GIOVANNI da Amelia (Iohannes Matutii)
Figlio di Matteuccio, che doveva essere già morto nel settembre 1363, nacque ad Amelia, presso Terni, verso la metà del XIV secolo. Nella notizia più antica, risalente al 31 maggio 1368, G. compare, ancora privo di benefici ecclesiastici, con la qualifica di legum doctor e, come cappellano e commensale continuus, faceva parte della familia del cardinale diacono di S. Maria in via Lata, Nicolas de Besse, vescovo di Limoges e nipote del pontefice Clemente VI.
Resosi vacante un canonicato con prebenda nella cattedrale di Napoli appartenuto a un altro cappellano del cardinale, esso gli fu definitivamente conferito da Urbano V a Roma il 4 genn. 1369, dopo l'annullamento di un primo atto di collazione, che non faceva riferimento alla precedente riserva apostolica.
Nonostante la sopravvenuta morte del cardinale de Besse (5 nov. 1369), G. mantenne i rapporti con la Curia di Urbano V, il quale il 13 maggio 1370 a Montefiascone lo nominò, con il vescovo di Spoleto e l'abate di San Severino nelle Marche, esecutore del conferimento di un canonicato nella cattedrale di Foligno al "decretorum doctor" Francesco da Urbino.
Dopo avere ottenuto il priorato secolare di Todi con la collegiata di S. Pietro de Uncinis (beneficio il cui conferimento era riservato alla Sede apostolica), fu nominato arcivescovo di Corfù il 15 febbr. 1376. A questa data era ancora soltanto diacono e ricopriva nella Curia pontificia l'ufficio di uditore. Il 18 sett. 1378 fu creato cardinale dal neoeletto papa Urbano VI.
Secondo un'unica testimonianza, raccolta ad Avignone molto più tardi, nell'estate del 1386 (Seidlmayer, p. 315), la nomina cardinalizia avrebbe costituito il premio per la sua complicità col pontefice nella falsificazione del testamento del cardinale Francesco Tebaldeschi. Quest'ultimo, che aveva partecipato alla controversa elezione di Urbano VI, era morto a Roma ai primi di settembre del 1378. Secondo il testimone, Raymarus Aem, decano della cattedrale di Brema e sostenitore dell'avversario di Urbano (il cardinale Roberto di Ginevra, antipapa con il nome di Clemente VII), nei drammatici giorni in cui si stava determinando lo scisma d'Occidente, il Tebaldeschi morente, l'unico cardinale che non aveva partecipato agli intrighi che determinarono la deposizione di Urbano VI, era stato fatto interrogare perché dichiarasse dinanzi al notaio che Urbano VI era vero papa, "rite et canonice electus". Nella sua deposizione il testimone raccontò di avere sentito dire che il cardinale non fu in grado di rispondere, perché ormai aveva perso la parola e, ripetutamente interrogato, era riuscito soltanto a far cenni col capo e a pronunciare suoni inintelligibili. Aggiunse, riferendo voci raccolte tra i familiares del defunto, che i notai presenti si sarebbero rifiutati di interpretare affermativamente quei suoni e gesti. Riferì inoltre, sempre per sentito dire, che, dopo la morte del Tebaldeschi, Urbano VI con l'assistenza di G. avrebbe redatto, attribuendolo al defunto cardinale, un testamento falso che però non fu mai esibito a sostegno di Urbano.
La testimonianza del decano di Brema si riallacciava a quella che aveva reso sei anni prima, nel maggio 1380, sempre ad Avignone, un altro clementista, il ministro generale dei frati minori, fra Angelo da Spoleto (Seidlmayer, pp. 247-249). Quest'ultimo non si era limitato ad affermare che Urbano VI aveva falsificato il testamento del Tebaldeschi, ma aveva aggiunto che il papa aveva impiantato una vera e propria officina di falsi, con i sigilli dei re di Boemia e d'Ungheria, del vescovo di Cosenza, il cardinale Niccolò Brancaccio, nonché di molti altri principi e signori. La fonte delle notizie era in realtà un miles catanese, il giurista Stefano Migliarisi, che confessò essere stato complice del papa nelle falsificazioni. Nessuno prima del 1386 aveva però mai fatto riferimento a G. come complice nelle presunte contraffazioni pontificie.
L'11 genn. 1385, mentre si trovava con Urbano VI nel castello di Nocera, G. fu fatto arrestare dal papa con l'accusa di avere partecipato a una congiura rivelata dal cardinale Tommaso Orsini di Manoppello. Con lui furono incarcerati anche i cardinali Ludovico da Venezia e Bartolomeo di Cogorno, i quali, già nel 1383, avevano aderito al partito filodurazzesco capeggiato nel Collegio cardinalizio dal cardinale Bartolomeo Mezzavacca, condividendone la ribellione a Urbano VI. Furono arrestati anche il cardinale Gentile da Sangro che, come il Mezzavacca e Ludovico da Venezia, era stato inviato presso Carlo III d'Angiò Durazzo e aveva quindi avuto facile occasione di legarsi a lui, e il cardinale Marino Del Giudice, il quale nel 1380 era stato in stretto contatto col re in veste di legato pontificio alla corte ungherese per concludere gli accordi circa la sua venuta in Italia e l'incoronazione come re di Napoli. Gli arresti, eseguiti dal nipote del papa, Francesco Prignano detto Butillo, furono completati con quello del cardinale Adam Easton.
L'obiettivo del complotto cardinalizio, a quanto pare, era di neutralizzare il pontefice, che si voleva sottoporre al controllo del S. Collegio, nella convinzione che una tale proposta, col favore del re di Napoli, che sembra esserne stato l'ispiratore o per lo meno il sostenitore, avrebbe trovato il favore di tutti i cardinali che avversavano la linea autoritaria di Urbano VI nella guida della Chiesa. Il Collegio cardinalizio avrebbe dovuto adottare contro il papa un provvedimento che contemplasse la nomina di uno o più curatori, che l'avrebbero praticamente sostituito, nel presupposto della sua asserita incapacità mentale. Per attuare il progetto, sarebbero stati richiesti dei pareri a Bartolomeo da Piacenza e ad altri giuristi, ma anche ad alcuni teologi, nell'ipotesi di alienazione mentale del pontefice, o comunque di sua incapacità al governo della Chiesa.
Il complotto pare avesse tuttavia anche un secondo e più riservato progetto, probabilmente noto solo a una cerchia molto più ristretta, e alternativo rispetto al primo, che dovette invece circolare più diffusamente e non limitatamente ai cardinali poi incriminati. Secondo questo piano più drastico Urbano VI per i suoi comportamenti doveva essere accusato non di follia, ma addirittura di eresia. Catturato e sottoposto a un rapido processo dal Collegio cardinalizio, il papa doveva essere condannato al rogo. Si sarebbe potuto così eleggere un successore, forse in persona dello stesso Bartolomeo Mezzavacca o di Ludovico da Venezia.
Tale versione della congiura, che ne aggravava notevolmente la portata, risultò dalle confessioni rese dai cardinali arrestati e sottoposti a tortura e fu deliberatamente diffusa dagli ambienti urbanisti, ma è anche parzialmente avvalorata da un documento successivo, la dichiarazione di disobbedienza fatta a Napoli dai cardinali filodurazzeschi sfuggiti alla cattura, e ancora guidati dal Mezzavacca, documento nel quale si trovano entrambe le tesi della follia e della eterodossia. Premessa comune, tanto alla dichiarazione di inabilità e alla nomina di una curatela, quanto alla pronuncia d'eresia e alla condanna capitale, era comunque l'arresto del pontefice, che pare fosse stato deciso dai congiurati per il 13 o il 20 genn. 1385 e che avrebbe restituito l'iniziativa al S. Collegio.
Alla fine di febbraio Urbano VI diffuse il testo della confessione resa da G. e dagli altri cardinali, in seguito alle torture, i cui raccapriccianti particolari sono riferiti dal cronista Teodorico da Nyem, e ne annunciò pubblicamente l'avvenuto arresto e la deposizione. G., al pari degli altri dignitari ecclesiastici, fu in quell'occasione scomunicato.
L'8 luglio il papa poté lasciare il castello di Nocera, grazie all'intervento armato di Raimondo Del Balzo Orsini e di Tommaso Sanseverino, che, con il sostegno della Repubblica di Genova, consentì a Urbano VI di sottrarsi all'assedio posto dalle truppe di Carlo III di Durazzo. Tutti i cardinali deposti furono costretti a seguire Urbano VI e, dopo avere fatto sosta a Benevento dal 24 luglio al 3 agosto, raggiunsero in un drammatico viaggio attraverso gli Appennini il porto di Bari, dove li attendevano dieci galee genovesi. Nel timore che potessero fuggire, i cardinali furono trasportati sotto stretto controllo, a dorso di ronzini, legati strettamente, a piedi nudi e a capo scoperto, umilmente vestiti. Dopo una sosta delle navi a Messina dal 27 al 29 agosto, ai primi di settembre la spedizione entrò nel golfo di Napoli. Il 23 sett. 1385 lo sbarco a Genova avvenne senza alcuna solennità, né concorso popolare; certamente soprattutto per l'imbarazzo causato dalla presenza dei cardinali prigionieri, uno dei quali, Bartolomeo di Cogorno, era ligure.
G. rimase con gli altri prigioniero nella commenda gerosolimitana di S. Giovanni de Pre', dove Urbano VI prese residenza, senza mai uscirne. Le insistenze genovesi non valsero a ottenere la liberazione dei cardinali, fatta eccezione per l'arcivescovo di Londra, Adam Easton, liberato su richiesta del re d'Inghilterra Riccardo II. Probabilmente tali pressioni in favore dei cardinali riuscirono tanto più sgradite in quanto si accompagnarono a un tentativo di liberare con la forza i prigionieri, con un'irruzione notturna e armata, che avrebbe fatto parte di un nuovo complotto cardinalizio per l'uccisione del papa. Tutto ciò contribuì alla partenza di Urbano VI da Genova alla volta di Lucca, avvenuta il 16 dic. 1386, e forse alla misteriosa sorte di G. e dei suoi compagni di prigionia.
La mancanza di ulteriori notizie ha fatto sempre ritenere che fosse sopravvenuta la morte di tutti e cinque i cardinali, sulle cui modalità cronisti e storici si sono sbizzarriti, attribuendone comunque la responsabilità al pontefice. G. sarebbe dunque morto a Genova verso il dicembre 1386.
Fonti e Bibl.:Chronicon Siculum, a cura di G. de Blasiis, Napoli 1887, p. 61; Theodoricus de Nyem, De scismate libri tres, a cura di G. Erler, Lipsiae 1890, p. 103; G. Person, Cosmidromius, a cura di M. Jansen, Münster 1900, pp. 97 s.; Urbain V (1362-1370). Lettres communes, a cura di M Hayez - A.-M. Hayez, VII, Rome 1981, n. 21087 p. 60; VIII, ibid. 1982, n. 23185 p. 37; IX, ibid. 1983, n. 27544 pp. 475 s.; M. Seidlmayer, Die Anfänge des grossen abendländischen Schismas, Münster 1940, pp. 209, 315; S. Fodale, La politica napoletana di Urbano VI, Caltanissetta-Roma 1973, pp. 23, 112-120; C. Eubel, Hierarchia catholica Medii Aevi, I, Monasterii 1913, p. 209; Diz. biogr. degli Italiani, XXVI, pp. 649-651; XXXVI, pp. 608-610.