JAVELLI, Giovanni Crisostomo (Canapicius, Crisostomo da Casale)
Nacque nel 1470 (o 1472) nel Canavese, forse nel paese di San Giorgio (oggi San Giorgio Canavese).
Entrò nell'Ordine dei predicatori intorno al 1485. Il 17 ag. 1495 venne accolto come studente formale di teologia nello Studio generale del convento di S. Domenico di Bologna; per potervi accedere, doveva avere già svolto almeno sette anni di studi preliminari di arti e filosofia. Dopo aver seguito il quadriennale corso di teologia, lo J. divenne probabilmente lettore per gli studenti delle classi inferiori; sono indicative in tal senso le sue lezioni propedeutiche, molto apprezzate dai contemporanei (tra cui l'umanista M. Nizolio), di logica e filosofia aristotelica, che in maniera concisa seguono per lo più il magistero tomistico, mostrandosi però informate delle recenti tendenze della scuola aristotelica bolognese e padovana. Sono da collegare a tale impegno ermeneutico il Logicae compendium peripateticae (Venetiis, ad signum Putei, 1540; ebbe circa trenta edizioni fino al 1629) e la silloge Epitome super totam naturalem philosophiam Metaphysicam Aristotelis: necnon subtilissima enucleatio propositionum omnium in Librum de causis (s.n.t., con numerose edizioni fino al 1646), opere che furono probabilmente redatte negli anni del suo lettorato, a partire dal 1499 circa.
Il capitolo generale dell'Ordine nel 1507 assegnò lo J. come magister studentium per l'anno accademico 1507-08 allo Studio di Bologna; a causa di un'epidemia di peste nella città, egli poté iniziare l'insegnamento soltanto il 7 sett. 1507. Rimase con ogni probabilità a Bologna finché non si trasferì al convento di S. Eustorgio a Milano, al quale fu assegnato il 19 giugno 1512 in qualità di baccalaureus per l'anno accademico 1513-14 dal maestro generale dell'Ordine, Tommaso De Vio detto il cardinale Caetano, il quale promuoveva la riorganizzazione del convento milanese sul modello dello Studio bolognese. Nel 1513 lo J. fu riassegnato per gli anni accademici successivi (1514-15 e 1515-16) allo Studio di Bologna.
Il capitolo generale del 1515 propose lo J. come candidato al dottorato in teologia, affidandogli il compito di tenere lezioni ufficiali sulle Sentenze di Pietro Lombardo, seguite da un esame da parte di almeno tre dottori, richiesto come prova preliminare ai candidati prima di presentarsi all'esame finale. Lo J. si addottorò il 18 febbr. 1516 presso la facoltà di teologia dell'Università di Bologna (che operava in stretta collaborazione con lo Studio del convento di S. Domenico) e divenne membro del Collegio dei dottori della stessa facoltà. In seguito insegnò sia nello Studio conventuale sia come professore di teologia all'università. Nel maggio 1518 fu assegnato come reggente allo Studio per gli anni accademici 1518-19, 1519-20 e 1520-21. Compose in quel periodo le esposizioni dei trattati introduttivi alla prima parte della Summa theologiae di s. Tommaso: Expositio in primum tractatum primae partis d. Thomae ed Expositio super tractatum de Trinitate primae partis d. Thomae (apparse per la prima volta nell'ed. della Summa, Venetiis, apud Iuntas, 1596, rispettivamente cc. 1-18r e 20v-35v).
Lo J. prese parte attiva ai dibattiti filosofici e teologici dell'epoca. Intervenne nel 1519 nella celebre polemica intorno al Tractatus de immortalitate animae (1516), in cui P. Pomponazzi aveva sostenuto l'impossibilità di dimostrare, in base alla filosofia aristotelica, l'immortalità dell'anima. Pomponazzi chiese allo J. di scrivere una confutazione della propria posizione, da allegare al Tractatus, cosa che avrebbe permesso la riedizione dell'opera. Lo J. compose allora le Solutiones rationum animae mortalitatem probantium, apparse nell'edizione del Tractatus del 1519 (Bononiae, I. de Rubiera), nonché in appendice al Defensorium pomponazziano contro l'avversario A. Nifo dello stesso anno.
Nelle Solutiones lo J. si schierò contro Pomponazzi e il cardinal Caetano - che già in precedenza era giunto a conclusioni simili a quelle del Pomponazzi -, rilevando come per filosofia non vada intesa automaticamente la filosofia aristotelica; bisognerebbe anzi tornare all'uso corretto del concetto di filosofia in sede teologica, qual è quello espresso da s. Tommaso. In seguito, lo J. tornò sulla questione nel Tractatus de animae humanae indeficientia (Venetiis, in officina Aurelii Pincii, 1536).
Un costante interesse per il pensiero di Platone, coerente con le posizioni adottate dallo J., si rileva nelle Epitome in Ethicen, hoc est, moralem Platonis philosophiam ed Epitome in Politicam, hoc est civilem Platonis philosophiam (entrambe ibid. 1536). La sua preferenza per Platone nella filosofia morale e politica rispetto ad Aristotele, preferito invece in sede logica e fisica, nonché la sua definizione della filosofia platonica come docta religio rivelerebbero una diretta filiazione dall'opera di M. Ficino (Garin, 1946, p. 90). Significativo in tal senso è anche il fatto che lo J., sembra come primo teologo di scuola, abbia intitolato un suo scritto Philosophia civilis Christiana (Venetiis, apud Andream Arrivabene, 1540), di chiara ispirazione ficiniana, per il quale taluni critici hanno anche chiamato in causa l'Adhortatio ad philosophiae Christianae studium di Erasmo, un'edizione del quale era uscita a Venezia nel 1522 (Tavuzzi, 1990, pp. 478 s. n.).
Negli anni successivi alla sua reggenza dello Studio bolognese, lo J. si trasferì a Piacenza, dove il 14 genn. 1523 entrò a far parte del Collegio dei dottori della facoltà di teologia. Gli fu inoltre affidata la carica di inquisitore. Lì diede alle stampe una serie di commenti a opere aristoteliche di filosofia naturale (1526-28). Nel 1532, trasferitosi a Cremona, terminò le Super duodecim Metaphysices Aristotelis libros quaestiones (Venetiis, per Thomam Ballerinum, 1534), e l'anno seguente l'Epitome in octo Politicorum Aristotelis libros (ibid., per Stephanum Sabio, 1536). Nel 1534 apparvero inoltre, sempre a Venezia, le Quaestiones super octo libros Aristotelis de physico auditu (per Thomam Ballarinum) e le Quaestiones in tres libros De anima Aristotelis (ibid.), e nel 1536 (oltre alle opere già menzionate apparse quell'anno) l'Epitome in decem libros Ethicorum Aristotelis (per Stephanum de Sabio) e l'Epitome in octo libros Politicorum Aristotelis (ibid.). La già ricordata Christiana philosophia fu terminata nel giugno 1537, quando lo J. era di nuovo a Piacenza. La quinta parte dell'opera è dedicata a una confutazione della dottrina sacramentale esposta da Lutero nel De captivitate Babylonica Ecclesiae praeludium (1520) in risposta alla Revocatio del domenicano cremonese I. Isolani (1519). Un altro scritto che rientra in questa tematica è la molto criticata Quaestio de Dei praedestinatione et reprobatione (in S. Tommaso, Opera omnia, Venetiis, apud Iuntas, 1596, cc. 18v-20r), in cui lo J. sembra allontanarsi dal genuino tomismo per avvicinarsi a una posizione quasimolinista e semipelagiana. L'autorevolezza dottrinale dello J. e il suo spirito conciliatore, ma indipendente, emergono con chiarezza anche nel ruolo da lui svolto nella vicenda concernente il matrimonio di Enrico VIII d'Inghilterra con Anna Bolena. Interpellato riguardo l'annullamento del matrimonio del re con Caterina d'Aragona, nel 1530 lo J. prese posizione in favore di Enrico VIII, posizione ribadita in seguito in una "responsio ad librum contra rationes suas" di cui si fa menzione in una lettera a Enrico VIII dell'agente inglese a Venezia Richard Crocke del 1° ott. 1530 (Tavuzzi, 1990, p. 479). Con ciò, lo J. si pose in contrasto rispetto alle vedute dei domenicani dello Studio bolognese, che in blocco presero le distanze dalla risoluzione in favore dell'annullamento deliberato dall'Università di Bologna.
Lo J. morì probabilmente nel 1538 a Piacenza.
Ci rimane la sua vasta produzione (gli Opera omnia, Lugduni, apud haeredes Iacobi Iunctae, 1568-74, furono ristampati altre quattro volte fino al 1580), la cui bibliografia a cura di M. Tavuzzi (1991), finora la più esaustiva, può essere ulteriormente integrata.
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