CIPRI, Giovanni
Nacque a Finale Emilia (Modena) nei primi anni del secolo XVI da Giuliano (nel 1536 già morto). Nei documenti il cognome è variamente indicato: accanto alle forme latine "de Cipriis, de Cypro, Ciprie" stanno quelle in volgare "Cipri, Cipria, Ciprio, Cipriotto", senza contare che regolarmente nei libri di contabilità di S. Petronio a Bologna egli figura come "Zohane da Ferara". La sua famiglia esercitava il commercio e la lavorazione del legname; fu questa forse la prima circostanza a favorire la sua inclinazione all'arte organaria. Nulla si sa della sua formazione. Certo nel 1536 doveva essere già artigiano provetto, se poteva assumere a pochi mesi di distanza l'impegno di due commissioni prestigiose: la costruzione di nuovi organi per la chiesa dei servi a Ferrara (il 30 marzo) e per quella dei canonici regolari lateranensi di Piacenza (il 5 agosto); dai rispettivi contratti (v. Mischiati, 1960) risulta che abitava già a Ferrara: nel primo si dice solo "habitans in civitate Ferrarie in contrata nova", mentre nel secondo egli è qualificato "civis Ferrariensis de contrata Sante. Marie in Vado". Tre anni più tardi, alla stipulazione del contratto per l'organo della chiesa di S. Francesco a Carpi (il 22 febbraio) la sua residenza ferrarese risulta "in vicinia S. Stephani". Il 7 genn. 1540 s'impegnava a fornire un nuovo organo alla collegiata (poi cattedrale) della stessa Carpi; lo strumento fu ultimato sollecitamente, tanto che il 29 sett. 1541 ne assumeva la manutenzione ordinaria. Nel frattempo - maggio 1541 - effettuava un radicale intervento all'organo della chiesa di S. Francesco a Rovigo. L'11 dic. 1544 consegnava ultimato quello della chiesa di S. Francesco a Piacenza, per il quale riceveva la soluzione finale il 21 marzo 1546. Nel giugno dell'anno successivo ultimava quello della chiesa di S. Francesco a Modena. Al 1551 risale lo strumento datato e firmato della chiesa del Suffragio (ma proveniente da quella, delle monache benedettine di S. Antonio in Polesine) a Ferrara e la costruzione di un nuovo organo per la chiesa di S. Domenico a Bologna; è questa la prima notizia della sua attività in questa città, che di lì a poco diverrà - se già non lo era divenuta - la sua nuova residenza. Non ci sono noti i motivi del suo trasferimento e resta abbastanza inspiegabile l'abbandono di una città come Ferrara, sede di una corte tra le più munifiche per l'attività artistica e musicale. È comunque verosimile che egli risiedesse già a Bologna nel 1555: il 19 agosto di quell'anno, infatti, assumeva la costruzione del nuovo organo per la chiesa di S. Martino (dei carmelitani) e poco tempo dopo, il 2 ottobre, veniva assunto come conservatore dell'organo di S. Petronio con il salario mensile di 3 lire, incarico che ricoprì fino alla morte.
Nel 1556 ultimava l'organo di S. Martino, compiva un primo intervento all'organo di S. Petronio e intraprendeva la costruzione di quello per la chiesa di S. Domenico a Brescia. Nel 1560 compiva a Verona il restauro dell'organo della chiesa domenicana di S. Anastasia e ne costruiva uno nuovo per quella francescana di S. Fermo Maggiore; per quest'ultimo strumento risulta coadiuvato dal figlio Paolo. Alcuni anni dopo, tra il 1563 e 1564, effettuò un restauro all'organo di S. Petronio e vi aggiunse il flauto in duodecima. Agli inizi del 1566 risulta coinvolto in una condanna criminale emessa dal vicario della Curia vescovile di Bologna: per un reato che non viene denominato e la cui divulgazione avrebbe diffamato le sue due figlie impuberi, il C. viene condannato ad una multa di 50 scudi, al soggiorno coatto in alcune stanze poste sopra le volte della cattedrale (al posto del carcere, onde poter accudire alla costruzione dell'organo della stessa cattedrale) e al bando per quattro anni dalle città e diocesi. In commutazione della pena pecuniaria egli veniva costretto dal capitolo della cattedrale al gratuito rifacimento dell'organo della cattedrale stessa; come fideiussore agì il figlio Paolo e come garanzia parziale il C. esibì un credito da lui vantato dalle monache domenicane di S. Monica di Ferrara, probabilmente a motivo della costruzione di uno strumento. In quello stesso anno cade la costruzione dell'organo per la chiesa di S. Maria dei servi di Bologna. Contrariamente alla citata sentenza di condanna, una volta ultimato l'organo della cattedrale, non ebbe esecuzione il bando quadriennale: infatti tra il 1567 e il 1568 il C. rinnovava l'organo delle monache della ss. Trinità. Nel 1571-73, infine, costruiva un nuovo strumento per la chiesa arcipretale della sua terra natale, Finale.
Morì, verosimilmente a Bologna, tra la fine di marzo e i primi di aprile del 1575.
L'attività del C. fu continuata dal figlio Paolo, che il 6 apr. 1575 gli succedeva nella carica di conservatore dell'organo di S. Petronio; conservò l'ufficio fino alla morte, sopraggiunta, forse a Bologna, qualche giorno prima del 27 giugno 1609, Allo strumento petroniano effettuò interventi di varia entità nel 1577, 1589, 1591 e 1595. Già nel 1573 aveva compiuto un restauro all'organo dell'oratorio di S. Bartolomeo di Reno a Bologna. Il 16 nov. 1576 s'impegnava a costruire un nuovo strumento per la chiesa di S. Francesco a Sant'Arcangelo di Romagna; nel 1585 ne costruiva uno per Ig chiesa maggiore (S. Giorgio) di Sassuolo. Sempre dal 1576 con il fratello Paolo assumeva la manutenzione, dello strumento, costruito dal padre, di S. Martino (dei carmelitani), incarico in cui è documentato ancora nel 1592-93. Nel 1579 e nel 1604 effettuò lavori all'organo del Collegio di Spagna; è assai probaffile che per tutto quel periodo egli abbia avuto l'incarico della manutenzione ordinaria. Nel periodo 1592-96 curò anche la manutenzione dell'organo della cattedrale di Bologna. Nel 1608, infine, risulta aver parzialmente rifatto l'organo della cattedrale di Ferrara.
Altro figlio del C. fu Giuliano (anche Giulio nei documenti). Di lui si sa che nel 1576 costruì un organo nella chiesa di S. Giovanni Battista dei celestini a Bologna; nel 1583 costruì quello della chiesa di S. Francesco a Mirandola (di sette registri, a corista lombardo, riuscito di singolare armonia); nel 1588 compiva lavori di accordatura in quello di S. Francesco, sempre a Bologna.
Figlio di Paolo fu Agostino: ne ereditò l'ufficio di accordatore stabile a S. Petronio dal 27 giugno 1609 fino alla morte, avvenuta, verosimilmente a Bologna, qualche giorno prima del 5 febbraio del 1615; nel frattempo - il 19 marzo 1614 - aveva avuto identico incarico per il secondo organo petroniano, raccogliendo la successione del suo costruttore Baldassarre Malamini. La stessa mansione svolgeva nella chiesa dei servi nel 1608-09; nel 1609 effettuava un intervento all'organo di S. Michele in Bosco.
Documenti settecenteschi attribuiscono ad Agostino gli organi delle chiese bolognesi della Beata Vergine del Soccorso (santuario di Borgo San Pietro) e della vicina chiesa di S. Maria della Mascarella; quello che restava degli strumenti attraverso i successivi rifacimenti è definitivamente andato distrutto sotto i bombardamenti dell'ultima guerra.
Degli organi costruiti dai Cipri restano cospicue testimonianze: oltre ai quattro prospetti sontuosamente intagliati e dorati (Bologna, S. Martino; Carpi, duomo; Ferrara, Suffragio; Verona, S. Anastasia) conservano una buona percentuale di canne originali quelli di Bologna: S. Martino, ss. Trinità e S. Giovanni Battista dei celestini (oltre al flauto in duodecima nell'orgario "in cornu Epistolae" di S. Petronio), quello del duomo di Carpi e quello del Suffragio di Ferrara (quest'ultimo è forse il più integro: oltre alla cassa sono originali il somiere, la catenacciatura, il telaio del crivello momentaneamente accantonato, forse la tastiera e buona parte delle canne, tranne quelle della facciata). A Paolo inoltre risale la robusta intelaiatura di doghe di rame da lui applicata nel 1595 alle tre canne centrali della facciata verso il coro dell'organo "in cornu Epistolae" di S. Petronio a Bologna.
Manca poi la documentazione su alcuni strumenti che incorporano canne di sicura fattura dei Cipti: quelli delle parrocchiali di Castel de' Britti e Sant'Agata in provincia di Bologna; a Ferrara quello di S. Paolo; a Spilamberto (Modena) quello della chiesa di S. Adriano; a Montegaudio (Pesaro) praticamente le sole canne di facciata di uno strumento originario dell'oratorio attiguo alla chiesa di S. Maria della Mascarella a Bologna. Infine, alcune canne dei Cipri - assai alterate - sopravvivono nel vecchio organo a trasmissioni pneumatico-tubolari di Giuseppe Rotelli della chiesa dei servi di Bologna trasferito nella chiesa del medesimo Ordine (Sacro Cuore) ad Ancona.
Dagli strumenti superstiti e dalle sovente scarne indicazioni tecniche figuranti nei contratti e nei documenti si possono desumere alcuni tratti stilistici della manifattura organaria dei Cipri.
L'impianto è fondamentalmente quello praticato durante il Cinquecento dagli organari dell'Italia settentrionale: organi di dieci piedi (in due casi - Bologna, S. Martino, e Piacenza, S. Agostino - con la qualifica di "corista") oppure di cinque piedi, ad una sola tastiera, senza registri indipendenti di pedale e comunque con canne esclusivamente di metallo (stagno per quelle di facciata, piombo, per quelle interne), perlomeno per tutti i casi documentati, cioè per organi destinati a chiese. Particolarità propria ai Cipri è la presenza di canne interne più gravi della prima canna di facciata: così il "Mi Re Ut" a Carpi (S. Francesco) e Sant'Arcangelo, come le prime sette a Carpi (duomo) e le prime dieci a Ferrara (chiesa dei servi). L'estensione della tastiera è specificata una sola volta (Carpi, duomo) in quarantasette tasti, mentre a Bologna (S. Martino) le canne indicano che essa doveva essere in origine di cinquanta: si tratta dei due ambiti "classici" per l'organaria italiana rinascimentale negli organi di dodici piedi, cioè da fa-1 a fa4(o, rispettivamente, a la4)senza i primi fa diesis e sol diesis (e, nel secondo caso, anche senza sol diesis4).Nulla sappiamo dell'estensione del pedale, peraltro soltanto elencato nel contratto per Piacenza (S. Agostino).
La famiglia del ripieno - secondo le consuetudini italiane - si presenta articolata in file separate, normalmente fino alla vigesimanona (a Carpi, duomo, sino alla trigesimasesta). Più variegato è il comportamento dei Cipri per quanto attiene ai registri "di concerto": in maniera non dissimile da quanto sappiamo che facevano altri organari (ad esempio, G. B. Facchetti) si comporta il C. con i flauti. Si va da un solo, non specificato flauto (unico registro di concerto per Carpi, S. Francesco, e Ferrara, chiesa dei servi), forse in ottava, al flauto in quintadecima per il duomo di Carpi e Piacenza (S. Francesco); a Piacenza (S. Agostino). quest'ultimo è certamente identificabile con i "flauti parvi" del documento, dove esso figura affiancato da quello in ottava. Forse già a Ferrara (Suffragio), ma sicuramente a Bologna (S. Martino) s'incontra il binomio - che in quel tempo stava diventando canonico - in ottava e in duodecima; in duodecima è altresì il flauto che il C. aggiunse all'organo di S. Petronio, come quello che Paolo prevedeva per Sant'Arcangelo (tuttavia in sorprendente concomitanza con un flauto unisono al principale). Dei tutto peculiare ai Cipri è il frequente impiego di registri ad ancia:, i tromboni per Carpi (duomo), la cornamusa aggiunta a Rovigo (S. Francesco) e Bologna (S. Martino), le trombe a Bologna (SS. Trinità), infine la cornamusa prevista da Paolo per Sant'Arcangelo. Accessorio in funzione della presenza di tale tipo di registro è certamente il tremolo o tremolante, da intendere nel senso proprio e letterale di registro meccanico e non invece sinonimo di "fiffaro" o voce umana mai attestata presso i Cipri (il registro omonimo presente attualmente in organi Cipri è fmtto di aggiunte recenziori). Anche relativamente al tipo di somiere le abitudini del C. non sembrano collimare con le consuetudini più note: per organi di dieci piedi è espressamente previsto in due casi (Carpi, duomo, e Piacenza, S. Agostino) quello "a tiro". I mantici figurano in numero di tre (per i due organi di Carpi) o di quattro (Ferrara, chiesa dei servi; Piacenza, S. Agostino).
Fonti e Bibl.: C. Frassoni, Memorie del Finale di Lombardia, Modena 1778, p. 106; L. N. Cittadella, Notizie relative a Ferrara, Ferrara 1864, p. 67; Id., Docc. ed illustraz. risguardanti la storia artistica ferrarese, Ferrara 1868, pp. 289-290; Tommasino de' Bianchi detto de' Lancellotti, Cronaca modenese, IX, Parma 1873, p. 102; C. Cipolla, Ricerche stor. intorno alla chiesa di S. Anastasia in Verona, in Arch. veneto, XVIII(1879), p. 311; G. Gruyer, L'art ferrarais à l'époque des Princes d'Este, I, Paris 1897, p. 309; N. Cionini, Teatro e arti in Sassuolo, Modena 1902, p. 368; G. Picconi, Centone di memorie storiche concernenti la Minoritica Provincia di Bologna, II, Parma 1911, p. 140; E. Albini, Due rari strumenti musicali d'arte ferrarese del '500, in Rivista di Ferrara, II(1934), pp. 319 s.; O. Mischiati, L'organo della basilica di S. Martino di Bologna capolavoro di G. C., in L'Organo. Riv. di cultura organaria e organistica, I(1960), pp. 213-256; Id., Le tradiz. organarie della chiesa di S. Maria dei servi di Bologna, in L'organo di S. Maria dei servi in Bologna nella tradiz. musicale dell'Ordine, Bologna 1967, pp. 65-94; Id., L'organo al Collegio di Spagna di Bologna, in Studia Albornotiana, XXXVI (1979), pp. 269-99.