CORNER, Giovanni
Secondogenito di Cornelio di Marino e di Cipriana Arimondo di Piero di Nicolò, nacque a Venezia nel 1487.
La famiglia, che risiedeva nel sestiere di Cannaregio, in calle della Testa, apparteneva a quel patriziato minore che forniva alla Signoria i comandanti del naviglio o i rettori delle piazze del Levante, ov'era situato il dispositivo militare veneziano che doveva assicurare gli ancor intensi traffici dell'emporio realtino. L'esiguità delle fortune di questo ramo dei Corner è confermata dall'elezione del padre, avvenuta nel 1478, tra i cento nobili destinati ad insediarsi a Cipro, allora regno di Caterina Corner, vedova di Giacomo Lusignano, dietro compenso di 300 ducati: senonché il progetto non fu portato a compimento e la Repubblica provvide poi direttamente ad annettersi l'isola. Il Barbaro riporta che, un anno prima di perire annegato (1489), Cornelio passò a nuove nozze, ma il dato - ignoto a tutte le altre fonti - è smentito dal matrimonio, verificatosi nel 1491, della vedova Cipriana con Daniele Contarini di Alvise. Morì presto anch'essa e il C., orfano di entrambi i genitori, fu presentato alla Balla d'oro, il 2 dic. 1507, dalla zia materna Samaritana Arimondo e dalla nutrice Maria, pizochara friulana.
Il C. conobbe per tempo il lavoro, e l'educazione fu costretto a formarsela sulle navi della Repubblica, giacché di scarso aiuto poteva essergli l'unico fratello, Marino (col quale si estinse questo ramo della famiglia), che intraprese una modesta carriera politica culminata nell'elezione alla quarantia, dopo esser stato capitano a Pafo. Non sappiamo quando il C. si sia imbarcato: la sola testimonianza in questo senso ci è data dal Sanuto, che il 15 dic. 1509 ricorda come il ventiduenne C. avesse già ricoperto l'incarico di vice sovracomito, ossia di secondo ufficiale a bordo di una galera. Ma non eran tempi da cercar fortuna o gloria sui mari, quelli seguiti ad Agnadello, e il 9 sett. 1509 il C. risulta tra i "zentilhomeni" posti a guardia delle fortificazioni padovane, agli ordini del provveditore in campo Girolamo Contarini: alle sue dipendenze egli aveva un solo provisionato, o soldato, come riferisce, con la precisione di sempre, il Sanuto.
Il temuto assalto dei nemici, che si erano accampati alle porte della città e sembravano in procinto di muovere contro Padova contemporaneamente da due lati, da Pontecorvo e dal Portello, non si verificò; tuttavia il C. dovette fornire buona prova di sé, giacché qualche mese dopo, il 15 ed il 23 dic. 1509, il suo nome compare tra quelli che furono votati, pur senza esito, a ricoprire l'incarico di castellano, rispettivamente ad Isola della Scala, nel Veronese, ed a Monselice, in prossimità delle propaggini euganee.
Tra le pieghe della guerra il C. trovò comunque il modo di porsi in luce, ed il 27 dic. 1509 vinceva il palio della balestra al Lido, dimostrandosi il più forte e il più abile arciere di cui disponesse la nobiltà veneziana. L'episodio dovette impressionare favorevolmente i Pregadi, giacché qualche giorno più tardi, il 7 genn. 1510, quando - riferisce il Sanuto - fu rifatta l'elezione "di uno castelan a Moncelese con ducati 20 al mexe ..., rimase sier Zuane Corner qu. sier Cornelio, fo vice soracomito et questo anno ha vadagnà il palio a Lio". All'inizio di aprile il C. era già al suo posto, come risulta dalle prime lettere al Senato, in cui chiede uomini e mezzi per provvedere al rafforzamento della rocca.
Monselice rappresentava allora uno dei dispositivi fondamentali per la difesa di Padova, dove erano in gioco le fortune di Venezia: nella primavera-estate del 1510, infatti, gli eserciti si fronteggiavano lungo la Brenta: a Vicenza erano gli Spagnoli, a Cittadella gli Imperiali, ad Este i Francesi, a Rovigo gli Estensi, mentre sull'asse Padova-Treviso operavano i provveditori in campo della Repubblica: Paolo Cappello ed il futuro doge Andrea Gritti, che in quei mesi decisivi fu l'anima della riscossa veneziana.
Alla fine di maggio un attacco del nemico contro Monselice sembrava imminente, ed il Gritti affidò alla discrezione del provveditore della cittadina, Marco Marcello, l'opportunità di riparare in Padova; la qual cosa non avvenne per la decisa opposizione del Corner. I Francesi, però, non attaccarono ed il C. passò tutto il mese di giugno a provvedere alle fortificazioni: ottenne 56 uomini di rinforzo, viveri, provviste, denaro per le truppe, mentre il Marcello veniva sostituito con Sebastiano Navagero. Alla metà di luglio, però, un esercito di 12.500 uomini mosse decisamente contro la cittadina, al comando del La Palice. Il Cappello e il Gritti si rinchiusero in Padova, che era il vero obiettivo dell'azione nemica. Il 19 Monselice fu attaccata, prima dagli Spagnoli, poi dai Francesi, infine dagli Svizzeri. L'assalto, sostenuto da un grande spiegamento di artiglieria, si prolungò per tre giorni. "Inespugnabile" aveva definito la rocca il C., in uno dei suoi dispacci al Senato, ed effettivamente gli allestimenti predisposti avevano reso ottimisti gli stessi provveditori generali. Ma il 22 luglio 1510 Cappello e Gritti annunciavano al Senato il "caso inaspettato" della perdita della cittadina, senza peraltro fornire spiegazioni.
Solo il giorno successivo narrarono della breccia aperta sulle mura, dell'irrompere del La Palice, del valore dimostrato dai capi veneziani che "si ridussero cum alcuni pochi fanti ne la rocha", ove furono tagliati a pezzi, "virtuosamente combattendo cum la spada in mano". Nessun altro particolare, però; soprattutto, nessun cenno a nomi, a persone. Il perché di questo silenzio può essere spiegato con l'opportunità, suggerita al Senato dagli stessi provveditori, di non indebolire il morale delle truppe nell'imminenza dell'attacco a Padova: "è necessario fare dimostration - così essi scrivevano in calce alla lettera del 22 luglio, a proposito della perdita di Monselice - che non vi fate molto caso, benchè la battaglia sia grande, sia per la perdita del loco, come delle zente ...". Benché dolorosa, una tale scelta non fu priva di efficacia: impressionati dalla resistenza incontrata e dalla fermezza con cui Padova si preparava alla difesa, i collegati rinunciarono allo scontro, e un mese dopo i soldati veneti potevano addirittura passare alla controffensiva, riconquistando Cittadella, Bassano, Belluno e Vicenza.
Quanto al C., solo molto tardi fu reso omaggio alla sua memoria, anche se a farlo fu lo storico ufficiale della Repubblica,Pietro Bembo, che dopo aver descritto con larghezza di espressioni i termini dell'assedio, ne ricorda la "caedes ingens", dove "arcis item praefectus cum centurionibus et militibus permultis interiit".
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, M. Barbaro, Arbori de' Patritii, III, p. 109; Ibid., Avogaria di Comun. Balla d'oro, reg. 165, c. 92r; Ibid., G. Giorno, Indice dei matrimoni patrizi per nome di donna, sub voce; per le lettere dei provveditori in campo sull'assedio e la presa di Monselice del luglio 1510, Ibid., Provveditori da Terra e da Mar, f. 27, cc. 159r-184v; M. Sanuto, I Diarii, IX-X, Venezia 1883, ad Indices;P. Bembo, Rerum Venetarum historiae, in Degl'istorici delle cose veneziane, II, Venezia 1718, p. 380.