CONTI, Giovanni
Figlio di Riecardo, signore di Poli e Valmontone, e quindi nipote di papa Innocenzo III, e di una Luciana di cui non conosciamo il casato, ebbe come fratelli il cardinale Stefano e Paolo. Nel maggio del 1226 Stefano divise i beni familiari, secondo le disposizioni che erano state lasciate dal padre morto di recente. Al C. fu assegnata la torre dei Conti a Roma, insieme con altre residenze in città e proprietà nei pressi di ponte Mammolo, nonché il castello di Montefortino (odierna Artena), presso Valmontone, e quello di Lariano, tra Velletri e Valmontone. Il C., inoltre, otteneva una parte della somma che Riccardo aveva ricevuto per la rinuncia ad alcuni diritti sulla città di Ostia. Infine al C. e al fratello Paolo erano attribuiti in comune la città, il castello e i domini di Poli. Successivamente questi territori passeranno per intero al C., il quale risulta nelle fonti come signore di Poli a partire dal 123.9 Aveva anche diritti su Sambuci, Saracinesco e Anticoli, oltre a Guadagnolo.
Il C. svolse un ruolo di sicura importanza nelle intricate vicende romane verificatesi dopo l'elezione di Gregorio IX e caratterizzate dal conflitto tra il partito filoimperiale e quello filopontificio. Le prime notizie su di lui lo indicano schierato dalla parte di Federico II. Agli inizi del 1229 egli difese con successo la città di Fondi, affidatagli dall'imperatore. contro gli attacchi delle truppe inviate dal pontefice. Federico II lo ricompensò concedendogli nel 1230 la città di Alba, presso il lago di Fucino ai confini con le terre della Chiesa, con titolo comitale. Il 1° nov. 1232, Poi, il C. divenne per la prima volta senatore di Roma.
La situazione politica della città era complessa. Da un canto Roma era coinvolta nel conflitto più generale apertosi tra il pontefice e l'imperatore ed era turbata da violente lotte di fazione e da continui tumulti che avevano consighato il pontefice nell'agosto a ritirarsi ad Anagni. Dall'altro il Comune romano andava proseguendo la sua politica espansionistica nel Lazio nel tentativo di sottomettere le città minori della regione. In quel momento Roma era impegnata in un conflitto contro Viterbo che aveva chiesto l'aiuto dell'imperatore ed era stata accolta sotto la sua protezione. Il C., nonostante i precedenti vincoli di fedeltà che lo legavano a Federico II, proseguì gli attacchi contro Viterbo. Tuttavia all'inizio del 1233 non respinse gli inviti del pontefice per la conclusione della pace. Nel marzo si recò ad Anagni ed invitò Gregorio IX a ritornare a Roma. Il papa accolse la richiesta e, rientrato in città, svolse un'efficace opera di mediazione tra i due Comuni in lotta. Nell'aprile raggiunse un accordo, senza peraltro comunicarlo all'imperatore dei quale aveva prima sollecitato Pintervento. Nel luglio il C. ratificò, a nome del Comune di Roma, la pace che assegnava a Roma il controllo di Viterbo.Questi avvenimenti dovettero determinare un avvicinamento del C. al partito pontificio. Come persona gradita al papa egli venne, infatti, nominato di nuovo senatore nel 1237, probabilmente nel mese di maggio. Contro la sua elezione, però, si sollevò il partito filoimperiale: nel luglio una sedizione popolare lo costrinse a rinchiudersi nella sua torre e quindi a dare le dimissioni. Venne allora nominato senatore Giovanni Cenci. il quale però venne costretto nell'ottobre, da una rivolta, a lasciare la carica. Di nuovo il C. venne nominato senatore, insieme con Oddone Colonna, nell'ottobre 1238 dal pontefice rientrato a, Roma da Anagni dove si era rifugiato nel luglio.
Egli appare ormai vicino al partito pontificio. Non si erano, però, interrotti i suoi rapporti di amicizia con Federico II. All'inizio del 1240 l'imperatore, dopo aver conquistato varie terre della Chiesa, fu sul punto di assalire Roma: scrisse allora ai Romani di inviargli alcuni tra i maggiori esponenti della vita politica cittadina cui egli avrebbe conferito onori e dignità. Tra questi appare anche il Conti. D'altro canto sembra che la figlia del C., Margherita, si fosse sposata intorno al 1240 con un figlio illegittimo di Federico II, Federico d'Antiochia (dei matrimonio abbiamo poche notizie; resta, comunque, il fatto che il figlio di Federico Corrado, possederà in seguito i castelli di Saracinesco, Anticoli e Sambuci).
Il 12 marzo 1242 il C. compare tra i sottoscrittori dei trattati di alleanza stipulati tra Roma e Perugia e tra Roma e Narni, per iniziativa dei senatore Matteo Rosso Orsini che, dopo la morte di Gregorio IX e quella di poco successiva di Celestino IV, tentava di organizzare una lega guelfa tra i principali Comuni del Lazio e dell'Umbria. Probabilmente fu senatore anche nel 1244-45. Dopo questa data mancano sue notizie fino al 1254 quando divenne podestà di Siena. Sappiamo, inoltre, che il 26 apr. 1256, nel corso di una sedizione popolare scoppiata a Roma, vennero assalite le sue case e la sua torre. Eletto senatore nel febbraio 1261, il C. dovette morire poco tempo dopo.
In prime nozze aveva sposato una donna di cui non si conosce il nome, dalla quale aveva avuto almeno una figlia, Margherita, e due figli, Nicola e Pietro (queseultimo si sposò con Giacomina Colonna, figlia di Oddone che era stato senatore con il C. nel 1238). Alla morte della prima moglie il C. sposò Saracena, vedova di Giovanni Frangipane, la quale aveva due figli, in età minore, Pietro e Filippina. Il Frangipane aveva lasciato a questi ultimi tutti i suoi beni, consistenti nel palazzo romano dei "Septemfolia" e i castelli di Marino e Turricola sui monti Albani, stabilendo che, in caso di morte prematura dei figli, le sue proprietà andassero ai poveri. Pietro e Filippina Frangipane morirono poco dopo il padre. Il C. cercò allora di far passare alla moglie i beni in questione. Ma l'esecutore testamentario, il cardinale Giovanni Caetani Orsini, si oppose e si rivolse al pontefice. Innocenzo IV, con bolla del 9 genn. 1254, dette ragione al cardinale e dispose che fosse rispettata la volontà del testatore. Il C. e Saracena non accettarono la decisione e vennero scomunicati. Quando stava per morire, il C. ricevette la visita del cardinale Caetani Orsini il quale, prima di assolverlo, ottenne che il C. affidasse al proprio nipote, il vescovo francescano Paolo Conti, la custodia dei castello di Marino. La questione non si concluse con la morte del C.: il figlio di questo, Nicola, si impadronì con la forza del castello di Marino. In seguito, però, dovette lasciare il castello che passò agli Orsini dietro versamento di una somma da destinare ai poveri.
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