COSENTINO, Giovanni
Nacque nel 1432 a Sant'Andrea Ionico (Catanzaro) da Gorio e da una Anastasia. Nel 1447 era già sposato con Bartola de Calabretta, quattordicenne. Fu al servizio di Alfonso d'Aragona e di Ippolita Maria Sforza, duchi di Calabria. Morì non prima dell'ultimo decennio dei XV secolo.
Il nome dei C. ci è noto solo attraverso un codice aragonese della Biblioteca nazionale di Parigi, il manoscritto Ital. 1053, recante l'incipit: "Ioannes Consentinus humilis et fidelis servitor ad illustrissimae dominae D. Hippolytae Mariae Sforciae de Vicecomitibus Chalabriae ducissae vestigia reverenter se commendat". Seguono, in volgare, la prosa di dedica e quattro epistole, in terzina dantesca, che il C. immagina scritte da Ippolita al marito Alfonso lontano: la prima "Florentinorum expugnatori", in occasione della guerra del 1478-80 contro Firenze; la seconda "ad protectorem Christianac reipublicae contra Turcos", per la riconquista di Otranto (settembre 1481), in mano ai Turchi dall'agosto 1480 (è stata edita in Otranto 1480, a cura di A. Laporta, Lecce 1980, pp. 33-39); la terza "Ferrariensis patriae contra Venetos salvatori ac patri", in occasione della guerra di Ferrara del 1482-84; la quarta "ad patriae patrem contumaces et rebelles subditos expugnantem", per la vittoria riportata da Alfonso sui baroni ribelli (1485-86), per cui meritò il trionfo al ritorno a Napoli il 27 dic. 1486.
Tra questa data e la morte di Ippolita, avvenuta il 19 ag. 1488, è da collocarsi la composizione delle Rime, che Ippolito Lunense, regio amanuense, trascrisse nel prezioso codicetto di dedica ora alla Nazionale di Parigi.
Ignoto ai vari repertori biobibliografici meridionali, il C. fu fatto conoscere dal Croce, che gli dedicò nel 1930 un breve saggio, in cui si limitava ad illustrare il contenuto dei canti tacendo sul personaggio. Più tardi il De Marinis nella sua Biblioteca napoletana dei re d'Aragona (p. 56), descrivendo il manoscritto, avanzò l'ipotesi, senza fondamento, che il C. fosse appartenuto alla famiglia cosentina dei Parisi, identificandolo poi (p. 322) con il "G. Cosentino" che nel manoscritto Fond Espagnol 103 della Nazionale di Parigi controfirma due lettere (ai ff. 8v e 33r) di Ferdinando d'Aragona, rispettivamente del 22 luglio e dell'8 sett. 1458 (1485 nel De Marinis). In effetti, invece, si tratta di Girolamo Cosentino di Lauria in Lucania, uno dei sottosegretari di Ferdinando nei primi anni del suo regno, che controfirma come "Hyeronimus Cusentinus" altre due lettere del re, del 28 nov. 1458 e del 24 genn. 1460 (cfr. N. Toppi, Bibl. napoletana, Napoli 1678, p. 156; A. A. Masser, Le "codice aragonese". Contrib. à l'histoire des Aragonais de Naples, Paris 1912, pp. CV, 22, 83 s., 112 s., 406 s.). A. Altamura, infine, pubblicando nel 1947 il Lamento scritto dal cosentino Giovanni Morelli per la morte di don Enrico d'Aragona, marchese di Gerace (21 nov. 1478), resto contenuto in un rarissimo incunabolo delle Favole di Esopo volgarizzate da Facio Caffarello da Faenza stampato a Cosenza intorno al 1479 da Ottaviano Salomonio di Marifredonia, propose la identificazione del Morelli con Giovanni Cosentino: "I versi [del C.] somigliano per rozzezza e per intonazione a quelli del Morelli..." (Un incunabolo..., pp. 22 s. Sul Lamento v. F. Masino, Per il quinto centenario di un antico testo calabrese, in Historica, XXXI[1978], pp. 171-75). Ma questa ipotesi, certo ancora accattivante se un documento del 1447 non avesse provato per altra via l'identità del C.(Numerazione di fuochi di Calabria), non tien conto proprio della intrinseca qualità dei due testi; perché, pur considerando lo scarto di circa dieci anni e pur riconoscendo una lontana somiglianza di intonazione, è la diversità della lingua, oltre che del genere, che impedisce di attribuirli ad uno stesso autore. Le quattro canzoni del Morelli sono in dialetto calabrese e appartengono al genere di poesia popolare dei Lamenti o Cantari in morte con appena una qualche pretesa letteraria nelle spurie e stereotipate reminescenze dotte. Le rime del C., invece, pur serbando tracce di dialetto calabrese, sono scritte in quella tipica lingua di koiné meridionale, già orientata verso il modello toscano, che caratterizza la produzione volgare nel Regno aragonese prima del Sannazzaro, e rivelano uno scrittore non certo popolare e illetterato. Il C. possiede una buona cultura che dai classici (numerose e spesso preziose sono le citazioni mitologiche, come del resto dotta citazione delle Heroides di Ovidio è pure la scelta dello schema dell'effistola in versi) arriva a Dante, Petrarca e Boccaccio; sceglie, altresì, la materia eroica e lo stile epico con una consapevolezza letteraria che lo porta ad entrare in polemica nella prosa di dedica con i poeti napoletani suoi contemporanei che sprecavano il loro tempo a comporre "frottole, drussiole, strambotti, canzone et sonetti". La rozzezza, di cui parlano Croce e Altamura, e invece nell'arcaicità della lingua e nella insicurezza di una vocazione letteraria velleitaria e non risolta.
Fonti e Bibl.: Numerazione di fuochi di Calabria. A. 1447 (frammento), in Fonti aragonesi, VII, a cura di B. Mazzoleni, Napoli 1970, pp. 170, 172; A. Marsand, I manoscritti ital. della Regia Biblioteca Parigina descritti ed illustrati, I, Parigi 1835, pp. 225 s.; G. Mazzatinti, Manoscritti ital. della Biblioteca nazionale di Parigi, Roma 1886, p. 183; Id., La biblioteca dei re d'Aragona..., Rocca San Casciano 1897, pp. 114 s.; B. Croce, Canti encomiastici di G. C. a Ippolita Sforza, in A rchivio storico per le Prov. napol., n. s., XVI (1930), pp. 313-18; Id., G. C., in Aneddoti di varia letter., I, Napoli 1942, pp. 73-78; A. Altamura, L'umanesimo nel Mezzogiorno d'Italia, Firenze 1941, p. 177; Id., Un incunabolo di dialetto calabrese, in Arch. stor. calabro-lucano, XVI(1947), pp. 2132 (poi in Studi di filologia ital., Napoli 1972, pp. 103-118; e in La lirica napoletana del Quattrocento, Napoli 1978, pp. 127-37); T. De Marinis, La biblioteca napoletana dei re d'Aragona, II,Milano 1947, pp. 55 s., 123, 322; A. Altamura, La letteratura volgare, in Storia di Napoli, IV, 2, Napoli 1974, p. 516; G. Parenti, "Antonio Carazolo desamato". Aspetti della Poesia volgare aragonese nel ms. Riccardiano 2752, in Studi di filol. ital., XXXVII(1979), pp. 149, 169.