GIOVANNI d'Agostino.
Scultore e architetto senese, figlio di Agostino di Giovanni, documentato dal 1331 al 1347. Oltre che a Siena, G. fu attivo ad Arezzo e a Volterra; fu inoltre capomaestro del duomo senese nel 1336 e a partire dal 1340.La conoscenza dell'attività di G. come scultore poggia essenzialmente su tre capisaldi: la cappella in suffragio di Ciuccio Tarlati nella cattedrale di Arezzo (1334), il piccolo rilievo raffigurante la Madonna con il Bambino e due angeli dell'oratorio di S. Bernardino a Siena, con la sottoscrizione "Ioh(anne)s magist(r)i Agostini de Se(n)is me fecit", e la decorazione dell'incompiuto Duomo Nuovo di Siena (1340-1348).Nato dopo il settembre del 1310 (Nuovi documenti, 1898), G. dovette formarsi quando il padre e Agnolo di Ventura realizzavano il colossale monumento al vescovo-principe ghibellino Guido Tarlati nel duomo di Arezzo (1330). Nel 1331 e nel 1332 G. risulta occupato a fianco del padre per la costruzione di due cappelle, da tempo distrutte, nella pieve di S. Maria ad Arezzo (Milanesi, 1854; Nuovi documenti, 1898); a questo momento devono risalire, realizzati singolarmente da G., i rilievi del fonte battesimale della pieve. Della cappella commissionata dai Ghini (1332) esistono circostanziate prescrizioni contrattuali; si è potuto così proporre di riconoscere alcuni frammenti della sua decorazione (Garzelli, 1969): l'Angelo conservato a Budapest (Szépmuvészeti Múz.) è forse da identificare in una parte del timpano. La cappella del duomo aretino voluta nel 1334 da Roberto Tarlati da Pietramala consiste soltanto - come quelle distrutte della pieve - in una grande edicola addossata alla parete, sormontata da un timpano figurato. Vi è scolpito a bassorilievo il Redentore adorato da due angeli, mentre al di sopra dei capitelli con l'arme dei Tarlati, scolpita a tutto tondo, è l'Annunciazione.Sulle sculture della cappella Tarlati e sul seriore rilievo di S. Bernardino si è formata l'immagine, elaborata nella critica novecentesca, di G. quale alter ego in scultura di Simone Martini, che, liberatosi del 'cubizzante' plasticismo del padre Agostino, da qui soprattutto può seguire - in anni in cui la pittura, e Simone Martini in particolare, ebbero un generale potere di orientamento - la sua vocazione per una scultura ornata ed eminentemente pittorica. A differenza dei rilievi di Tino di Camaino o di Goro di Gregorio, sia nelle Storie di Giovanni Battista del fonte della pieve sia nei poco più tardi rilievi appartenuti alla tomba di un santo, già creduto s. Ottaviano (Volterra, Mus. Diocesano di Arte Sacra; Kreytenberg, 1990), l'aggetto dal piano di fondo è graduato a seconda della diversa collocazione delle figure nello spazio, per creare un'illusione di ampia profondità. In questo senso i risultati più complessi, scalabili probabilmente sulla fine degli anni trenta, furono raggiunti nelle Storie di s. Vittore (Volterra, Mus. Diocesano di Arte Sacra), parti verosimilmente di un sepolcro del santo di cui rimangono gli angeli reggicortina (Kreytenberg, 1990; 1993, con l'indebita attribuzione ad Agostino di Giovanni).Nel novembre del 1336 G. fu il nuovo capomaestro del duomo di Siena (Milanesi, 1854) e risalgono probabilmente a questo momento le otto piccole sculture collocate sul fianco meridionale della cattedrale (Carli, 1941). È probabilmente nella sua nuova veste che insieme al padre si recò l'anno successivo presso la fabbrica del duomo di Orvieto e poi a Carrara "pro facto marmi pro Ecclesie Sancte Marie" (Milanesi, 1854). L'incarico di capomaestro della cattedrale senese gli fu rinnovato il 23 marzo 1340 (Milanesi, 1854); il contratto lo legava al duomo per i cinque anni successivi, proprio all'indomani della deliberazione (23 agosto 1339) del colossale ampliamento della cattedrale, il c.d. Duomo Nuovo, il cui progetto, come è noto, prevedeva che un grandissimo corpo longitudinale fosse raccordato alla chiesa duecentesca, la quale così sarebbe diventata il transetto della nuova cattedrale. I lavori andarono avanti fino al 1348 e forse interamente sotto la direzione di G., che ancora nel 1347 è documentato in stretto rapporto con l'Opera del duomo. La documentazione non precisa quale fosse il ruolo del capomaestro nei lavori di ricostruzione; è tuttavia evidente come rientrasse nei suoi compiti anche la definizione delle soluzioni architettoniche da adottare per realizzare la planimetria di cui restano due progetti (Siena, Mus. dell'Opera della Metropolitana). È stato dimostrato come i rapporti dimensionali della facciata del Duomo Nuovo e della tomba del vescovo Tarlati di Arezzo coincidano e come il sottarco della finestra centrale, con la sua ripartizione a losanghe, ripeta la soluzione presente nella tomba del vescovo aretino (Garzelli, 1969). Inoltre il portale che si apre sul lato destro dell'incompiuta navata, verso Vallepiatta, è strutturalmente prossimo alla cappella costruita nel 1334 nel duomo di Arezzo, differenziandosene soltanto per un maggiore sviluppo in altezza.Al rivestimento marmoreo e alla decorazione scultorea G. e gli aiuti da lui diretti provvidero tempestivamente con il crescere della costruzione. Tra le figurazioni maggiori, nella facciata sono le lunette con il Cristo benedicente e la Madonna con il Bambino; nel portale di Vallepiatta il Cristo adorato da due angeli, i santi protettori di Siena e l'Annunciazione (Carli, 1948); allo stesso gruppo di lavoro si devono le formelle entro gli sguanci della finestra della facciata e i capitelli della navata (Garzelli, 1969), nonché gli ornati vegetali del portale di Vallepiatta. Anche la fascia mediana dell'incompiuta facciata che sovrasta il battistero fu realizzata sotto la direzione di G., e a lui si devono il Redentore, la S. Apollonia e il santo entro le vimperghe delle tre finestre. Questa zona della fabbrica della cattedrale soprastante il corpo del battistero, insieme alle mura perimetrali dell'od. coro, appartiene di fatto all'impresa di ricostruzione: fu realizzata quando ancora si prevedeva che sarebbe diventata la terminazione del transetto destro del Duomo Nuovo (Bartalini, 1989), i cui lavori furono interrotti nel 1348, dopo la grande pestilenza in cui probabilmente anche G. morì.
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