.: 28.XII.1908. Commemorazioni, a cura dell'Univ. di Messina, Messina 1912, ad vocem; K. Werner, Die italien. Philosophie des neunzehnten Jahrhunderts, IV, Wien 1886, pp. 41-59; S. Caramella, Studi sul positivismo pedagogico, Firenze 1921, pp. 152-162; A. Campanelli, Il pensiero filos. e pedagogico di G. C., Mirandola 1942; L. Bulferetti, Le ideologie socialistiche in Italia nell'età del positivismo evoluzionistico, Firenze1951, p. 15; E. Garin, Storia della filos. italiana, Torino 1966, p. 1346.