COMIN (Comino), Giovanni
Il Federici (1803, p. 105) dice del C. che fu autore nel 1673 di un disegno dell'altare del Rosario nella chiesa di S. Nicolo a Treviso e che nel 1676 divenne padre di Andrea, divenuto scultore; si può quindi supporre che sia nato fra il 1645 e 1650, sicuramente a Treviso: nell'accordo del 5 genn. 1679 si firma "Giovanni Comin da Treviso". In questa città va anche posta la sua formazione. Nell'accordo citato il C. risulta, però, dimorante a Venezia, in S. Tomà; quindi in data da porsi fra il 1673 e 1678 dovette abbandonare Treviso, ed "in Venezia, ed in Roma sotto i più valenti maestri apprese l'arte, l'architettura, e la scultura" (Federici, 1803, p. 105). Se ci fu, fu certo giovanile il soggiorno a Roma, dove "apprese" e "travagliò indicazione generica ma probabile, perché anche appoggiata stilisticamente da accenti classicistici individuati da Ivanoff e Semenzato. A Venezia invece stabilì la sua residenza, con bottega a S. Tomà, e poco dopo a S. Trovaso (accordo del 12 marzo 1681); e ancora più tardi "in Calle dei Cerchieri sopra Canal Grande" (Temanza, 1738). "Morì... di morte improvisa in una bottega di speciale da Medicina sulla Fondamenta di Ca' Zenobio ai Carmeni l'anno 1708" (ibid.). L'anno, se indicato more veneto, può anche diventare 1709; benché nei necrologi (purtroppo privi di gennaio e febbraio 1707 more veneto, cioè1708) il fatto non compaia, l'indicazione, così circostanziata, sembra essere credibile, perché la singolarità di quella morte dovette restare nel mondo delle botteghe, e giungere al giovane Temanza da ex conoscenti del C., fra cui magari suo padre, o lo zio.
Doveva aver nome se nel Ritratto di... Venezia, del 1705 (egli ancor vivo), viene indicato come "scultor famoso" (p. 33), e le statue dell'Arsenale sono dette opera di "Autori i più cospicui de' nostri tempi", "le più eccellenti che siano uscite da scalpello di quel secolo" (pp. 676 s.); e infatti lavorò molto, in città e fuori. Probabilmente la quantità di impegni spiega come il C. "non faceva altro, che modelare e le Statue in Pietra le facevano due suoi Giovani uno chiamato Qghero di nazione Tedesco, e l'altro Giacomo Femenuzzol veneziano" (Temanza); e spiega l'associazione con altri artisti, specie col Merengo (S. Giustina; cappella della Pace; chiesa degli Scalzi; S. Maria del Giglio; S. Nicolò di Lido; Arsenale; cappella del palazzo del Monte di pietà): un'organizzazione quasi industriale per soddisfare la gran richiesta d'arredamento di chiese; da cui una certa koinè linguistica, che rende problematico e talora impossibile individuare paternità non esplicitamente indicate.
Si dà qui di seguito l'elenco delle opere per luoghi. Padova: basilica del Santo, Monumento funebre a Pietro e Domenico Marchetti (padre e figlio, professori di medicina all'università), firmato, eseguito fra il 1678 e 1690 (date nelle iscrizioni in esso scolpite); basilica di S. Giustina, altare degli Innocenti, statua di Rachele con un bimbo in braccio ed uno morto ai piedi, e ancora il gruppo di putti sorreggente tale statua e quello sorreggente l'urna degli Innocenti. Nonostante qualche contrattempo, i monaci dovettero restar soddisfatti se l'incaricarono di eseguire, per l'altare di S. Giuliano, la statua del Santo e due gruppi di putti (contratto 8 maggio 1680); per l'altare di S. Massimo, la statua di S. Filippo apostolo, poispostata sull'altare degli Innocenti (contratto, 12 marzo 1681; i documenti in A. Sartori, Docum. per la storia dell'arte a Padova, Vicenza 1976, p. 75).
Treviso: non esiste una vera documentazione ma solo attribuzioni, talora contradditorie; per le molte opere scomparse, si veda Federici (1803) confrontandolo ove possibile col Cima (1699). Dalle tradizionali attribuzioni va escluso il Monumento ad Alessandro VIII, nel duomo, che L. Coletti (in Il Resto del carlino, 1° marzo 1928) ha dimostrato essere del Bonazza. Nella chiesa di S. Nicolò va senz'altro confermato il Monumento a Benedetto XI, sulla testimonianza del Cima, rafforzata dall'analogia che tale opera presenta con lo schema compositivo del monumento Marchetti e con la gravitas delle statue dell'Arsenale; la data 1693 nell'iscrizione indica la fine del lavoro.
Udine: cappella del Monte di pietà (ora Cassa di risparmio), paliotto con l'Incontro della Veronica con Cristo (contratto 23 maggio 1694; C. Ermacora, in C. Ermacora-G. Pilotti, Un palazzo vivo, Udine 1955, p. 16).
Venezia: un documento del 5 ott. 1680 (E. Lacchin, Madonne veneziane..., in Mater Dei, IV [1932], 4, p. 246) attesta che il C. è incaricato di lavori con Arrigo Merengo e Michele Ongaro in S. Nicolò di Lido; per Semenzato (1966, p. 91) gli spetterebbero il S. Luca nel terzo altare di destra e un Santo vescovo nel secondo di sinistra. Ivanoff (1948, p. 123) sulla base di un documento dell'Archivio Giovannelli, ad annum 1683, assegna genericamente al C. un Angelo sull'altare della cappella di S. Giovanni della Croce (per Semenzato, 1966, p. 91, si tratta di due angeli) in S. Maria degli Scalzi. Nel Ritratto di Venezia (1705, p. 33) vien descritto come "opera preziosa del Comin scultor famoso" il paliotto dell'altar maggiore di S. Maria del Giglio (o Zobenigo), riferimento sicuro essendo il C. ancor vivo: rappresenta in lapislazzuli l'Ultima Cena. Per analogia di tecnica e stile si possono aggiungere i quattro Angeli reggenti i simboli del martirio, a due a due sui pilastri a fianco del paliotto (G. Bianchini, La chiesa di S. Maria..., Venezia 1895, p. 13): opere eseguite probabilmente poco prima del 1684, anno in cui le registra M. D. Martinelli (Il ritratto di Venezia, Venetia 1684, p. 27). Delle statue sulla balaustrata dell'Arsenale ordinate dal Senato nel 1687, quando Francesco Morosini conquistò il Peloponneso (M. Nani-Mocenigo, L'Arsenale..., Roma 1938, p. 7), e ultimate nel 1692, come dall'iscrizione nelle basi, son sue, firmate, quelle di Marte e Nettuno. Temanza ricorda come del C. "le statue dell'altar della Madonna della Pace a SS. Gio. e Paulo"; nel paliotto, firmato dal C., dell'altare di questa cappella (già situata fra la Scuola Grande di S. Marco e il primo chiostro del convento dei SS. Giovanni e Paolo: Zucchini, 1785, pp. 413 s.) è rappresentato a rilievo un Angelo che libera alcune anime purganti. Dopo varie vicissitudini, nel 1826 l'altare venne comprato per la cappella del SS. Sacramento nella chiesa di S. Giusto di Trieste (A. Tribel, Passeggiata... per Trieste, Trieste 1885, p. 158; O. Incontrera Guida... di S. Giusto..., Trieste 1928, p. 69), e dopo più d'un secolo trasferito nella chiesa di S. Bartolomeo a Barcola. Il Temanza ancora scrive essere del C. "una statua di S. Ermolao a S. Michele di Murano" (1738); confermata dall'Ivanoff (in Temanza, 1963, n. 8), è oggi irreperibile.
Le prime opere note, quelle padovane, indicano nella complessità delle componenti linguistiche l'iter di formazione del C.: un barocco gioco di panneggi derivato dal Le Court, le cui opere poté studiare certamente a Venezia, ma forse già a Treviso; una sensibilità alla volumetria compatta dei corpi, spesso richiamanti anche nel volto esemplari classici, che conferisce probabilità a quel giovanile viaggio a Roma sostenuto dal Federici; una fantasiosa abilità scenografica; ed infine un'attenta sensibilità realistica, che non è improbabile rappresenti la componente trevigiana della formazione del Comin.
Punto d'arrivo del suo percorso evolutivo sono da considerare il monumento a Benedetto XI nella chiesa di S. Nicolò di Treviso e L'Incontro della Veronica con Cristo nella cappella del Monte di Udine, opere in cui il C. mostra di avere raggiunto maturità e personalità di linguaggio: sintetiche senza più alcuna traccia di mediazioni classicistiche, vibranti ed espressive senza artifizi barocchi.
Andrea, figlio del C. (secondo Federici), nacque a Treviso nel 1676; le poche notizie su di lui sono riferite dal Federici (1803) che riporta un contratto del 13 genn. 1703, dove Andrea si impegna ad eseguire statue e bassorilievi per l'oratorio della villa Avogaro a Cavalea d'Onigo già distrutto nel 1768 (Semenzato, 1966, p. 90); lo stesso Federici gli attribuisce altre opere oggi non rintracciabili.
Fonti e Bibl.: Treviso, Bibl. comun., ms. 643: N. Cima, Le tre faccie di Trevigi... [1699], II, p. 267; III, p. 118; Il ritratto ovvero le cose più notabili di Venezia, Venezia 1705, pp. 33, 319, 676 s.; T. Temanza, Zibaldon [1738], a cura di N. Ivanoff, Venezia-Roma 1963, p. 101; T. A. Zucchini, Nuova cronaca veneta, Sestier I. Venezia 1785, pp. 401 s., 465; D. M. Federici, Mem. trevigiane..., II, Venezia 1803, pp. 105 s. (135, 139 per Andrea); F. Di Maniago, Guida diUdine... S. Vito 1839, p. 46; E. Paoletti, Il fiore di Venezia, II, Venezia 1839, p. 204; III, ibid. 1840, p. 20; G. Tassini, Edifici distrutti o volti ad uso diverse..., Venezia 1885, pp. 82, 119; Treviso, Bibl. comun., ms., 1359: F. Capanni, Le arti della musica e del disegno... di Treviso... [1886-1892], p. 219 (per Andrea); Ibid., ms. 1355: Id., La città di Treviso... [1892], II, pp. 223, 225; L. Coletti, Treviso, Roma 1935, pp. 154, 400; C. Chimenton, Perdite e risarcimenti... nelle chiese del lungo Piave, Treviso 1935, p. 375 (per Andrea); A. Pavan, I Comin, una fam. di scultori…, tesi di laurea, univ. di Padova. a. acc. 1946-47; N. Ivanoff, Monsù Giusto ed altri collab. del Longhena, in Arte ven., II (1948), pp. 123, 126; C. Semenzato, La scultura veneta del Seicento e del Settecento, Venezia 1966, ad Indicem (anche per Andrea); N. Ivanoff, Sculture e pitture…, in La basilica di S. Giustina…, Castelfranco Veneto 1970, pp. 295 s.; S. Sartori, Regesto di S. Giustina, ibid., pp. 457 s.; U. Thieme-F. Becker Künstlerlexikon, VII, p. 276 (sub vocibus Comino Andrea di Giovanni e Comino Giovanni).