GIOVANNI da Baiso (o Abaisi)
Intagliatore e maestro lignario modenese, originario di Baiso (prov. di Reggio Emilia) e figlio del muratore reggiano Benedetto. Attivo lungamente tra Ferrara e Bologna - ma non senza cospicue aperture verso la Toscana e il Veneto - G. morì nel 1390.A G. sono attribuibili due opere, una delle quali - l'imponente coro ligneo della chiesa ferrarese di S. Domenico - reca estesamente la firma dell'artefice e la data 1384, accanto al nome della committente, Tommasina Gruamonti, moglie di Azzo d'Este. L'artista pare così precocemente coinvolto nel circolo delle committenze estensi, alle quali si deve, già a questa data, una vivace fioritura pittorica, di osservanza prevalentemente veronese e padovana.Il coro ligneo, senza precedenti in val Padana per dimensioni e ricchezza progettuale, "fortemente strutturato dalla cornice architettonica che lo chiude alla sommità" (Bandera, 1972, p. 6), mostra una singolare, esuberante inventiva nel complicato sistema dei rosoni iscritti in rombi, bifore, girali, colonnette tortili, e un accento precocemente flamboyant, che sembra convergere con le esperienze della contemporanea oreficeria bolognese, di Jacopo Roseto particolarmente, e pare anticipare alcune delle soluzioni architettoniche adottate, di lì a poco, nelle fabbriche di Antonio di Vincenzo.Le precedenti esperienze di G. rinviano del resto a Bologna, dove Montieri (Zucchini, 1919) riconobbe un coro ligneo sottoscritto dall'artefice e datato 1374 nella distrutta chiesa di S. Maria del Carrobbio: gli stalli superstiti sono poi pervenuti, non senza vistose manomissioni e interpolazioni, nella cappella Bolognini in S. Petronio. A giudicare dai rilievi che con maggiore verosimiglianza possono ritenersi autentici (il Redentore, Elia, S. Giacomo Maggiore, S. Bartolomeo), G. appare distaccarsi dalle esperienze della scultura lignea bolognese, benché non manchino segnali di attenzione per la miniatura coeva, specie nella versione più controllata, data in quegli stessi anni dai neogiotteschi che si richiamavano a Jacopo Avanzi.Il figlio di G., Tommasino (m. nel 1423) proseguì l'attività paterna e tra il 1405 e il 1406 eseguì il coro distrutto della chiesa dei Servi a Ferrara. Negli stessi anni, tra il 1403 e il 1406, egli appare come garante e socio di Jacopo della Quercia mentre questi attende alla Madonna Silvestri per il duomo ferrarese (Rondelli, 1964). Più tardi, nel 1415, in compagnia del figlio Arduino, intagliò per la cattedrale bolognese di S. Pietro una monumentale croce lignea dipinta e dorata da Jacopo di Paolo, anch'essa perduta. Soltanto ipotetico è il diretto intervento di Tommasino nel grande polittico ligneo della cappella Bolognini, intagliato con numerose figure di santi e profeti e dipinto da Jacopo di Paolo, verosimilmente nel primo decennio del 15° secolo.
Bibl.: A. Venturi, I primordi del rinascimento artistico a Ferrara, Rivista storica italiana 1, 1884, pp. 591-631: 621ss.; I.B. Supino, La scultura in Bologna nel secolo XV. Ricerche e studi, Bologna 1910; A. Manaresi, Il crocifisso del pontile nell'antica cattedrale di Bologna, Bollettino della Diocesi di Bologna 1, 1911, pp. 255-257; G. Zucchini, Due opere d'arte della cappella Bolognini-Amorini in San Petronio di Bologna, BArte 13, 1919, pp. 133-138; F. Fabbi, Baiso: feudatari, prelati, magistrati, maestri d'arte che da esso presero nome, Reggio Emilia [1959], pp. 54-64; A. Ghidiglia Quintavalle, s.v. Baiso, Giovanni da, in DBI, V, 1963, pp. 300-301; N. Rondelli, Jacopo della Quercia a Ferrara 1403-1408, Bullettino senese di storia patria, s. III, 23, 1964, pp. 131-142; L. Bandera, Il mobile emiliano, Milano 1972, pp. 5-7; R. Grandi, Cantiere e maestranze agli inizi della scultura petroniana, in La Basilica di San Petronio in Bologna, I, Cinisello Balsamo 1983, pp. 125-162: 157-158; G. Manni, Mobili in Emilia. Con un'indagine sulla civiltà dell'arredo alla corte degli Estensi, Modena 1986; R. Grandi, La scultura tardogotica. Dai Dalle Masegne a Jacopo della Quercia, in Il cantiere di S. Petronio. Il tramonto del Medioevo a Bologna, a cura di R. D'Amico, R. Grandi, cat., Bologna 1987, pp. 127-160: 131.