AMADUZZI, Giovanni Cristofano
Nato a Savignano di Romagna il 18 ag. 1740, appartiene a quella generazione di eruditi romagnoli che fiorì tra la seconda metà del sec. XVIII e la prima del XIX e che diede alla cultura nazionale notevoli personalità di studiosi. Seguì i primi studi a Rimini nel seminario vescovile, prendendovi gli ordini minori, indi fu alla scuola privata del noto naturalista e antiquario Giovanni Bianchi (Jano Planco), sotto la cui guida studiò la lingua greca, approfondì la sua conoscenza del mondo antico, cominciò ad appassionarsi alle questioni letterarie e alle ricerche erudite. Nel 1762 lasciò Rimini per recarsi a Roma, ove poi dimorò fino alla morte. In questa città si dedicò allo studio delle lingue orientali, perfezionò le sue cognizioni giuridiche né tralasciò di accostare eruditi, letterati, teologi e artisti celebri, di frequentare biblioteche, musei, accademie, affinando considerevolmente la sua preparazione. Nell'ambiente romano gli furono di guida e di appoggio uomini autorevoli, come i cardinali suoi conterranei Giuseppe Garampi, Gaetano Fantuzzi, Lorenzo Ganganelli. Poneva mano intanto ai suoi primi lavori eruditi, e ripubblicò l'edizione fatta da G. P. Bellori della Forma Urbis Severiana, accrescendola di nuove tavole e note: Fragmenta vestigii veteris Romae XX tabulis comprehensa (Romae 1764); indi pubblicò e illustrò alcune leggi inedite di Teodosio II e di Valentiniano III contenute in un codice Ottoboniano (ora Vat. Lat.7277): Leges Novellae V anecdotae imperatorumTheodosii iunioris et Valentiniani III (Romae 1767), opera che diede luogo ad una polemica col ravennate Antonio Zirardini per la priorità nell'edizione dei testi stessi.
Erano quelli - com'è noto - anni di crisi per la Chiesa cattolica la quale, mentre sul piano politico doveva far fronte alle rivendicazioni giurisdizionali degli stati europei, entro di sé vedeva il propagarsi del movimento giansenista e l'attuarsi di un largo processo revisionistico della vita morale e religiosa nelle forme che la tradizione della Controriforma aveva consolidate. L'A., quantunque per la sua formazione ideologica e per molti atteggiamenti mentali non possa dirsi vicino allo spirito del giansenismo, pure fu in stretti rapporti con i principali esponenti delle correnti giansenistiche italiane. Fin dai primi anni del suo soggiorno a Roma avvicinò religiosi di tendenza non conformista e avversari dichiarati dei gesuiti, quali monsignor Giovanni Bottari, il canonico Pier Francesco Foggini, il cardinale Mario Marefoschi, l'agostiniano p. Agostino Giorgi; e a Roma conobbe anche Scipione de' Ricci, col quale resterà sempre in relazione, aderendo poi caldamente all'opera riformatrice da lui intrapresa quale vescovo di Pistoia e Prato. La battaglia antigesuitica l'A. ebbe modo di seguire da presso dopo che al soglio pontificio venne eletto, col nome di Clemente XIV, il suo protettore cardinale Ganganelli (1769); vi fu anzi chi lo ritenne estensore del breve con cui quel papa, nel 1773, soppresse la Compagnia di Gesù. Certo è che egli assecondò la politica religiosa di Clemente XIV e godette della sua fiducia. In quel torno di tempo gli furono conferiti importanti incarichi: nel giugno del 1769 venne nominato professore di lingua greca nell'Archiginnasio della Sapienza a Roma, e nel febbraio 1770 ottenne la sovrintendenza alla stamperia della Congregazione di Propaganda Fide. In questo ufficio attese alla pubblicazione di numerosi alfabeti di lingue antiche o esotiche, opportunamente illustrati, e di un catalogo dei libri editi dalla tipografia medesima.
Gli alfabeti sono i seguenti: Alphabetum veterum Etruscorum (1771; una 2 ed. accresciuta ne uscì nel 1775); Hebraicum (1771); Graecum (1771); Brammhanicum seu Indostanum (1771); Grandonico-Malabaricum sive Samscrudonicum (1772); Tangutanum sive Tibetanum (1773); Barmanum seu Bomanum regni Avae (1776; nel 1787 ne seguì una 2 ed. emendata); Persicum (1783); Armenum (1784); Aethiopicum sive Gheez et Amhharicum (1789). Il Catalogus librorum qui ex typographio sacr. Congreg. de Prop. Fide variis linguis prodierunt,curato dall'A., uscì nel 1773.
Frattanto veniva componendo una vasta silloge di scritti inediti, che uscì col titolo di Anecdota litteraria ex manuscriptis codicibus eruta in 4 voll. (Romae 1773-83) e che costituisce una delle iniziative scientifiche dell'A. più impegnative e meritorie. La raccolta, che ebbe la collaborazione di molti studiosi, contiene testi vari specialmente di età umanistica: dissertazioni, opuscoli greci, discorsi, lettere, commentari latini e italiani, ecc.; ogni volume ha un'appendice di antiche iscrizioni inedite. Pubblicò e annotò anche due capitoli inediti dei Caratteri di Teofrasto tratti da un codice Palatino del sec. XI: Characterum Ethicorum Theophrasti Eresii capita duo hactenus anecdota (Parmae 1786). Ai lavori di carattere filologico alternava quelli di archeologia e di antiquaria: tale è, per es., l'illustrazione - già iniziata da Ridolfino Venuti e da questo lasciata incompiuta - della raccolta di monumenti che si conservavano nella villa e nel palazzo Mattei a Roma: Vetera monumenta quae in Hortis Coelimontanis et in aedibus Matthaeiorum adservantur (Romae, vol. I 1779; vol. II 1776; vol. III 1778). Trattò anche questioni di diritto canonico e diede alle stampe tre dissertazioni su questa materia; si occupò di antichità sacre pubblicando alcune omelie di s. Cesario Arelatense e altre opere di scrittori ecclesiastici (s. Bonaventura, Demetrio Pepano). Particolarmente vivace fu la sua attività giornalistica, tanto che molta della sua produzione si trova sparsa sui periodici del tempo, nei quali egli, dimostrando una singolare larghezza di interessi, era solito dar notizia di ritrovamenti archeologici, dibattere problemi letterari e questioni religiose, recensire opere nuove, comporre elogi di illustri amici scomparsi. Per un trentennio collaborò con scritti firmati e anonimi ad una delle principali riviste culturali del tempo, le Novelle letterarie di Firenze; inoltre fu collaboratore delle Efemeridi letterarie di Roma, dell'Antologia Romana, delle Notizie de' Letterati di Palermo, nonché degli Annali ecclesiastici di Firenze. Nel novembre del 1780 fu nominato professore di lingua greca anche nel Collegio Urbano della Congregazione di Propaganda. Fin dal 1775 era stato accolto in Arcadia col nome di Biante Didimeo. Tre discorsi che recitò in quest'Accademia furono pubblicati; essi s'intitolano: Discorso filosofico sul fine ed utilità delle accademie (Livorno 1777), La filosofia alleata della religione (Livorno 1778), Discorso filosofico dell'indole della verità e delle opinioni (Siena 1786). Appartenne a molte altre accademie, non soltanto italiane (v. elenco in I. Bianchi, Elogio dell'ab. G.C.A., Pavia 1794, pp. 107-108). Nella sua vita non lunga stabilì intorno a sé un'amplissima cerchia di relazioni che lo legarono agli uomini più rappresentativi della cultura italiana dell'epoca, sì che la sua personalità, che peraltro non possiamo considerare eccezionale, si riveste ai nostri occhi di un notevole interesse.
Tra i numerosissimi corrispondenti dell'A. figurano Ireneo Affò, Simone Assemani, Pasquale Amati, Angelo Maria Bandini, Aurelio Bertola, Giovan Battista Bianconi, Giambattista Bodoni, Pietro Borghesi, Stefano Borgia, Lodovico Coltellini, Antonio di Gennaro duca di Belforte, Giuseppe Garampi, Girolamo Ferri, Gregorio Fontana, Giovanni Lami, Pietro Metastasio, Vincenzo Monti, Maria Maddalena Morelli Fernandez (Corilla Olimpica), Annibale Olivieri, Giovanni Battista Passeri, Ippolito Pindemonte, Giuseppe Poggi, Scipione de' Ricci, Lazzaro Spallanzani, Girolamo Tiraboschi, Giuseppe Vernazza.
Agli inizi del pontificato di Pio VI, quando andavano di nuovo riprendendo vigore le correnti curialiste e filogesuitiche, l'A. si batté ancora strenuamente in difesa dei suoi ideali, che costituivano un quid intermedio fra Arcadia e Illuminismo, mirando a conciliare sensismo, eudemonismo e tollerantismo illuministico con l'ortodossia cattolica.
Così cercava di provare, nel citato discorso arcadico su La filosofia alleata della religione, che la nuova filosofia porta "necessariamente a scoprire, e a confermare gli stessi principi della rivelazione" (difendeva anche esplicitamente il Locke e il "genio di Bordeos, l'immortale Montesquieu",per le applicazioni ed attinenze politiche del nuovo pensiero; esaltava l'opera del Sonnenfels sopra l'abolizione della tortura, e la mitezza delle leggi teresiane; idoleggiava Newton e le sue grandi scoperte).
Già nel 1776 l'incoronazione in Campidoglio di Corilla Olimpica, poetessa e improvvisatrice, era apparsa come una sfida gettata al gruppo curiale e filogesuitico che vi contrastava. Ed in quell'anno l'A. dedicò a don Luigi Gonzaga (Venezia 1745 - Vienna 1819), protettore della poetessa, il citato Discorso filosofico sul fine ed utilità delle accademie, in cui si ribadivano i concetti espressi dal Gonzaga in un "discorso filosofico e politico" tenuto l'anno prima in Arcadia, dove veniva idealizzata la missione non più soltanto letteraria, ma civile e patriottica del "letterato buon cittadino". Col prevalere delle tendenze avverse, s'infittiscono i legami che congiungono l'A. alle forze anticuriali ed ai gruppi antigesuitici, filogiansenisti, regalisti di Toscana e di Lombardia. Nelle Novelle letterarie,che avevano recensito con simpatia gli scritti dell'A. e alle quali egli - come s'è detto - collaborava, già affioravano spunti anticuriali e filogiansenisti. Ma gli Annali ecclesiastici, fondati a Firenze nel 1780, rappresentavano una posizione che potrebbe dirsi di rottura rispetto a Roma curiale; e la collaborazione dell'A., benché ristretta a temi eruditi, assume l'aspetto d'una complicità, che s'aggrava quando egli comincia a fornire informazioni sulle reazioni romane all'attività dei ricciani.
Il carteggio con Scipione de' Ricci permette di cogliere nell'A. un atteggiamento ancora moderato almeno fino al 1783, pur se non mancano nel contemporaneo carteggio dell'A. col canonico Bandini spunti vivamente anticuriali e antiromani. Tra il 1786 e il 1787 l'orientamento dell'A. diviene più deciso e più aspra la sua opposizione: il biasimo per le resistenze dell'episcopato toscano all'azione riformatrice di Pietro Leopoldo si accompagna ad una crescente simpatia per la figura del sovrano, che egli auspica divenga "vescovo esteriore come Costantino", dacché i suoi vescovi "non hanno saputo fare da vicari di Gesù Cristo", troppo legati, come sono, ai curiali romani; atteggiamenti che culminano in una piena adesione ai metodi informatori delle riforme giuseppine e leopoldine (al Bandini, 16 giugno 1787). Da queste sarebbe dovuta scaturire la "salutare rivoluzione, che la Chiesa da tanto tempo aspetta" (allo stesso, 24 marzo 1787). In questa atmosfera sempre più tesa, gli attacchi contro l'A. si fecero più frequenti: nel 1790, morto Giuseppe II, gli venne impedito di pronunziare un elogio funebre dell'imperatore e di essere "il Plinio del defunto Traiano" (al Ricci, 5marzo 1790); nello stesso anno, apparve contro di lui un libello anonimo (attribuito comunemente all'abate Luigi Cuccagni) dal titolo Lettera di un viaggiatore istruito a un amico di Roma riguardante principalmente la dottrina del Sig. Abate Cristoforo Amaduzzi. L'A. apprestò la propria difesa in uno scritto indirizzato a Pio VI, ma questi ne proibì la pubblicazione.
Nel 1771 dovette chiedere l'esonero dalla cattedra di lingua greca, che teneva al Collegio Urbano di Propaganda. Poteva considerarsi ormai del tutto in disgrazia, ma continuò a fornire agli amici delle cerchie filogianseniste e anticuriali interessanti notizie sulle idee e sugli indirizzi prevalenti in Curia, anche di fronte agli eventi di Francia (tra i giansenisti pavesi l'A. fu in corrispondenza con il Natali, fra il 1770 e il 1777, con lo Zola, fra il 1777 e il 1778, con il Tamburini ancora nel 1790). Le polemiche e il trovarsi quasi perseguitato contribuirono forse ad affrettarne la fine. Morì a Roma il 21 gennaio 1792.
Lasciò per testamento al paese natale, Savignano, la propria biblioteca, fornita di circa quattromila volumi, la quale costituisce un cospicuo esempio di libreria settecentesca d'un erudito cui non mancavano curiosità di bibliofilo e che era, inoltre, attento osservatore della realtà contemporanea. Ne fanno parte anche pregevoli collezioni di giornali del tempo, miscellanee di stampe e manoscritti da lui stesso formate. Tra i suoi autografi restano una storia di Villa Giulia a Roma lasciata incompiuta e gli interessanti odeporici autunnali eruditi, cioè i diari dei viaggi che egli soleva fare periodicamente in città dell'Italia centrale e settentrionale allo scopo di visitarne i monumenti, gli archivi, le biblioteche pubbliche e private (v. l'odeporico relativo all'anno 1771 in G. Gasperoni, Settecento italiano, cit.).
Di grande importanza per la conoscenza del mondo settecentesco i suoi carteggi conservati a Savignano, a Parma (lettere al Bodoni), a Firenze (lettere ad A. M. Bandini, nella Biblioteca Marucelliana; a S. de' Ricci, nell'Arch. di Stato), a Roma (carteggi con A. Gioannetti, arcivescovo di Bologna, poi cardinale; con i giansenisti pavesi, ecc., raccolti nel cod. Vat. Lat.9038 della Biblioteca Vaticana). Alcune lettere sono state pubblicate dall'Ademollo, da E. Codignola, dal Gasperoni, dal Piromalli, in parte o per intero.
Fonti e Bibl.: [G.Ossuna], Notizia necrologica, In Notizie letterarie di Cesena, 2 febbr. 1792, pp. 37 s.; Necrologio anonimo, in Annali Ecclesiastici di Firenze, n. 44, 2 nov. 1792, p. 175; I. Bianchi, Elogio dell'Abate G. C. A., Pavia 1794 (con accurata bibliografia delle opere); G. I. Montanari, G. C. A., in Biogr. e ritratti di XXIV uomini illustri romagnuoli, a cura di A. Hercolani, III, Forlì 1837, pp.121-132; A. Ademollo, Corilla Olimpica, Firenze 1887, pp. 150 ss., passim; G. Gasperoni, La storia e le lettere nella seconda metà del sec. XVIII, Iesi 1904 (in appendice sono pubblicate lettere di vari corrispondenti dell'A.); A. Cappelli, Carteggio inedito di L. A. Antinori aquilano con C. A. di Savignano, Roma 1905 (contiene 17 lettere dell'Antinori all'A.); A. Campana, Biblioteche della provincia di Forlì, in Tesori delle Biblioteche d'Italia, Emilia e Romagna, a cura di D. Fava, Milano 1932, p. 128; G. Gasperoni, L'abate G. C. A., in Atti e Mem. d. R. Deput. di storia patria per le prov. di Romagna, s. 4, XXIII (1933), pp. 57-149;Id., Aspetti culturali religiosi e politici del Settecento italiano, in Arch. stor. ital., XCII (1934), 7 s., vol. XXI, 2, pp. 225-280, e XCIII (1935), vol. II, 1, pp. 53-98 (illustra il carteggio mantenuto dall'A. con G. Bianchi dal 1763 al 1775; ma per i rapporti col Bianchi cfr. anche M. D. Collina, Il carteggio letterario di uno scienziato del Settecento [Ianus Plancus], Firenze 1957, cfr. Indice); G.Gasperoni, Settecento italiano (contributo alla storia della cultura),I, L'Ab. G. C. A., Padova 1941 (monografia che elabora gli studi precedenti dell'autore intorno all'A.). In particolare, per i rapporti dell'A, con i gruppi giansenisti: Carteggi di giansenisti liguri, a cura di E. Codignola, II, Firenze 1941, pp. 81 n. 3, 217 n. 1 (brani di due lettere al Ricci), 221, 279; III, ibid. 1942, cfr. Indice; E. Dammig, Il movimento giansenista a Roma nella seconda metà del sec. XVIII, Città del Vaticano 1945, pp. 221-227; E. Codignola, Illuministi, giansenisti e giacobini nell'Italia del Settecento, Firenze 1947, pp. 267-273; N. Calvini, Il p. Martino Natali giansenista ligure dell'università di Pavia, Genova 1950 (Atti d. Soc. ligure di storia patria, Serie del Risorg. vol. V), pp. 166-171 (lettere del Natali all'A.); E. Passerin, Il fallimento dell'offensiva riformista di S. de' Ricci secondo nuovi documenti (1781-1788), in Riv. di storia della Chiesa in Italia, IX (1955),pp. 99-131 (pubblica una lettera dell'A. al Ricci e una del Gioannetti all'A.). Per i rapporti col Marini, col Fantuzzi, ecc., v. Lettere inedite di Gaetano Marini, voll. 3, a cura di E. Carusi, Città del Vaticano, 1916-40, passim; per i rapporti con il Lami, v. M. Rosa, Atteggiamenti culturali e religiosi di Giovanni Lami attraverso le "Novelle letterarie", in Annali d. Scuola normale superiore di Pisa, s.2, XXV (1956), p. 329. Più generalmente, per i rapporti con ambienti letterari e artistici, G. Gasperoni, Scipione Maffei e Verona settecentesca, Verona 1955, pp. 378 ss., 465-470 (lettere di G. J. Dionisi all'A.), 471-483 (lettere di I. Pindemonte all'A.); J. Hess, A. und Jenkins in Villa Giulia, in English Miscellany, VI, Roma 1955, pp. 175-204 (per la sua incompiuta storia di Villa Giulia a Roma); A. Piromalli, A. Bertola nella letteratura del Settecento, Firenze 1959, passim (contiene molti accenni alla figura e ai carteggi dell'A. e pubblica molti brani delle sue lettere al Bertola). Si vedano anche: G. Mazzatinti, Inventari dei manoscritti delle Bibl. d'Italia, I, pp. 85-104 (per i codd. posseduti dall'A. ed ora nella Bibl. comunale di Savignano di Romagna), 104-120 (per il carteggio e i suoi mss. conservati nella stessa Bibl.); C. Frati, Diz. bio-bibliogr. dei bibliotecari e bibliofili ital., Firenze 1933, pp. 19-20.