CONCA, Giovanni
Figlio di Giacomo, nacque a Gaeta verso il 1690. Era cugino di Sebastiano ma presto fu creduto suo fratello talmente erano stretti i legami di amicizia e di lavoro. Ebbe i primi insegnamenti da Sebastiano prima di essere allievo di Solimena; sembra che non sia venuto a Roma insieme con il cugino come si scrive generalmente, ma che lo abbia raggiunto solo quando la situazione di questo era divenuta sicura e definitiva: vi compare per la prima volta nel 1719 quando abitano insieme nel palazzo De Cupis a piazza Navona dove il cardinale Ottoboni dava alloggio alla sua "famiglia" cardinalizia.
Il 20 febbr. 1721 sposò, in S. Maria in Trastevere, Anna Laura Scarsella di Castro, romana di origine spagnola, come probabilmente i Conca stessi. Ebbero almeno undici figli tra i quali Tommaso, ultimo dei maschi, pittore anche lui. Sulle tracce di Sebastiano il C. fu ammesso nella Congregazione dei Virtuosi al Pantheon (8 febbr. 1722) ed eletto accademico di merito, a S. Luca il 6 marzo 1735; il 3 aprile consegnò il quadro per l'ammissione il cui soggetto non è specificato: è la cosiddetta Vigilanza, o più esattamente la Modestia, tela di bella qualità, che si è creduta finora dipinta da Sebastiano e regalata all'Accademia da Giovanni. Il nuovo accademico dimostrava scarso interesse per le attività dell'istituzione: nei primi anni assistette a otto congregazioni su più di trenta, poi, dal 7 luglio 1737 non compare più. Nel 1738, dopo le fallite trattative della corte sabauda con Corrado Giaquinto, fu il C., meno esigente, a trasferirsi a Torino. Partì da Roma nel novembre con tutta la famiglia. Sono conservate ricevute di pagamenti per lavori nel palazzo reale, nell'appartamento d'estate della regina, fino al 15 luglio 1739, data dell'ultima ricevuta (Schede Vesme, 1963). Nonostante il versamento di somme per le spese del ritorno a Roma, il C. si fermò a lungo a Torino, fino al termine della guerra di successione d'Austria. Interrogato sullo stato libero della figlia Maria Rosa, nata a Torino nel 1740, lo stesso C. disse di esser tornato a Roma nel giugno 1748, e di fatto nel 1749 si trova registrato nella parrocchia di S. Cecilia in Trastevere (Roma, Arch. stor. del Vicariato, Stati delle anime, n. 118). Il primogenito dei maschi, Diego, sarebbe, secondo una tradizione, perito nella difesa di Cuneo nel 1744.
I quadri conservati a Torino, elencati in Schede Vesme (1963), sono dunque stati dipinti sul posto durante la lunga permanenza. I legami con la corte dureranno: nel 1753 si parla di comprare a Roma opere di Tiziano e Rubens tramite il suo interessamento (ibid., pp. 359 s.).
Tranne che nei dieci anni torinesi tutta la sua attività si svolse a Roma, esclusivamente nella scia del cugino Sebastiano. Artista abile "nel dipingere tanto a fresco quanto a olio" (ibid., p. 356), sembra sia stato un personaggio di secondo piano, aiutando il cugino tanto per i lavori di largo respiro quanto per l'insegnamento: Gaetano Lapis gli venne affidato da Sebastiano con ordine di "dargli l'alloggio e riceverlo seco e istruirlo nella carriera pittorica", e difatti dagli Stati delle anime risulta che quest'ultimo abitava vicinissimo nel 1723 e nel 1726, e proprio in casa del C. nel 1728 e 1729. L'autore della Vita di G. Lapis (1787) sottolinea le qualità pedagogiche del C., che, se non aveva molta ispirazione, si dimostrava "pittore di buone massime, pieno di savie avvertenze nella composizione e singolarmente assai studioso nell'osservare nel vero gli accidenti dei pannegiamenti", qualità che potrebbero anche convalidare la sua reputazione di copista.
Se è vera la tradizione che gli attribuisce due Allegorie - dell'Europa e dell'Asia - al castello di Kozel in Boemia tratte dalle opere di Solimena nella collezione Doria Pamphili, a torto, invece, gli sono ascritte quattro tele oggi nella chiesa di S. Domenico ad Urbino sostituite a quattro altre asportate nel 1797 dalle truppe francesi; tutte e otto sono "cartoni" per i mosaici della basilica di S. Pietro di cui si conoscono gli autori dall'archivio della Fabbrica (l'errore data dalla Storia pittorica di L. Lanzi: cfr. ediz. a cura di M. Capucci, I, Firenze 1968, p. 410). Sarebbe tutta sua, al contrario, la pala d'altare con una Madonna del Rosario databile circa al 1727, cioè all'epoca in cui furono trasferite a Urbino da Roma le tele copiate a S. Pietro. Lo stesso anno, nell'aprile, una nota di spese fatte a Montecassino per l'arrivo del pontefice Benedetto XIII registra 8 ducati pagati al C. "pel disegno di chiaroscuro della statua di N.S. nella badia Cassinense". L'affresco che orna la volta dell'oratorio della Dottrina Cristiana a S. Maria in Traspontina, rappresentante la Vergine in gloria adorata da un gruppo di santi carmelitani, opera del C. ritoccata da Sebastiano, è la sola traccia che si ha della loro collaborazione generalmente taciuta, e dell'abilità del C. come frescante. Un inventario del 1725 (Arch. di Stato di Roma, Congreg. relig. maschili, S. Maria Traspontina, n. 38), l'indica come autore del quattro quadri laterali, la Crocefissione, S. MariaMaddalena dei Pazzi bambina che insegna il catechismo, la Morte di s. Giuseppe e la Santa famiglia (un quinto, disperso, rappresentava Le anime del Purgatorio). Questa decorazione è databile agli anni successivi al 1715, data di costruzione dell'edificio. È la prima opera importante del C. a Roma, e mostra un disegno ancora insicuro e un colore legato ai modi solimeneschi. Rimane difficile stabilire la evoluzione stilistica dell'artista per la scarsezza delle opere e di datazioni sicure. Sono conservate a Roma nella chiesa di S. Maria della Scala (seconda cappella a sinistra) due tele, la Nascita e lo Sposaliziodella Vergine, opere di qualità superiore alle precedenti; a S. Maria della Concezione, un Cristo che dà la comunione al beato Bernardo da Corleone insieme con il bozzetto, conservato in sagrestia; a S. Salvatore in Corte (S. Maria della Luce), al terzo altare a sinistra, I ss. Francesco di Paola, Francesco di Sales e Giovanna di Valois, firmato e datato 1752, collocato al suo posto nel 1753 (Diario ordinario, 24 marzo 1753, p. 2) e, di fronte, una Morte di s. Giuseppe firmata e datata 1754. G. Roisecco nella Descrizione di Roma antica e moderna (Roma 1750, I, p. 623) cita nella chiesa di S. Giovanni in Ayno, oggi sconsacrata, un S. Giovanni Evangelista non reperibile. Fuori Roma, è nella città di Torino che si trova l'insieme più importante delle opere del C., anche se gli affreschi di palazzo reale sembrano essere andati distrutti e se dell'elenco del Vesme non rimangono oggi che un'incisione di Valperga da un quadro della chiesa del Crocefisso, e quattro tele nell'oratorio di S. Filippo dedicate alla vita della Vergine: Annunziata, Assunta, Visita a s. Elisabetta e Presentazione del Bambino al tempio. A Cagli, per l'altar maggiore della chiesa di S. Chiara (affrescata da G. Lapis) il C. dipinse nel 1739 una Vergine col Bambino tra angeli e santi tuttora in situ. Il Museo civico di Sulmona conserva una grande tela con l'Apoteosi di s. Pietro Celestino (1750) proveniente dalla Badia Morronese. Gli ultimi quadri del C. datati con certezza coincidono con la partenza di Sebastiano per Napoli: questo indica chiaramente la dipendenza del C. dal cugino, mentre la rarità delle opere documentate dimostra la scarsezza della sua fama e del suo talento. Morì a Roma il 19 ott. 1771.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. stor. del Vicar., S. Biagio della fossa, Stati delle anime, 1719, n.174; 1720, n.170; S. Lorenzo in Damaso, Stati delle anime, 1723, n.624; S. Stefano in Piscinula, Stati delle anime, 1728, n.244; 1729, n. 244; S. Cecilia, Stati delle anime, 1749, n. 118; S. Maria in Trastevere, Lib. matr., 1713-1729, f. 56v; S. Nicola degli Incoronati, Lib. mort., 1726-1805, f. 116v; Not. Bernardinus de Montibus, Lib. interrog., 1766-1767, f. 537r; ibid., Arch. della Congr. dei Virtuosi al Pantheon, Registro dei nomi de' fratelli che sono stati ammessi dall'anno 1701; Ibid., Arch. dell'Accad. di S. Luca, Inventario, 1729 (e anni seguenti), n. 69; vol. 49, ff. 145r-147v; Arch. di Stato di Roma, Congr. religiose maschili, S. Maria Traspontina, n. 38; Vita di Gaetano Lapis pittoredi Cagli, in Memorie per le belle arti, III (1787), pp. 1 s.;G. B. Pericoli, Passeggiata nella cittàdi Urbino, Urbino 1846, p. 21; G. Claretta, I Reali di Savoia, munifici fautori delle arti..., Torino 1893, pp. 107 s.;M. A. Dolci, Notiziedelle pitture... di Urbino, a cura di L. Serra, in Rassegna marchigiana, XI (1933), p. 296; C. Catena, Traspontina, guida storica e artistica, Roma 1956, p. 69; Schede Vesme..., I, Torino 1963, p. 356-358; A. M. Clark, Sebastiano Concaand the Roman Rococo, in Apollo, LXXXV (1967), p. 335; C. Arseni, Cagli nella sua storia, Milano 1968, p. 60; G. Carandente, in Mostra dei restauri 1969…, Roma 1970, p. 37, n. 66; Restauridella Soprint. alle gallerie e alle opere d'arte... per il Lazio, 1970-1971, Roma 1972, p. 58, n. 95; D. Gallavotti Cavallero-G. Testa, S. Mariadella Luce, Roma 1976, pp. 82 s.;N. A. Mallory, Notizie sulla pitt. a Roma nel XVIII secolo (1718-1760), in Boll. d'arte, LXIII (1976), p. 112; O. Michel, Vita, allievi e famiglia di S. Conca, in Sebastiano Conca (catal.), Gaeta 1981, pp. 42 s.; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VII, p. 287.