GIOVANNI D'IBELIN
La famiglia di G., noto come il 'vecchio signore di Beirut', era senz'altro originaria dell'Italia normanna.
Sotto Baldovino II si stabilì nel Regno di Gerusalemme, dove presto raggiunse una posizione dominante in seno alla nobiltà, grazie al costante incremento dei beni e a vantaggiose unioni matrimoniali che la imparentarono con la famiglia regnante. Il nonno di G., Barisano, ricevette dal re Folco d'Angiò il feudo d'Ibelin, a sud-ovest di Gerusalemme, che divenne il patronimico della famiglia. Suo figlio Baliano (1143-1193) vi aggiunse la signoria di Nablus e intorno al 1177 sposò la vedova di re Amalrico di Gerusalemme, Maria Comnena, un'unione che fece degli Ibelin i parenti più prossimi dei sovrani di Gerusalemme. G., nato verso il 1180, poteva vantare dal lato materno illustri antenati, come il basileus Giovanni II Comneno, Piriska d'Ungheria, Mstislav di Kiev e Cristina di Svezia.
Restano ignote le circostanze in cui gli Ibelin giunsero a stabilirsi a Cipro, ma la loro stretta parentela con Amalrico, primo re Lusignano, fu il motivo plausibile dell'acquisto di feudi nell'isola da parte di quella dinastia. Eschiva, figlia di Baldovino d'Ibelin e cugina prima di G., aveva sposato Amalrico intorno al 1175 e, dopo la sua morte nel 1195, quest'ultimo aveva contratto nuove nozze con Isabella di Gerusalemme, sorellastra di Giovanni d'Ibelin. L'anno seguente Enrico di Champagne conferì a G., divenuto capo della famiglia dopo la morte del padre Baliano, la carica di connestabile del Regno di Gerusalemme, alla quale egli rinunciò tuttavia nel 1205 avendo ottenuto in cambio la signoria di Beirut, che, riconquistata ai musulmani otto anni prima, versava in condizioni rovinose.
Alla morte di Amalrico di Lusignano, nell'aprile del 1205, la regina Isabella si rivolse al fratellastro per assumere la reggenza del Regno di Gerusalemme in nome suo e della figlia, Maria di Monferrato. Dopo l'incoronazione di Giovanni di Brienne (v.) a Tiro nell'ottobre 1210, alla quale presenziò, G. cedette la reggenza a favore del nuovo re di Gerusalemme, che aveva sposato la giovane Maria. Nei documenti non vi è più traccia di G. e del fratello Filippo fino al 1217, un'assenza dovuta senz'altro a dissidi con Giovanni di Brienne; ma i due Ibelin ricompaiono a Cipro, dove sono menzionati tra i primi dei vassalli in un atto dell'Alta Corte datato 1217. A fianco di re Ugo I (1205-1218) e di Gualtiero di Cesarea, connestabile del Regno, G. si unì al contingente cipriota che prese parte alla quinta crociata: organizzata una spedizione infruttuosa contro la fortezza del Monte Tabor, le truppe rientrarono rapidamente a Cipro dopo la morte di Ugo I, al principio del 1218. L'Alta Corte nominò Filippo d'Ibelin reggente del giovanissimo erede al trono, Enrico I (v.), di otto mesi, sebbene la regina madre Alice di Champagne avesse tentato di aggiudicarsi la reggenza.
Nel 1224, in occasione della cerimonia di vestizione di due figli del signore di Beirut, il cavaliere Amalrico Barlais (v.), avendo subito una grave offesa da un familiare degli Ibelin, decise di vendicarsi. In seguito a quest'atto il reggente dispose affinché fosse esiliato da Cipro e Amalrico si ritirò a Tripoli, dove G. lo raggiunse per tentare una riconciliazione. La tensione si acuì quando la regina Alice di Champagne propose ad Amalrico di subentrare a Filippo d'Ibelin nella carica di reggente, scontrandosi tuttavia con l'opposizione dell'Alta Corte di Cipro che non approvava la nomina. Sfidato a duello da un familiare degli Ibelin, Anseau de Brie, Amalrico fu salvato da G., ma fomentò l'organizzazione di una rivolta per abbattere il dominio degli Ibelin a Cipro. Alla morte del fratello, sopraggiunta negli ultimi mesi del 1227, il vecchio signore di Beirut fu chiamato ad assumere la reggenza sull'isola, dove figurava come il difensore dei diritti baronali contro le pretese dell'imperatore Federico II.
Quest'ultimo, partito per la crociata, fece scalo a Cipro e durante la sosta invitò G. a un banchetto a Limassol. Incurante dell'opposizione dei suoi sostenitori, preoccupati per la sorte del loro capo e del giovane sovrano, G. si recò al banchetto per non perdere l'onore. L'imperatore esigette in quella circostanza dal reggente il rendiconto finanziario relativo ai dieci anni di minorità di Enrico I e la restituzione della signoria di Beirut, detenuta, a suo giudizio, illegalmente, essendo parte del dominio reale di Gerusalemme. G., rammentando che i redditi insulari erano stati riscossi dalla regina madre, si appellò all'Alta Corte di Cipro per contestare la prima accusa e all'Alta Corte di Gerusalemme per la seconda controversia. Lasciando in ostaggio due dei suoi figli all'imperatore, G. fuggì a Nicosia e in seguito trovò riparo nel castello di S. Hilarion. Nel settembre 1228 si giunse finalmente a un accordo: G. accompagnò in Siria Federico II, che lasciò a presidio delle fortezze cipriote i suoi sostenitori capeggiati da Amalrico Barlais. Non assistette all'incoronazione reale a Gerusalemme, ma ad Acri fu testimone di alcuni atti imperiali nell'aprile del 1229, e riuscì a stroncare una dimostrazione popolare contro Federico al momento della sua partenza per l'Italia.
A Cipro i cinque balivi a cui l'imperatore aveva delegato il governo dell'isola pretesero l'omaggio di tutti i baroni e confiscarono i beni degli Ibelin. Il signore di Beirut organizzò senza indugio una spedizione che sconfisse di fronte a Nicosia le truppe di Amalrico Barlais (14 luglio 1229); rifugiatosi a S. Hilarion, Barlais si arrese nell'aprile o nel maggio 1230 e ottenne il perdono. La guerra civile si riaccese all'arrivo della flotta inviata da Federico II, comandata da Riccardo Filangieri, che s'impadronì della città di Beirut dopo che G. aveva rifiutato di abbandonare Cipro (autunno 1231). G. si appellò all'Alta Corte chiedendo l'appoggio di Enrico I per difendere il suo feudo; organizzò quindi una spedizione che andò incontro al fallimento davanti a Beirut, ma riuscì a raccogliere intorno a sé l'opposizione baronale avversa a Federico II e si mise a capo del comune di Acri. A Tiro, con il supporto dei genovesi, G. attaccò gli imperiali e obbligò Filangieri a togliere l'assedio alla cittadella di Beirut. Malgrado la disfatta delle sue truppe a Casale Imbert (3 maggio 1232), G. costrinse gli imperiali a ripiegare su Tiro.
In questo lasso di tempo Amalrico Barlais aveva ripreso il controllo di Cipro, dove arrivò Filangieri a dargli man forte. Dopo aver stretto alleanza con i genovesi, G. organizzò una spedizione che, partendo da Acri, s'impadronì di Famagosta e sconfisse le truppe di Filangieri nella battaglia di Agridi (15 giugno 1232); gli imperiali ripararono a Kyrenia, nel nord dell'isola, dove resistettero fino alla Pasqua del 1233. La loro resa pose fine alla guerra civile e segnò la vittoria incondizionata di G., ai fini della quale erano state determinanti la rete di parentele e clientele che era riuscito a intrecciare a Cipro e la fiducia accordatagli da re Enrico I. Gli Ibelin possedevano nell'isola e nel Regno di Gerusalemme terre e rendite di gran lunga superiori a quelle dei loro avversari, che erano nettamente minoritari e potevano far affidamento soltanto sull'aiuto imperiale, remoto e sempre tardivo. La resa di Kyrenia coincise con l'apogeo del potere di G. a Cipro; portavoce dell'autonomia baronale di fronte al potere imperiale, egli si mostrò risoluto a mantenere il dominio con ogni mezzo, ricorrendo anche alla violenza pur di realizzare le sue ambizioni. Tuttavia, è eccessivo ritenerlo il campione della resistenza francese contro l'imperialismo germanico, secondo il giudizio di René Grousset (1936).
Nel Regno di Gerusalemme G. respinse tramite l'Alta Corte il trattato negoziato dal papa e dall'imperatore per ristabilire la pace civile. Nel 1236, quando Goffredo le Tor fu inviato a Roma per incontrare Gregorio IX, le relazioni tra quest'ultimo e Federico II erano nuovamente tese, per cui il pontefice decise di appoggiare la resistenza dei baroni in funzione antimperiale. G. non arrivò a vedere l'esito di questo conflitto. Nella primavera del 1236, in seguito a una caduta da cavallo, rimase gravemente ferito e fece redigere il suo testamento; morì pochi giorni dopo aver preso l'abito di cavaliere del Tempio. Lasciò la signoria di Beirut al figlio primogenito Baliano, mentre i cadetti, Baldovino, che divenne siniscalco di Cipro, e Guido, futuro connestabile, difesero gli interessi della famiglia nel Regno dei Lusignano, durante il quale gli Ibelin continuarono a ricoprire le cariche di maggior prestigio almeno fino al regno di Pietro I.
Impropriamente chiamato 'il vecchio signore di Beirut' ‒ pur avendo vissuto poco più di cinquant'anni ‒ per distinguerlo dal nipote Giovanni d'Ibelin-Giaffa 'il Giovane', G. fu considerato il prototipo del perfetto cavaliere cristiano, ma è opportuno attenuare l'immagine eccessivamente benevola consegnata da L'Estoire de Eracles e dalla cronaca di Filippo di Novara.
Fonti e Bibl.: L'Estoire de Eracles empereur et la conqueste de la Terre d'Outre-Mer, a cura di A. Beugnot-A. Langlois, in Recueil des Historiens des Croisades. Historiens occidentaux, II, Paris 1859, pp. 361-403; Les Gestes des Chiprois, a cura di R. de Mas Latrie-G. Paris, ibid., Documents arméniens, II, ivi 1906, pp. 669-721; Filippo di Novara, Guerra di Federico II in Oriente (1223-1242), a cura di S. Melani, Napoli 1994. R. Grousset, His-toire des Croisades et du royaume franc de Jérusalem, III, Paris 1936, pp. 289-295, 327-350; J.L. La Monte, John d'Ibelin, the Old Lord of Beirut 1177-1236, "Byzantion", 12, 1937, pp. 417-448; W.H. Rudt de Collenberg, Les Ibelin aux XIIIe et XIVe siècles, "ΕπετηϱὶϚ τοῦ Κέντϱου ᾿Επιστημονιϰῶν ᾿Εϱευνῶν", 9, 1977-1979, pp. 117-248; P.W. Edbury, The Kingdom of Cyprus and the Crusades, 1191-1374, Cambridge 1991, passim; ῾Ιστοϱία τῆϚ Κύπϱου, a cura di Th. Papadopoullos, IV, Nicosia 1995, pp. 21-50; N. Coureas, The Latin Church in Cyprus, 1195-1312, Aldershot 1997, passim. Lexikon des Mittelalters, V, München-Zürich 1991, coll. 510-511.
Traduzione di Maria Paola Arena