GIOVANNI da Capestrano (Capistranus, Iohannes de Capistrano, Kapristan), santo
Nacque a Capestrano, vicino L'Aquila, il 24 giugno 1386. Il padre, Antonio, il cui nome è noto da alcune testimonianze d'archivio (Pandzič, Nicolini), di origine straniera, dovette giungere in Italia al seguito di Luigi I d'Angiò, che contendeva a Carlo III d'Angiò Durazzo la successione al Regno di Napoli. Lo stesso G. in una testimonianza raccolta intorno al 1447 da Giacomo de Franchis, terziario francescano, affermava che "meo patre fue ultramontano, fue barone et venne col duca d'Angione" (Masci, p. 194). Ignoto è il casato della madre ricondotto alla famiglia Amico, appartenente alla piccola nobiltà locale.
G. trascorse con tutta probabilità i suoi primi anni in Abruzzo, regione coinvolta in quel periodo nelle tormentate vicende che agitavano il Regno di Napoli. In questo quadro di precarietà politica e di conflitti endemici deve essere inquadrata la morte violenta del padre, ucciso insieme con altri suoi familiari da un gruppo rivale, avvenimento al quale G., all'epoca fanciullo di sette-otto anni, farà riferimento nel corso della sua attività omiletica. Intorno al 1405-06 era a Perugia dove, dopo essere stato accolto nel collegio della Sapienza, l'importante istituzione voluta dal card. Niccolò Capocci per accogliere studenti di modeste condizioni economiche, seguì i corsi di diritto civile presso il locale Studium. Fra i suoi professori, ricordato con orgoglio e devozione nella sua produzione letteraria, compare il nome di Pietro di Angelo degli Ubaldi: a questi anni di formazione e a questa esperienza intellettuale devono essere ricondotti alcuni aspetti della sua opera e della sua personalità. Consigliere della domus sapientiae nel 1411, G. dovette licenziarsi tra la fine di quell'anno e il 1412, senza però addottorarsi.
La notizia che vuole G. membro della Vicaria di Napoli intorno al 1410 quando vennero inquisiti per alto tradimento il conte di Sant'Agata, Ladislao, insieme con suo figlio, notizia riferita da Paride Dal Pozzo nel suo trattato De syndicatu e riportata dalla letteratura erudita, è stata posta in dubbio da studi più recenti (Nicolini, p. 47; Maffei, 1991), anche se la presenza di G. quale funzionario della Curia del Regno non può essere esclusa.
Poco tempo dopo, nel 1413, G. compare, al seguito del podestà Coluccio Grifi da Chieti, in veste di giudice "ad civilia" per il quartiere di S. Susanna di Perugia, la cui amministrazione della giustizia, una volta devolutasi la città a Ladislao d'Angiò Durazzo (1408), era affidata a esponenti graditi al sovrano angioino. L'incarico svolto da G. a partire dal mese di giugno di quell'anno fino alla primavera del 1414, quando al pari degli altri membri della famiglia podestarile fu sottoposto al sindacato (22 maggio 1414), può essere visto come una testimonianza dei legami intercorsi fra G. e la Curia napoletana. La cronologia degli eventi successivi relativa all'ingresso di G. nell'Ordine francescano non è ancora pienamente accertata. Secondo Nicolini, morto nell'agosto 1414 Ladislao, la città umbra conobbe un breve periodo di tranquillità interrotto nel 1416 per l'avanzare delle truppe di Braccio da Montone (Andrea Fortebracci) e per il riaccendersi nel contado circostante delle violenze dei fuorusciti. Caduta Perugia sotto il controllo di Braccio il 12 luglio e rientrati gli esiliati politici in città, G. già giudice per conto di Ladislao, legato quindi al precedente governo ("a quodam exule clari ordinis Perusini adversae partis", Niccolò da Fara, p. 440 n. 4) sarebbe stato imprigionato a Torgiano.
Stando alle fonti agiografiche G., che nel corso della prigionia tentò di evadere senza successo dalla cella in cui era rinchiuso, ebbe nel corso della reclusione due visioni di s. Francesco che lo invitava a una totale e repentina conversione di vita.
Liberato dietro riscatto, G. fece ritorno a Perugia e fu accolto presso la comunità osservante del convento francescano di Monteripido, centro di irradiazione dell'esperienza spirituale avviata qualche decennio prima da fra Paoluccio Trinci. Il totale mutamento nell'esistenza di G. lo condusse ad annullare il matrimonio contratto in precedenza, ma mai consumato, con una giovane di Capestrano, unione ricordata di sfuggita dai primi biografi, e alla quale lo stesso G. accennerà nel corso dei suoi interventi omiletici. Vestito l'abito francescano, G. fu ordinato chierico nel corso del 1417 e con tutta probabilità lo stesso anno iniziò a predicare.
Uno spazio particolare dovette essere dato da G., fin dai primi momenti della sua conversione, all'impegno contro i seguaci dei fraticelli. Tale attività ebbe il suo primo suggello l'anno successivo quando, incontratosi a Mantova nel mese di maggio del 1418 con Martino V Colonna, di ritorno quest'ultimo dal concilio di Costanza, G. venne nominato inquisitore.
Di questo primo formale incarico affidatogli da papa Colonna non abbiamo altra testimonianza che il ricordo dello stesso G. che, nel 1452, accennava all'incontro mantovano nonché alla missione affidatagli dal pontefice (Wadding, XII, p. 156). Essa sanciva, ai primordi del suo lungo percorso umano e spirituale, uno degli aspetti che caratterizzeranno l'apostolato di G., dove accanto all'attività omiletica si affiancherà anche quella inquisitoriale, sorretta fra l'altro dalla sua attenta formazione giuridica. I suoi interventi saranno principalmente rivolti contro quei "Fraticelli de opinione" che godevano ancora di un certo seguito nelle aree periferiche del territorio umbro-marchigiano, ma nel corso degli anni la sua attività di inquisitore fu richiesta anche in altri ambiti spirituali, come in occasione dell'indagine del 1437 rivolta alla Congregazione veneziana dei gesuati.
La sua ordinazione sacerdotale dovette avvenire dopo il 14 nov. 1418.
Un registro di suppliche, attualmente conservato presso l'Archivio segreto Vaticano (Reg. Suppl., 117, cc. 133 s.), fa esplicitamente riferimento a G. al quale fu concessa l'ordinazione nonostante il fatto che mentre "saecularia officia exercens, sententias protulit corporales, morte postmodum executa" (Pandzič, p. 81).
L'attività di G. per gli anni seguenti non è nota con certezza: dopo avere vissuto probabilmente all'Aquila presso il convento di S. Giuliano, diventando vicario per la provincia osservante abruzzese, G. predicò nel 1422 all'Aquila e a Roma, per il giubileo indetto da Martino V, dove tenne in campo de' Fiori una predica contro la baratteria, che costituirà uno dei temi ricorrenti della sua produzione omiletica. In autunno, dopo aver predicato a Ferrara e a Firenze, era di nuovo a Roma dove rimase probabilmente nei primi mesi del 1423.
Risale a questo periodo un mandato di Martino V con il quale venivano revocate le disposizioni precedentemente emanate dallo stesso papa in favore degli ebrei del Patrimonio (Simonsohn, 1989, doc. 620). Pur non essendoci esplicite testimonianze sulle responsabilità di G. in merito a tale provvedimento, quest'ultimo è comunemente ritenuto come il primo di una serie di interventi sollecitati da G. al fine di riconfermare nella sua pienezza la normativa canonistica nei confronti degli ebrei.
Sempre nel corso del 1423 G. dovette recarsi all'Aquila che, dall'inizio dell'anno era cinta d'assedio da Braccio da Montone. Il condottiero umbro, all'epoca al soldo di Giovanna II d'Angiò e dell'erede designato di questa Alfonso d'Aragona, minacciava infatti il capoluogo abruzzese che, nel maggio 1423 aveva reso formale atto di omaggio a Luigi III d'Angiò, anch'egli aspirante al trono di Napoli e sostenuto da Martino V. Non è improbabile che G. sia stato mediatore fra la città e lo stesso Braccio (Faraglia, 1908, p. 269), mediazione che però non sortì alcun effetto. G. dovette in seguito recarsi a Siena dove, nel giugno di quell'anno era stato trasferito il concilio, apertosi a Pavia nel mese di aprile.
Un codice conservato nella Biblioteca del convento di S. Francesco di Capestrano (cod. n. XXXI) contenente il ciclo omiletico tenuto da G. nella città toscana, presenta alle cc. 194r-198r un sermone per la festa di S. Saba che ricorre il 5 dicembre: è quindi probabile che G. fosse già presente a Siena alla fine del 1423 dove predicò per tutta la quaresima del 1424, subito dopo lo scioglimento dell'assise conciliare, alla quale egli, con tutta probabilità, partecipò. Lo stesso codice si rivela estremamente interessante perché contiene alle cc. 127r-139v una versione latina del ciclo di prediche in volgare dato da Bernardino da Siena nella chiesa fiorentina di S. Croce, fra il 30 aprile e il 3 maggio, ed è quindi la concreta testimonianza di quel vicendevole rapporto di familiarità e di amicizia fattiva che legò G. a Bernardino e che non si sarebbe mai più interrotto. È probabile al riguardo che G., una volta lasciata Siena, si sia diretto a Firenze dove avrebbe ascoltato il suo confratello, inaugurando una pratica, quella di riprodurre in latino i sermoni di Bernardino, che avrebbe compiuto anche in seguito. Il fatto che la prima delle prediche bernardiniane non sia autografa di G., ma è forse scritta di proprio pugno dal senese, non contraddice a detta degli studiosi (Forni - Vian, 1991) questa ipotesi: recatosi subito dopo Pasqua a Firenze per incontrare Bernardino, questi avrebbe di suo pugno scritto sul codice di G. la prima delle sue prediche del ciclo di S. Croce, oppure secondo un'altra ipotesi G. si sarebbe trattenuto a Siena fino al mese di giugno continuando a predicare e lì sarebbe stato raggiunto da Bernardino.
Non si hanno molte notizie su G. nei mesi successivi: egli dovette lavorare spesso insieme con Bernardino che, nell'estate del 1425, fu impegnato in un'intensa attività di predicazione, a Perugia e ad Assisi, della quale è preziosa testimonianza un codice autografo di G., contenente sunti del ciclo omiletico bernardiniano (Modena, Convento di S. Cataldo, ms. XXX; cfr. Pacetti, 1940, p. 19).
L'impegno di G. a Perugia in occasione della predicazione di Bernardino è presente nella redazione dei riformati statuti cittadini, comunemente noti come "Statuta Bernardiniana", dove fu riaffermata con maggior efficacia il rigore della normativa statutaria esistente (sul valore degli interventi bernardiniani a Perugia e quindi, in questa specifica occasione, anche di G. cfr. J.-C. Maire Viguer, Bernardino et la vie citadine, in Bernardino predicatore nella società del suo tempo, Atti del Convegno del Centro di studi sulla spiritualità medievale, Todi… 1975, Todi 1976, pp. 276-280).
Bernardino e G. erano impegnati a predicare nel corso della quaresima 1426, rispettivamente a Viterbo e a Rieti, quando al Senese fu ingiunto di recarsi a Roma per difendersi dall'accusa di eresia per avere predicato e diffuso il culto del nome di Gesù, incentrato sulla devozione del trigramma "IHS", spesso esposto da Bernardino nel corso della sua predicazione e, da alcuni anni, oggetto di critica da parte dei suoi detrattori. Dopo una breve sosta al convento aquilano di S. Giuliano, G. si recò a Roma dove partecipò alla pubblica disputa dalla quale Bernardino uscì completamente riabilitato. Sempre in occasione del suo soggiorno romano, G. ottenne dal pontefice ampi poteri per intervenire contro i fraticelli in ogni luogo d'Italia (Bullarium Franciscanum, VII, n. 1710). In quel torno di tempo, insieme con Giacomo della Marca, avrebbe anche indagato a Miaolati, località nei pressi di Jesi considerata l'epicentro dell'eresia fraticellesca nella Marca anconitana.
Di tale avvenimento abbiamo testimonianza dal Dialogus contra fraticellos di Giacomo, in cui questi accusa gli stessi "fraticelli" di aver provato a uccidere sia lui sia G. ricorrendo a sicari appositamente reclutati (p. 254).
Il successivo ritorno all'Aquila fu festeggiato da una lunga predica dove G. esibì una tavola recante il nome di Gesù, suscitando, stando il racconto di Bernardino da Fossa, la liberazione dal demonio di alcuni ossessi, elemento ricorrente nella successiva iconografia di Giovanni. Risalgono a questo periodo alcune iniziative svolte da G. nel territorio del Regno di Napoli che lo videro impegnato in una intensa attività di mediazione nelle città abruzzesi e presso la regina Giovanna II.
Ai primi di novembre era a Sulmona dove intervenne dietro richiesta della contessa di Popoli, Maria Cantelmo, per favorire il rientro in città di alcuni esponenti legati alla famiglia Merolini, di qualche rilievo politico in ambito locale, allontanati in precedenza perché ritenuti oppositori dei reali angioini. In seguito intervenne per dirimere una controversia fra Ortona e Lanciano, sorta quando gli abitanti di Lanciano, sede quest'ultima di una fiera assai rinomata in tutto il Regno, avevano cercato di ottenere i privilegi necessari per la costruzione di un porto lungo il lido di San Vito Chietino, minacciando in tal modo i proventi dell'attività mercantile della cittadina adriatica. L'iniziativa di G. ottenne un formale successo con la sigla di una patto fra i due centri (17 febbr. 1427), volto in primo luogo a garantire alle due comunità identici privilegi fiscali.
Nella primavera G. dovette risiedere presso la corte di Giovanna II, all'epoca di stanza ad Aversa, dove si era recato per ottenere rettifica dell'accordo siglato fra Ortona e Lanciano. In tale occasione ottenne dalla sovrana (3 maggio) e dal duca di Calabria, Luigi d'Angiò (21 maggio), la promulgazione di due editti che concedevano a G. pieno mandato nel procedere contro il prestito ebraico e per imporre l'obbligo del segno distintivo agli appartenenti delle locali comunità israelitiche. G. si recò in seguito a Roma dove, munito anche di queste autorizzazioni regali, otteneva dal pontefice (7 giugno) la conferma dei suoi poteri inquisitoriali contro i fraticelli, nonché l'estensione dei provvedimenti antiebraici ottenuti nel Regno (Bullarium Franciscanum, VII, n. 1710, 1). Si andava delineando così, fin dai primi anni della sua attività, una continua cura nel raccogliere materiale probatorio, sia sul piano strettamente normativo, sia su quello più diffusamente letterario e teologico, che sarà una caratteristica dell'azione di Giovanni. Proprio al pontefice si sarebbero in seguito rivolti, in rappresentanza delle comunità abruzzesi, i due medici ebrei Vitale d'Angelo d'Abramo dell'Aquila e Salomone di Ventura d'Anagni, al fine di ottenere la revoca di tali limitazioni, revoca concessa il 20 agosto di quello stesso anno.
Il successivo itinerario compiuto da G. è poco noto; con tutta probabilità nell'autunno si trovava presso il santuario di S. Michele, in Puglia, regione dove dovette rimanere anche nei primi mesi dell'anno successivo. Stando a una sua testimonianza, gli fu proposta la sede vescovile di Chieti, che fu affidata, visto il suo rifiuto, ad Amico Agnifili, suo amico. Nel giugno 1429 G. era a Roma dove, l'8 di quel mese, sotto la presidenza di G. Orsini, cardinale protettore dell'Ordine, era previsto un incontro, conclusosi con un nulla di fatto, fra esponenti delle comunità conventuali e osservanti, al fine di ricomporre i continui dissidi presenti fra le due famiglie. Tappa successiva per le vicende dell'Osservanza fu il capitolo generale dell'Ordine, tenutosi ad Assisi fra il 15 e il 21 giugno 1429, dove oltre all'elezione di Guglielmo da Casale come ministro generale, furono promulgate in favore dell'Osservanza delle nuove costituzioni, comunemente note come costituzioni martiniane.
Fra i dati essenziali della riforma figuravano la rinuncia ai beni immobili e all'uso del denaro, nonché il ripristino dei sindaci apostolici, mentre l'unità di governo veniva sancita con la rinuncia, da parte degli osservanti, delle vicarie provinciali, con cui lo stesso movimento si era organizzato nel suo interno. L'accordo era destinato a rivelarsi di breve durata poiché Martino V con la bolla "Ad statum" (Bullarium Franciscanum, VII, pp. 737 s.) modificava in modo sostanziale la portata delle costituzioni di Assisi, concedendo di nuovo ai frati minori la possibilità di possedere e gestire beni immobili e redditi.
Dopo il capitolo G. fu principalmente impegnato in una serie di indagini antiereticali a Rieti.
Qui intervenne contro tre donne e un uomo, di scarso rilievo sociale e intellettuale, stando le fonti, i quali nonostante la pubblica abiura furono incarcerati perché "relapsi" (Wadding, X, n. 33). Di diverso tenore fu l'attività inquisitoriale che egli diresse, nel mese di novembre, nei confronti di Nicola e di Battista Brancaleone, signori di Belmonte in Sabina, accusati di avere dato ospitalità ai fraticelli. Parallelamente alla sua indagine che aveva dovuto in qualche modo incrinare gli equilibri interni alla piccola compagine cittadina, le autorità locali si premurarono, infatti, nel mese di dicembre, di inviare un messo presso la Curia romana per sostenere l'innocenza dei Brancaleone (cfr. Sacchetti Sassetti, 1964).
Successivamente G. dovette recarsi a Roma, dove era senz'altro presente quando il 20 febbr. 1431 Martino V moriva; un mese dopo salì al soglio pontificio il veneziano Gabriele Condulmer che prese il nome di Eugenio IV (3 marzo).
La sensibilità religiosa del nuovo pontefice, uno degli ispiratori della riformata Congregazione canonicale agostiniana sorta presso il convento veneziano di S. Giorgio in Alga, dimostrò subito larga disponibilità nei confronti delle istanze di G. e dell'Osservanza in generale. In tale prospettiva si inserisce la revoca, con la bolla "Vinea Domini Sabaoth", delle già ricordate modifiche delle costituzioni martiniane, revoca che reintegrò, sebbene per poco tempo data la reazione negativa dei conventuali, la figura dei vicari per ogni provincia osservante. In occasione del capitolo degli osservanti tenutosi nel convento bolognese di S. Paolo al Monte il giorno di Pentecoste, il compito di visitatore generale fu affidato a Giovanni.
Nel corso della primavera G. era stato anche impegnato nel rispondere alle critiche mosse da Filippo Berbegall.
Questi, promotore della diffusione dell'Osservanza nei territori spagnoli, aveva infatti criticato e rifiutato, in alcuni brevi scritti polemici, la sostanza delle costituzioni martiniane ritenute troppo compromissorie. Alle sue Apostillae G. rispose con un trattatello (terminato il 9 maggio ed edito oltre che in Repetitionum iuris canonici volumina sex, VI, 2, Venetiis 1587, pp. 56-63; ibid., Coloniae 1618, VI, pp. 115-119, anche da J.M. Pou y Martì, Visionarios, beguinos y fraticelos catalanes…, Vich 1930, pp. 269-283) in cui individuava nello zelo rigoroso di Berbegall, in seguito sottoposto nel 1432 a inquisizione, sostanziali punti di contatto con le dottrine fraticellesche.
Nello stesso torno di tempo fu di nuovo impegnato nel difendere Bernardino da Siena dalle accuse di eresia che lo videro oggetto di nuove indagini inquisitoriali. All'intercessione di G. si deve probabilmente la redazione della bolla con la quale Eugenio IV, il 7 genn. 1432, difese la persona di Bernardino da ogni sospetto. L'attività svolta in questo periodo non è nota nella sua interezza; la riconferma dei suoi poteri inquisitoriali, contenuta in una bolla del 1° maggio (Bullarium Franciscanum, n.s., p. 32), attesta che il suo impegno contro i fraticelli "de opinione" era sempre in primo piano. Un anno dopo era senz'altro a Roma quando poco dopo la concessione della custodia della Terrasanta agli osservanti, Eugenio IV incontrò il 9 luglio un gruppo di confratelli in procinto di partire per la Palestina. Attestato ad Ascoli Piceno intorno alla fine di novembre, G. nel corso della quaresima 1434 era ad Agnone e in seguito fu a Ferrara, dove dovette essere presente al sinodo diocesano nel quale vennero presi importanti provvedimenti in materia di normativa suntuaria.
All'esperienza ferrarese, alla quale fa riferimento diretto lo stesso G. nella sua opera, si deve la redazione avvenuta tra il 1434 e il 1437 del Tractatus de usu cuiuscumque ornatu (noto nella traduzione di A. Chiappini, Siena 1956, tratta dal manoscritto n. IX, cc. 134-165, della Biblioteca del convento di S. Francesco di Capestrano). Strutturato in sette Quaestiones, il trattato ripropone la necessità di una convenientia nell'ornamento, non solo femminile, consona alla dignità sociale ricoperta dal singolo all'interno della società. Il trattato assume un particolare valore che lo allontana dal tradizionale tema delle "vanità" in quanto la riflessione intorno agli oggetti di lusso è un'occasione per ripensare la "tematica del superfluum come decisiva del fattore economico" (Todeschini, p. 31).
La morte di Giovanna II, avvenuta il 2 febbr. 1435, ripropose la mai sopita questione della successione al Regno di Napoli e coinvolse di nuovo G. che dovette rimanervi, tranne una breve parentesi a Firenze presso Eugenio IV avvenuta intorno al mese di ottobre, fino all'estate 1436, cercando di difendere e sostenere la legittimità delle pretese di Renato III d'Angiò, succeduto nella lotta al trono dopo la morte del fratello Luigi.
Il suo impegno fu volto a favorire la venuta nel Regno, in qualità di legato pontificio, del cardinale Giovanni Vitelleschi, nonché a cercare una soluzione presso gli esponenti più importanti della feudalità baronale, gli unici concreti interlocutori capaci di determinare la risoluzione del conflitto dinastico in atto. In questa prospettiva devono essere visti gli incontri di G. con i maggiori esponenti della fazione angioina, fra i quali Giacomo Caldora e suo fratello Raimondo, nonché con Giovanni Antonio Del Balzo Orsini, principe di Taranto e sostenitore dell'Aragonese.
Terminata la missione nel Regno di Napoli, G. era certamente a Bologna intorno alla fine del 1436, dove risiedeva la Curia pontificia: a questo periodo risalgono infatti alcuni provvedimenti emanati da Eugenio IV, e sollecitati dall'impegno di G., volti a favorire la vita in comunità dei laici. Nominato commissario visitatore della vicaria francescana d'Oriente fu sostituito nella missione da Giacomo Primadizzi che partì in missione al posto di G. nell'estate 1437. Nel mese di maggio, nel frattempo, era stato di nuovo a Ferrara incaricato di promuovere la riforma presso le clarisse del convento di S. Guglielmo. In seguito fu mandato a Venezia per indagare insieme con il vescovo della città lagunare, Lorenzo Giustinian, dell'accusa mossa ad alcuni esponenti della Congregazione dei gesuati, di simpatizzare per la cosiddetta "dottrina del libero spirito" e di diffondere le tesi contenute nel libro "qui dicitur Liber simplicium amantium" (Guarneri, p. 470) nel quale va ravvisato il Miruoer des simples ames di Marguerite Porete. L'indagine si risolse positivamente per i componenti della Congregazione che furono scagionati da ogni accusa con un decreto episcopale emesso il 2 ottobre di quell'anno.
Risale a questo torno di tempo la composizione di alcune opere a carattere giuridico che riconfermano, anche nel pieno del suo apostolato, la valenza e la peculiarità della sua formazione intellettuale. Si tratta della Expositione della Clementina sopra la regola de li frati minori, translata ad litteram de latino in vulgare composta da G. nel corso della sua missione nel Regno, e la Postilla in Clementina exivi. I due interventi, ancora inediti (cfr. Chiappini, 1927, pp. 79 s.) non sono ancora stati oggetto di uno studio specifico e sono un'altra testimonianza della valenza di G. "giurista dal pulpito" e francescano. Si tratta infatti di due interventi, di diverso valore e spessore, che attestano l'interesse di G. nei confronti della nota decretale "Exivi de paradiso", emanata da Clemente V in occasione del concilio di Vienne (1311) e poi confluita all'interno delle Constitutiones dello stesso pontefice (c. 1, Clem., V, 11) che, insieme con la costituzione "Exiit qui seminat" di Niccolò III del 1279, definiva e qualificava il valore e le funzioni della proprietà in seno alla fraternità francescana intervenendo, sul piano normativo, in merito alla "questione della povertà". Sempre a questo periodo risalgono anche altre opere a carattere schiettamente giuridico come la Lectura super tertium Decretalium e la Lectura super quintum Decretalium (Chiappini, 1927, pp. 65-67) che furono edite nel corso del XVI secolo nella raccolta Tractatus universi iuris (Venetiis 1584).
Dopo un breve soggiorno a Bologna, G. predicò nel corso dell'Avvento a Verona dove fu accolto dal cardinale Antonio Correr, figura di primo rilievo della Curia pontificia, legato a doppio filo non solo con i più autorevoli esponenti dell'Osservanza, ma anche con la già ricordata comunità agostiniana di S. Giorgio in Alga di Venezia. La sua permanenza a Verona si protrasse per una malattia che lo colpì nel mese di dicembre: G. vi ebbe occasione di rincontrare il cardinale Giuliano Cesarini, suo compagno di studi nel corso degli anni perugini, di ritorno dal concilio di Basilea e diretto a quello di Ferrara.
Apertosi nel luglio 1431 a Basilea, il concilio aveva lungamente dibattuto, a partire dal 1433, il delicato rapporto con la Chiesa boema, nella quale avevano trovato accoglienza le correnti utraquiste, riproponenti in forma moderata le teorie di Jan Hus duramente represse in occasione del concilio di Costanza. I padri di Basilea erano infine giunti alla concessione di un concordato (1434) con gli utraquisti, passato alla storia con il nome di "Compactata", con il quale veniva ammessa, fra l'altro, la concessione della comunione ai laici sotto le due specie. L'incontro fra G. e il cardinale Cesarini avveniva quindi dopo la concessione di questi importanti accordi e prima che il concilio venisse trasferito a Ferrara.
G. era ancora a Verona, nella quaresima del 1438, dove si trattenne fino a Pentecoste e fu impegnato in un ciclo di prediche riguardanti le attività economiche e, più specificatamente, l'usura.
A questa esperienza omiletica si deve la redazione del trattato De usura (o De cupiditate) scritto, come afferma G. "ad instantiam et requisitionem magnificorum et spectabilium dominorum militum et doctorum ac nobilium civium Veronensium". All'interno dell'opera G. discute dei contratti leciti, delle diverse forme di prestito e dei casi in cui possono essere considerati legittimi, sul piano etico-economico, gli interessi richiesti in tali occasioni. L'opera, l'unica fra quelle di G. a essere stata oggetto di un'edizione quattrocentesca (Coloniae 1480, cfr. Hain - Copinger, Repertorium bibliographicum, n. 4376, Indice generale degli incunaboli, III, n. 5192, per le altre edizioni cfr. Chiappini, 1927, pp. 55-57) si presenta come un'articolata riflessione sull'uso dei beni e del denaro. In tale prospettiva G. "distingue accuratamente fra prestito ad interesse lecito e usura", consentendo "ogni pagamento di interesse che ripaghi una perdita effettiva", non accogliendo in tale prospettiva il prestito su pegno, praticato essenzialmente dalle comunità ebraiche, in quanto questo è giudicato, in linea con la riflessione operata da lungo tempo in seno all'Ordine come "la possibilità di cessione di un alto valore reificato contro un basso o nullo valore d'investimento" (Todeschini, p. 35).
Sempre in occasione della sua permanenza veronese G. scrisse anche il Tractatus de auctoritate papae et concili, in vista di una sua partecipazione al concilio di Ferrara, poi non avvenuta.
L'opera (edita una prima volta a Venezia nel 1580 e, poco dopo, sempre a Venezia nel 1584 all'interno della collana Tractatus universi iuris, XIII, 1, pp. 32-66, cfr. Chiappini, 1927, pp. 43 s.) si inserisce a pieno titolo in quella vasta produzione volta a riconfermare, in pieno dibattito conciliare, la supremazia dell'autorità pontificia e si presenta come "un'enciclopedia teologico-giuridica scritta con intento sistematico" (Dolcini, p. 122) per sostenere come la "frammentazione del potere civile" trovasse la sua "giustificazione dentro la superiore unità garantita dalla monarchia papale" (ibid., p. 113).
Il soggiorno veronese fu particolarmente fecondo anche per le relazioni tessute da G. con gli esponenti del patriziato locale, quegli stessi che lo avevano sollecitato alla redazione del De cupiditate e che erano particolarmente attivi e presenti all'interno delle confraternite cittadine, in quella rete assistenziale e devozionale alla quale il movimento dell'Osservanza guardava con costante attenzione (De Sandre Gasparini, 1989, pp. 101-112). Proprio nel corso della sua permanenza a Verona fu fra l'altro avviata la raccolta per i fondi dell'erigendo ospedale di S. Maria della Scala in favore del quale G. scrisse anche un breve intervento, di carattere essenzialmente giuridico, De executione cuisidam testamenti, volto a dirimere eventuali controversie testamentarie che potessero limitare le entrate della nuova istituzione (cfr. Chiappini, 1927, p. 55).
Invitato per Pentecoste a Trento per svolgervi un ciclo di prediche, G. era senz'altro presente nel principato vescovile a ottobre dove trascorse anche il Natale. In occasione di un sinodo tenutosi il 22 apr. 1439 G. predicò alla presenza dello stesso vescovo e dei prelati della diocesi.
I temi dibattuti in tale occasione vennero successivamente ripresi nel suo Speculum clericorum, elaborato fra il 1440 e il 1442. Il testo (edito anch'esso unitamente al De auctoritate papae a Venezia nel 1580, cfr. Chiappini, 1927, pp. 59 s.; Id., 1951-52, p. 120) si rivela importante proprio per la sostanziale conferma dell'indispensabilità del ministero sacerdotale ordinato per il conseguimento della salvezza e si pone come riflessione intorno a una figura centrale del sistema religioso quale appunto quella sacerdotale scossa "da una profonda crisi di credibilità nei suoi rapporti con i fedeli per una degradazione morale e una sostanziale latitanza dai compiti della "cura animarum"" (Vian, pp. 174 s.).
Probabilmente nel corso dell'estate era a Firenze, dove nel frattempo era stato trasferito il concilio, e dove si tenne la solenne proclamazione di unione con la Chiesa greca (5 luglio 1439); verso la fine dell'anno deve essere collocato il viaggio di G. in Palestina, viaggio che dovette protrarsi per tutto l'inverno successivo e del quale si hanno poche notizie; scopo di questa missione fu probabilmente quello di visitare di persona la famiglia osservante alla quale era stata affidata la custodia della Terrasanta. Una volta ritornato G. predicò, nel corso della quaresima, a Milano soggiornando lungamente nel capoluogo lombardo. La sua presenza era stata sollecitata dallo stesso Eugenio IV affinché svolgesse attività di mediazione presso Filippo Maria Visconti il quale, per averne sposato la figlia Maria, era genero di Amedeo VIII di Savoia eletto papa con il nome di Felice V nel novembre 1439 dai padri conciliari rimasti a Basilea in contrasto con le decisioni pontificie.
Durante la sua permanenza G. ebbe modo di incontrare e di tessere relazioni con esponenti di quel milieu di funzionari d'alto rango che collaboravano fattivamente alla conduzione del Ducato, fra i quali Niccolò Arcimboldi e Lanfranco Castiglioni, ai quali G. dedicò lo Speculum conscientiae (edito nel primo volume della raccolta Tractatus universi iuris, Venetiis 1584, pp. 323-371), redatto nel corso del suo soggiorno milanese. Comunemente considerata una "summa di teologia morale, con la sua parte generale concernente i principi teorici fondamentali, seguita da una seconda parte pratico-applicativa" (Poppi, p. 142) quest'opera fornisce un vasto repertorio sul modo di procedere del giudice, sull'attendibilità dei consiglieri, medici, procuratori, notai, testimoni, al quale il giudice deve ricorrere per l'accertamento della verità. Nel richiamarsi a esigenze di ordine morale nel rapporto processuale G. fa prevalere nella sua elaborazione dottrinale la concezione canonistica volta a sostenere la necessità di una nuova indagine processuale nel caso venissero esibite nuove prove.
Nello stesso torno di tempo G. si apprestò anche a redigere un'opera strettamente legata alle vicende interne del movimento francescano ossia il Defensorium Tertii Ordinis beati Francisci (per le edizioni cfr. Chiappini, 1927, pp. 83 s.; una traduzione italiana con commento in Andreozzi, 1987). Il trattato riassumeva e compendiava l'impegno e lo sforzo di G. per difendere e dare una definitiva validità al Terz'Ordine di S. Francesco, per il quale era già intervenuto presso la Sede apostolica; esso si inquadra in pieno nella sua "costante opera di chiarificazione giuridica e formazione religiosa" (De Sandre Gasparini, 1986, p. 78). Incentrato sulla necessità di riconoscere anche ai terziari i privilegi propri delle "personae ecclesiasticae", l'intento più evidente del trattato risiede, a parere di M. Sensi, nel clericizzare "quel mondo beghino-bizzoccale a indirizzo francescano che fino ad allora era sfuggito alla gerarchia ecclesiastica" (Sensi, p. 35). L'impegno di G. nel legittimare all'interno del movimento francescano anche altre forme di comunità spirituali si esplicò anche nei riguardi dei clareni ortodossi (ibid., p. 30). Sempre agli anni 1437-41 sono ricondotte le stesure di altre opere di G. il quale, oltre a portare a termine il già ricordato De auctoritate papae…, scrisse il Tractatus de quondam matrimonio, in difesa della legittimità del matrimonio fra Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti (edito in Tractatus universi iuris, IX, Venetiis 1584, cc. 77v-83, cfr. Chiappini, 1927, pp. 53 s.), il Tractatus de canone poenitentiali (edito anch'esso nella collana succitata, XIV, ibid. 1584, cc. 388-398v); nonché il De iudicio universali futuro et Antichristo ac de Bello spirituali (edito a Venezia nel 1578, cfr. Chiappini, 1927, pp. 49-51), dove G., al quale la letteratura agiografica ha attribuito spesso profezie e vaticini, inspirandosi all'insegnamento di Gioacchino da Fiore riconferma il valore del mandato profetico, posto sempre in relazione quest'ultimo con la conversione interiore dell'intera umanità.
La presenza a Milano, particolarmente feconda, di G., che vi ricopriva l'incarico di visitatore, deve essere vista come un'importante tappa per il radicamento dell'Osservanza nel Ducato nel quadro di quei continui rapporti e legami che il movimento ricercava e favoriva non solo presso la Sede apostolica, ma anche presso i maggiori potentati e proprio l'apostolato di G. può essere preso come la più riuscita testimonianza di quel costante raccordo fra frati mendicanti e gruppi sociali eminenti. Presente probabilmente a luglio ad Assisi in occasione del capitolo dell'Osservanza, G. era di nuovo a Milano nel mese di settembre quando venne riconfermato nel suo ufficio di visitatore.
In vista del capitolo dell'Ordine, presieduto da Alberto di Sarteano, che doveva in primo luogo provvedere all'elezione di un nuovo ministro generale, carica vacante dopo la scomparsa di Guglielmo da Casale (22 febbr. 1432), a G. fu affidato il compito di notificare oltralpe la nomina di Alberto a vicario generale, oltre alla missione di assicurarsi della fedeltà del duca di Borgogna, Filippo, verso Eugenio IV, e di ricondurre su questa posizione la maggior parte dei conventi francescani presenti in area franco-renana sostenitori dell'antipapa Felice V.
In questo viaggio - il cui itinerario è stato ricostruito da Lippens (ma cfr. anche Colorni) - G. svolse quindi il duplice ruolo di legato pontificio e riformatore francescano. Con tutta probabilità, contro lo stesso divieto del pontefice G. volle anche recarsi nei dintorni di Basilea, dove Felice V aveva stabilito la sua Curia. G. raggiunse poi, via Montbéliard, Besançon dove ebbe modo d'incontrarsi con Colette Boillet di Corbie, una delle più importanti figure del rinnovamento francescano d'Oltralpe, che con la sua feconda azione aveva impresso un profondo rinnovamento in seno al secondo Ordine francescano dando vita a una riforma, nota come riforma coletana, che riaffermava però sul piano formale, al contrario di quanto rivendicato dal movimento dell'Osservanza, la dipendenza dei conventi riformati dal ministro generale dell'Ordine. In tale occasione G. si limitò a confermare quanto disposto in favore della Congregazione, valutandone positivamente l'operato (8 nov. 1442).
Presente nel mese di dicembre a Digione, dove fu accolto dal duca Filippo di Borgogna, G. si recò in seguito nei Paesi Bassi allo scopo di ricondurre anche qui i conventi all'obbedienza verso Eugenio IV: tale impegno si dispiegò nella visita dei conventi di Saint-Omer e di Bruges, dove si tenne in seguito il capitolo provinciale (febbraio 1443).
Il ritorno in Italia avvenne verso la fine del mese di aprile. Nel mese di maggio G. visitò la Sicilia e in seguito fu presente al capitolo generale dell'Ordine, apertosi il 9 giugno a Padova. Anche in occasione di questa riunione vi fu una forte contrapposizione delle due famiglie francescane che condusse all'elezione del conventuale Antonio Rusconi alla carica di ministro generale. Poco dopo (11 luglio) una commissione riunita da Eugenio IV a Siena, dove si trovava la Curia, stabilì l'istituzione di due vicarie osservanti, cismontana e ultramontana, rette da due vicari generali sostanzialmente autonomi rispetto al ministro generale al quale spettava solo il diritto di ratifica delle decisioni prese dai capitoli dell'Osservanza. In tale occasione G. fu nominato (11 luglio) vicario generale per la famiglia cismontana e poco dopo nel mese di settembre alla Verna, dove si trovava per la festa delle Ss. Stimmate, compilò le nuove costituzioni della riformata famiglia francescana, destinate a rimanere in vigore fino al 1446 (edite in Chronologia historico legalis Seraphici Ordinis fratrum minorum, a cura di Michelangelo da Napoli, I, Romae 1650, pp. 102-111).
In seguito fu di nuovo nel Regno di Napoli dove si era ormai conclusa, con l'ingresso nella capitale (2 giugno 1442) di Alfonso d'Aragona, la lunga vicenda della successione al trono. È in questa prospettiva diplomatico-missionaria, al pari di quella già svolta negli anni 1435-36, che si svolse l'attività di G. il quale intervenne come mediatore in favore della cittadinanza aquilana, rimasta fedele a Renato d'Angiò nel corso della lotta per il trono.
Di nuovo a Roma G. provvide, nel convento di S. Francesco a Ripa, alla stesura della Epistola circolares de studio promovendo inter observantes (edita da A. Chiappini in Archivum Franciscanum historicum, XI [1918], pp. 127-131), volta a riconfermare l'esigenza dello studio presso tutti i confratelli al fine di una più incisiva "cura animarum" dei fedeli.
Un altro impegno venne poi affidato dal pontefice a G. presso Alfonso d'Aragona, allo scopo di concertare con lui l'allestimento di una flotta da armare contro i Turchi - la cui presenza nei territori cristiani dell'Europa orientale andava sempre più espandendosi - flotta che lo stesso Alfonso aveva promesso al pontefice di allestire. G. era in Sicilia, impegnato a predicare per la raccolta di fondi in vista della crociata, quando lo raggiunse la notizia della morte di Bernardino da Siena, avvenuta il 20 maggio all'Aquila dove egli si recò subito dopo per assistere alle solenni esequie.
La scomparsa di Bernardino suscitò viva emozione, oltre che all'Aquila, a Perugia e, ovviamente a Siena; del diffuso sentimento popolare nonché delle pubbliche istanze volte a ottenerne una rapida canonizzazione G. fu senz'altro l'interprete e il mediatore. Tale attività destinata a concludersi nel 1450, con l'ascesa agli altari del Senese, fu svolta con intensità da G., il quale si interessò non solo della raccolta delle prove documentarie necessarie, ma sollecitò anche la collaborazione di quanti, per esperienza e dottrina, potessero corroborare tale iniziativa. Proprio a G. il giurista lodigiano Martino Garati dedicò il suo trattatello De canonizatione sanctorum, scritto nel 1445-48 e volto a definire sinteticamente i dati per una corretta procedura d'indagine in vista della canonizzazione di Bernardino.
Alla fine dell'anno G. si trovava a Roma dove, ai primi del 1445, gli osservanti presero possesso del convento di S. Maria in Aracoeli (13 gennaio). In qualità di vicario generale dell'Osservanza per la provincia cismontana, G. ottenne in quel periodo pieni poteri per il reperimento dei fondi necessari per l'allestimento della spedizione militare contro i Turchi.
In questo stesso torno di tempo compose anche un breve trattato Explicatio primae regulae s. Clarae (edito da D. van Adrichem, in Archivum Franciscanum historicum, XXII [1929], pp. 342-357, 512-525) dedicato a Elisabetta, badessa del convento mantovano del Corpus Christi, in cui esponeva i precetti che regolavano la vita della comunità femminile ispirandosi a quegli stessi interventi che lo avevano visto protagonista negli anni precedenti in favore delle comunità ferraresi del Corpus Christi (1431) e di S. Guglielmo (1435).
Con i primi mesi del 1446 il costante impegno di G. in favore dell'Osservanza poteva dirsi concluso con successo con la sottoscrizione della bolla "Ut sacra Ordinis minorum religio" (11 genn. 1446, ma pubblicata il 23 luglio). Con questa nuova bolla, infatti, l'autonomia della famiglia osservante era ulteriormente sancita, in quanto era escluso qualsiasi intervento dei ministri provinciali sui conventi passati all'Osservanza, mentre al ministro generale veniva inibita ogni forma di intervento diretto dovendosi egli limitare a concedere piena autorità al vicario generale dell'Osservanza, eletto autonomamente dal capitolo della vicaria.
Questa bolla, considerata sostanziale frutto dell'intervento e delle richieste di G. presso il pontefice, sanciva di fatto la separazione delle due famiglie dell'Ordine francescano, del quale veniva salvata la sola formale unità del vertice ed era destinata a costituire il principale punto di riferimento normativo fino alla definitiva separazione dei due rami, avvenuta nel 1517 nel corso del pontificato di Leone X. A questi interventi di carattere ufficiale si affiancò in quegli anni il numero sempre crescente di conventi passati all'Osservanza, per merito dell'iniziativa di G.: oltre al già ricordato convento romano dell'Aracoeli, risalgono a questi anni l'insediamento osservante nei conventi di Ferrara, Bologna, Montepulciano e Cortona (iniziative avviate già dal 1440) nonché le successive fondazioni (1448) di nuove comunità negli Abruzzi (Orsogna, Teramo, Caramanico, Campli). Queste iniziative erano infatti destinate a diventare più numerose nella sua regione quando, dopo il primo capitolo degli osservanti cismontani, G., esonerato dall'incarico di vicario generale (maggio 1446), fu nominato vicario per la provincia abruzzese.
Proprio all'Aquila egli risiedette per la maggior parte dell'anno, impegnato in primo luogo a sollecitare la canonizzazione di Bernardino, raccogliendo in favore del senese prove documentarie testimoniali. Nella primavera 1447 G. dovette con tutta probabilità recarsi a Roma per incontrarsi con il nuovo pontefice Niccolò V; era senz'altro in Curia quando una bolla, emanata il 23 giugno, confermava la validità della normativa esistente limitante i diritti della comunità ebraica (Bullarium Franciscanum, n.s., n. 1072). Il testo fa esplicito riferimento a G., al quale venivano assegnate ampie facoltà d'intervento presso qualsiasi autorità al fine di applicare tali disposizioni.
Proprio tale iniziativa dette luogo fra l'altro, da parte ebraica, a uno scambio epistolare fra gli esponenti delle comunità israelitica di Recanati con altre comunità italiane, ben coscienti del valore dei continui interventi di G. in tale ambito. Sempre in questo periodo (3 luglio) G. si vedeva rinnovare dal pontefice la facoltà di intervenire in qualsiasi luogo nella repressione dell'eresia fraticellesca.
Al mese di luglio risale un incontro di G. con Alfonso d'Aragona, avvenuto quando questi si trovava a Tivoli, dove il re di Napoli prestò, davanti al camerario pontificio, formale obbedienza a Niccolò V. Probabilmente G. discusse con il re di Napoli alcuni aspetti riguardanti i rapporti fra la città dell'Aquila e il sovrano aragonese, rapporti formalmente definiti dagli accordi di pace intercorsi tra Alfonso e la cittadinanza aquilana nel 1443. Un successivo incontro dovette avvenire quando questo si trovava accampato presso Gavignano e il G. fu latore da parte del magistrato aquilano di alcuni capitoli che regolavano i rapporti fra le due istituzioni (18 settembre, cfr. Ludovisi).
In quei mesi G. svolse anche, dietro specifico incarico di Alfonso, attività di mediazione in ambito locale, intervenendo per dirimere le controversie sorte fra alcuni notabili cittadini in merito alla gestione della segrezia del sale. Fra i nomi che compaiono in occasione della stipula degli accordi, redatti ai primi di novembre nel castello di Navelli, si ritrovano alcuni nomi di rilievo della vita cittadina aquilana, quali quello di Antonio di Battista Gaglioffi e, in un'altra trattativa avente lo stesso oggetto, Bartolomeo Porcinari, compagno di G., quest'ultimo, in occasione dell'incontro tiburtino con Alfonso. L'immagine di G. "mezano di pace" (Piacentino) si qualifica sempre quindi, al di là di una facile immagine stereotipata (Zavalloni), come quella di un accorto arbitro e mediatore, attivo e presente, qualsiasi fosse il livello della controversia, con i più importanti esponenti della vita pubblica.
Nel maggio 1449 si tenne nei pressi di Firenze a Bosco del Mugello il primo capitolo generale dell'Osservanza cismontana, dove G. venne eletto vicario generale. Sempre dedito a sostenere attivamente la canonizzazione di Bernardino, G. rese pubblica in tale occasione la sua Vita Bernardini (Bibliotheca hagiographica Latina, I, n. 1190), opera di particolare interesse per conoscere i dati peculiari della personalità di Bernardino che erano maggiormente presenti a G. e per individuare quali valori predicati dal senese fossero stati accolti e fatti propri anche da Giovanni. Nel corso della primavera G., recatosi a Siena al fine di consolidare l'azione per la canonizzazione di Bernardino, allacciò stretti rapporti con il giurista Mariano Sozzini che si offrì, fra l'altro, di far costruire a sue spese presso Sinalunga un piccolo convento dedicato a Bernardino. G. trascorse i successivi mesi nelle Marche, dove, insieme con Giacomo della Marca, fu coinvolto in una vasta attività inquisitoriale contro i fraticelli. A Fabriano, dove risiedette per breve tempo anche il pontefice con la sua Curia (25 luglio - 14 nov. 1449) G. esercitò, coadiuvato sempre da Giacomo, l'ufficio di inquisitore contro alcuni eretici presenti e attivi nei dintorni condannandoli al rogo.
G. era senz'altro a Roma, ospite del convento di S. Maria in Aracoeli nel corso dei primi mesi del 1450, in coincidenza con il giubileo indetto per quell'anno.
Non è noto se egli abbia tenuto un ciclo regolare di prediche; Niccolò da Fara ricorda che, in occasione della sua permanenza a Roma, un "Romanae synagogae magister" di nome "Gagello", dopo aver intrattenuto con G. diverse dispute dottrinali, si convertì al cattolicesimo ricevendo il battesimo la domenica delle Palme. Tale decisione sarebbe stata imitata - stando le fonti - da altri membri della locale comunità ebraica. La solenne celebrazione della canonizzazione di Bernardino ebbe luogo, in piena ricorrenza giubilare, il 24 maggio 1450, sancendo pubblicamente e in modo esemplare la completa legittimazione dell'Osservanza.
Conclusasi la lunga permanenza a Roma G. si diresse verso Nord: dopo aver predicato a Borgo San Sepolcro, si recò a Forlì e, in seguito, a Bologna e a Ferrara. Secondo Niccolò da Fara sarebbe stato in seguito in Liguria come visitatore e predicatore, ma non si hanno ulteriori notizie in merito. Al più tardi agli inizi del 1451 G. aveva già deciso di predicare nelle città venete e di recarsi poi a visitare i conventi dalmati, bosniaci e ungheresi, la cui giurisdizione competeva alla provincia cismontana, quando fu ufficialmente invitato a recarsi a Wiener Neustadt presso Federico III d'Asburgo. Un importante ruolo in questa iniziativa fu svolto da Enea Silvio Piccolomini, all'epoca segretario dell'Asburgo, impegnato a predisporre, dopo le vicende del concilio di Basilea, fortemente sostenuto quest'ultimo dall'imperatore Sigismondo di Lussemburgo, un riavvicinamento fra l'Impero tedesco e la Chiesa di Roma. Scopo della missione affidata a G. era di "riformare i decaduti monasteri dei Conventuali, predicare la pace, insegnare la verità" (Piccolomini,1685, p. 41).
Prima di valicare le Alpi G. compì quindi un breve ma intenso programma di predicazione nelle città soggette alla Serenissima: a Padova per l'Epifania, fu in seguito a Vicenza intorno alla metà del mese, a Verona ai primi di febbraio e in seguito a Brescia (9-16 febbraio).
Il suo apostolato nei territori veneti si inserì con pieno successo in una realtà cittadina dove la presenza dell'Osservanza era ormai ben radicata e viva. Alla sua predicazione si affiancarono così, in ambito locale, numerose vestizioni di novizi, fondazioni di nuove strutture assistenziali e, come nel caso di Padova, di una chiesa dedicata a Bernardino.
Ponendosi quale vero e proprio tramite fra Bernardino e la crescente devozione popolare nei confronti di questo, G. esponeva sempre, in questa come in altre occasioni, una reliquia appartenuta al santo. Anche in seguito G. continuò a esibire la reliquia di Bernardino, come registra con puntualità il Liber miraculorum (cfr. Delorme), dove sono attestati gli interventi miracolosi compiuti da G. invocando s. Bernardino anche lungo il suo viaggio al di là delle Alpi.
Lasciata Brescia (16 febbraio) per Pralboino e Mantova, G. si recò di nuovo a Padova, raggiungendo in seguito Venezia, dove predicò nel corso della Quaresima suscitando presso i Veneziani un entusiasmo sempre maggiore. Dopo Pasqua G. si apprestò quindi a varcare le Alpi in compagnia, fra gli altri, di Cristoforo da Varese, Girolamo da Udine, Niccolò da Fara e del veronese Gabriele Rangone, futuro cardinale. Attraverso il territorio friulano il piccolo gruppo sempre formato, con evidente simbologia, da dodici uomini giunse, dopo aver percorso la Carinzia, a Wiener Neustadt. Qui G. si incontrò una prima volta con Federico III e con Ladislao erede designato al trono di Boemia e Ungheria. Stando a Niccolò da Fara, solo quando G. si diresse alla volta di Vienna egli informò i suoi compagni di viaggio della decisione di dirigersi verso la Boemia, per combattervi la forte presenza ussita.
A Vienna G. tenne un articolato ciclo di prediche (7-27 giugno), noto attraverso la redazione di compendi (cfr. per le indicazioni dei manoscritti e un breve commento Łuszczki, pp. 68-91), aventi come oggetto la grazia e il giudizio universale, la devozione mariana, la perfezione dello stato religioso, la messianità di Gesù Cristo. I problemi di lingua che si presentarono Oltralpe furono risolti con l'aiuto di interpreti che affiancarono G. nel corso della sua predicazione itinerante e che traducevano in modo sintetico i suoi interventi omiletici.
Nei mesi successivi G. cercò di intervenire nella controversia che da lunghi anni vedeva coinvolta la Boemia e di combattere gli accordi siglati nei "Compactata". La diffusione dell'utraquismo, particolarmente forte a Praga dove agiva e predicava Giovanni Rokytzana, giunto a occupare la carica arcivescovile senza essere consacrato, era stata sostenuta dalla maggioranza dell'aristocrazia locale, nonché favorita dalla vacanza dell'autorità regale. Morto infatti Alberto d'Asburgo nel 1439, la Boemia era retta dal governatore Georg Pođebrad, mentre l'erede al trono Ladislao era sotto la tutela di suo zio Federico III.
Nei mesi di agosto e di settembre G. era in Moravia, dove lo schieramento cattolico aveva maggior seguito, predicando a Brno e a Olomouc; una disposizione pontificia emanata poco dopo (28 ottobre) limitava intanto la sua attività inquisitoriale in netto contrasto con gli ampi poteri che gli erano stati concessi in tante precedenti occasioni. Nonostante avesse nel frattempo sollecitato a un pubblico dibattito Rockytzana, G. non ebbe mai la possibilità di incontrarsi con lui, né poté mai, allora come successivamente, entrare a Praga. Il suo impegno si concentrò da una parte in tre scritti polemici contro gli ussiti, noti sotto il generico titolo di Tractatus adversus Hussitas e redatti fra l'ottobre 1451 e la primavera successiva (editi da F. Walouch, Ziwotopis Swatého Jana Kapistrána, Brno 1858, rispettivamente alle pp. 696-707, 728-786, 792-895), dall'altro nel cercare un sostegno maggiore presso i principi cattolici e presso Niccolò Cusano, all'epoca legato apostolico in Germania. Prima di essere presente a Ratisbona nel mese di giugno, in occasione della Dieta voluta dal Cusano al fine di ottenere il necessario sostegno per riaffermare l'autorità ecclesiastica nei territori boemi, G. predicò nella Sassonia meridionale e a Most, piccola località nei pressi di Praga, con la speranza di ottenere finalmente il permesso, sempre negatogli, di recarsi nella capitale boema.
In seguito G. fu lungamente impegnato nei territori tedeschi, da dove gli erano già giunti formali inviti per predicare nei principali centri urbani. Poco dopo la metà di luglio G. predicò quotidianamente a Norimberga (18 luglio-13 agosto; per i sermones cfr. Łuszczki, pp. 111-117) svolgendo nel contempo una costante attività diplomatica per pacificare e risolvere le tensioni fra il Consiglio cittadino e il margravio di Brandeburgo Alberto, da lungo tempo in lotta fra di loro per controversie di natura giurisdizionale.
Nel corso della sua attività omiletica G. dedicò ampio spazio alla condanna dell'usura e al tema della pace. È proprio in occasione di questo ciclo, noto da diverse reportationes, che G. fece ricorso anche ai suoi ricordi d'infanzia legati alla violenta morte del padre e dei suoi familiari, per sostenere il valore della pace e del perdono interiore, quale fondamento ineluttabile di ogni concordia civile e valore fondamentale della conversione spirituale del singolo.
Dopo una breve sosta a Bamberga (15-20 agosto, cfr. ibid., pp. 118 s.), fu a Erfurt (29 agosto) dove predicò fino alla fine di settembre (ibid., pp. 120-126); a Magdeburgo intervenne, sia pure di sfuggita, in merito alla controversia sull'ostia miracolosa di Wilsnack, il cui presunto prodigio era da tempo discusso all'interno della diocesi locale. In seguito fu a Lipsia (20 ottobre - 20 settembre), dove predicò di nuovo sull'usura - come documentano alcune reportationes - e sulla perfezione dello stato religioso (cfr. ibid., pp. 129-146). Le tappe successive del suo itinerario lo vedono a Dresda, dove trascorse il Natale, e in Lusazia.
Nel corso della Quaresima del 1453 era a Breslavia, impegnato anche qui in un articolato ciclo di prediche aventi come temi centrali la penitenza e il valore sacramentale della confessione (ibid., pp. 147-173). Lasciata Breslavia gli ultimi giorni di aprile vi fece ritorno, stando le fonti, intorno alla metà del mese di maggio e partecipò, dietro esplicita richiesta del vescovo, insieme con i componenti il capitolo episcopale, all'indagine che vedeva coinvolti i membri della locale comunità ebraica, accusati di furto sacrilego di ostie consacrate.
Gli avvenimenti, raccontati con dovizia di particolari da Niccolò da Fara, non sono stati oggetto di studi recenti; l'attento biografo di G. afferma esplicitamente che, anche in virtù del suo ruolo di inquisitore, G. ordinò l'uso della tortura (Niccolò da Fara, p. 467 n. 87) nel corso delle indagini. Queste ultime si estesero, coinvolgendo gli ebrei delle altre città della Slesia, per accertare anche la veridicità di un'accusa di omicidio rituale, che sarebbe stato compiuto alcuni anni prima. G. si trattenne a Breslavia fino alla fine del processo conclusosi con la condanna a morte di 17 ebrei e l'espulsione, dopo averne confiscato i beni, di tutti gli ebrei residenti nella regione. La sua presenza in tale occasione fu senz'altro dovuta anche alla sua specifica competenza in campo giuridico e inquisitoriale, ma non va sottaciuto come questo suo impegno rientrasse anche in un coerente disegno, del quale G. fu senz'altro attivo interprete, volto a sostenere un costante controllo sull'autonomia culturale, religiosa ed economica rivendicata e costruita nel corso del tempo dalle comunità ebraiche europee. Presenti da tempo, specialmente in territorio germanico, le accuse di omicidio rituale e di profanazione dell'ostia, accolte e diffuse anche dagli ordini mendicanti, erano l'aspetto più incisivo e spettacolare di tale programma ideale.
Benché intenzionato a recarsi a Vienna dove lo aveva invitato Ladislao, re designato di Boemia, G. dopo aver presenziato a Breslavia alle trattative per il fidanzamento fra Casimiro di Polonia e Elisabetta d'Asburgo, si recò a Cracovia dove la sua presenza era già stata richiesta in precedenza dal sovrano polacco. Qui G. risiedette per circa nove mesi, presenziando fra l'altro al matrimonio, celebrato il 10 febbr. 1454, fra Casimiro IV e Elisabetta. A lungo impegnato nella consueta attività omiletica in particolare nel corso della Quaresima, anche a Cracovia reclutò, con pari successo di quanto avvenuto a Vienna e a Lipsia, molti novizi fra gli studenti delle locali università. Solo verso la fine di maggio G. ritornò a Breslavia dove si tenne sotto la sua presidenza il capitolo annuale dei frati dell'Osservanza. I suoi contatti epistolari con Ladislao, incoronato nel corso dell'anno a Praga (28 ottobre), erano nel frattempo proseguiti al fine di ricevere un formale assenso, mai ottenuto, per una sua venuta nella capitale boema.
A Olomouc, dove si trovava dopo aver definitivamente lasciato Breslavia, G. ricevette il 26 luglio da parte dal Piccolomini l'invito a recarsi a Francoforte in occasione della Dieta convocata per la fine di settembre: il Piccolomini lo esortava inoltre ad abbandonare la sua missione contro gli ussiti e a concentrare le sue risorse, materiali e spirituali, per predicare la crociata contro i Turchi.
La caduta di Costantinopoli (29 maggio 1453) aveva suscitato una vasta eco in tutta Europa, accelerando quelle iniziative già avviate per contrastare l'espansionismo turco nel corso del pontificato di Eugenio IV. La bolla del 30 sett. 1453 (cfr. Pastor, pp. 455 s.) dette maggior impulso all'organizzazione della crociata che, nelle intenzioni papali, doveva coinvolgere tutto l'Occidente. A Francoforte G. si trattenne per un mese alternando il suo impegno omiletico, rivolto alla cittadinanza, agli incontri con le autorità secolari e religiose presenti alla Dieta, in occasione della quale si sarebbe dovuto anche delineare, nelle intenzioni del Piccolomini, il piano per una fattiva partecipazione dei principi tedeschi alla crociata. Dopo la chiusura della Dieta G. si diresse - come promesso a Francoforte ai legati magiari presenti - verso l'Ungheria. Nel corso del suo itinerario G. toccò, fra le altre città, Norimberga e Ratisbona, giungendo, verso la metà di dicembre, a Vienna. Il successivo incontro fra i principi tedeschi, previsto per la primavera successiva, si svolse a Wiener Neustadt, dove G. si recò verso la metà di marzo. Pochi i passi avanti compiuti nel corso della Dieta, mentre Callisto III, succeduto a Niccolò V morto il 24 marzo 1455, ribadiva in una bolla rivolta a tutti i principi europei (15 maggio 1455) l'impegno di tutti gli Stati cristiani nel sostenere la crociata. Nonostante l'invito a essere presente a Bologna per il capitolo generale dell'Osservanza cismontana che doveva eleggere il nuovo vicario generale, in sostituzione di Marco Fantuzzi, G. rimase Oltralpe ormai pienamente coinvolto nei preparativi della spedizione militare. Poco dopo entrava finalmente in Ungheria dove, il 20 maggio, presenziò a un incontro dei magnati ungheresi tenutosi a Györ. Solo verso la fine di luglio, a Buda, ebbe l'occasione di incontrare il voivoda di Transilvania Giovanni Hunyadi.
Fu impegnato successivamente in Transilvania dove, con il suo consueto rigore, cercò di convertire gli scismatici ortodossi ricorrendo anche al suo incarico di inquisitore. In una lettera spedita da Azach il 6 genn. 1456 si rivolgeva ai baroni transilvanici ordinando loro di bruciare le chiese scismatiche (Schematismus…, p. 34). G. era quindi di nuovo a Buda nel febbraio 1456 per l'apertura della Dieta ungherese. Qui ricevette per mano del cardinal legato G. Carvajal il breve pontificio concedentegli la facoltà di predicare ovunque la crociata e di consegnare ai futuri soldati il segno relativo. La notizia che l'esercito turco stava risalendo lungo il Danubio verso i confini meridionali dell'Ungheria indusse G. Hunyadi, da poco tempo presente a Buda, a muoversi verso Belgrado, la cui rocca, posta al crocevia dei corsi del Danubio e della Sava, costituiva l'ultimo baluardo meridionale del Regno ungherese. G. predicò la crociata intorno alla metà di aprile nei territori circostanti Pécs, raccogliendo ovunque una vasta adesione all'esercito che egli andava via via raccogliendo; alla fine di giugno Hunyadi gli chiese di recarsi con le sue composite schiere a Belgrado, la cui fortezza, posta sulla confluenza dei fiumi Danubio e Sava stava per essere assediata, ormai quasi completamente, dalle schiere turche.
Entrato il 2 luglio in Belgrado alla testa, secondo Giovanni da Tagliacozzo, di un esercito di 5000 crociati, G. fu raggiunto il giorno seguente da altri "crucesignati" provenienti da Pétervárad, mentre si profilavano le prime avvisaglie dell'avanzata della cavalleria turca. Il giorno seguente G. poté, attraverso il fiume, assicurarsi un collegamento con le località di Pétervàrad e Slankamen dove installò il suo quartier generale, mentre fra il 3 e il 7 luglio il grosso dell'esercito turco, guidato da Maometto II e ricco di "ducento bombarde de le quali 19 erano longhe 25 pedi" (Giovanni da Tagliacozzo, cfr. Festa, p. 22) aveva completato l'assedio via terra della città danubiana.
Incontratosi con Hunyadi, le cui truppe erano disposte sulla riva sinistra, G. lo convinse a predisporre, con i limitati mezzi a disposizione, una flotta di fortuna per contrastare quella turca che stava risalendo lungo il Danubio. L'impresa permise così di spezzare (14 luglio) il fronte delle navi turchesche liberando il passaggio della Sava e del Danubio. Da Semlin, dove fu raggiunto da altri crociati, G. continuò a fare la spola fra la fortezza e il grosso dell'accampamento svolgendo un'intensa attività di incitamento e preparandosi a guidare da solo ("fugiti erano castellani, homini d'arme, et Iohanni Biancho se era salvato nel Danubio", ibid., p. 25), la difesa della città. Il contrattacco finale ebbe luogo il 18 luglio 1453, con la liberazione di Belgrado: G. sostenne l'intero impatto dello scontro confidando solo sulle forze da lui raccolte. Lo sforzo di quest'ultima missione, nella quale si compendiano in modo emblematico le ragioni stesse della sua vita, fu fatale a G. ormai anziano e provato dagli stenti vissuti soprattutto negli ultimi anni.
Rimasto per qualche tempo ancora a Belgrado, da dove informò personalmente Callisto III della vittoria (22 luglio, cfr. Wadding, XII, p. 372), G. riparava in seguito nel convento francescano di Ilok (Croazia) dove, accudito con affetto dalla comunità di frati e dai prediletti Girolamo da Udine e Giovanni da Tagliacozzo, morì il 23 ott. 1456.
Nella piccola cittadina, posta sulla riva destra del Danubio, a nord di Belgrado, G. fu sepolto poco tempo dopo. Intorno al suo corpo, accolto nel locale convento, si sviluppò una intensa attività devozionale e miracolistica destinata a finire l'8 ag. 1526 quando la città cadde sotto il dominio turco e il convento fu devastato.
La notizia della sua morte, diffusa immediatamente dai suoi confratelli ebbe un'immediata e vasta eco. Giovanni da Tagliacozzo, al quale G. aveva affidato il compito di riportare i propri libri a casa, divenne insieme con Giacomo della Marca l'instancabile propugnatore della sua canonizzazione. La stessa edizione di una traduzione in lingua volgare della Vita s. Iohannis a Capistrano di Cristoforo da Varese (Como 1479; cfr. F. Banfi, La prima biografia a stampa di s. G. da C., in Bull. della Deputazione abruzzese di storia patria, XLVI [1956], pp. 71-98) rientrava a pieno titolo in questa intensa propaganda (cfr. anche Pratesi) in favore dell'ascesa agli altari di Giovanni. Questa, già a buon punto sotto il pontificato di Leone X, non ebbe però, nel corso dei decenni successivi, lo spazio e l'attenzione necessaria nel quadro delle convulse vicende vissute dalla Chiesa di Roma nella prima metà del secolo XVI. Solo intorno alla metà del XVII secolo, dopo che l'opera del Wadding aveva riproposto in maniera estesa l'importante ruolo ricoperto da G. all'interno della storia non solo francescana, G. poté ricevere una maggiore attenzione e la sua figura, ovvero quella del "Capistranus triumphans", trovò spazio e legittimità in coincidenza con il profilarsi dell'espansionismo turco nell'Europa centrale. Proclamato santo da Alessandro VIII il 16 ott. 1690, dopo che il suo predecessore, Innocenzo XI, aveva approvato quanto dichiarato dalla congregazione dei Sacri Riti (1679), la bolla di canonizzazione fu emanata solo sotto il pontificato di Benedetto XIII (4 giugno 1724). In coincidenza con il centenario della morte, Pio XII lo qualificò dell'appellativo di "Apostolo d'Europa" (Acta Apostolicae Sedis, XLVII, 1956, pp. 714-716) riproponendo, in uno dei momenti più duri della "guerra fredda" vissuti in Europa orientale, il modello di cattolicità rappresentato da Giovanni.
Opere. Oltre alle edizioni segnalate nel corso della voce si vedano le indicazioni contenute in Chiappini (1924, 1927) e in Łuszczki. In vista della canonizzazione il francescano palermitano Antonio Sessa compilò una poderosa raccolta manoscritta, composta da 5 tomi in 18 volumi, comunemente nota con il nome di Collectio Aracoelitana, riprodotta in edizione anastatica in occasione delle celebrazioni per il sesto centenario della nascita di G. (cfr. Opera omnia s. Ioannis a Capistrano. Riproduzione in fac-simile della Collectio "Aracoelitana" redatta da p. Antonio Sessa da Palermo, L'Aquila 1985). Ancora oggi, nonostante alcune felici iniziative quali l'edizione del Quaresimale senese di G. dal cod. n. XXX della Biblioteca del convento di S. Francesco (Forni - Vian, 1997), la sua opera è conosciuta attraverso edizioni ormai poco affidabili, tali da rendere non pienamente soddisfacenti, sul piano critico, l'accesso alla sua vasta e diversificata produzione, nonché limitare in modo sostanziale la possibilità, sentita da più parti, di conoscere in tutta la sua complessità la personalità di Giovanni. Solo un lavoro che tenga presente la "circolarità" dell'intero suo percorso letterario, dove temi e riflessioni presenti nell'esposizione omiletica confluiscono in modo diretto all'interno della trattatistica e da questa ritorna con maggior vigore ed efficacia nella sua produzione e nel suo apostolato, potrà quindi ricollocare in pieno l'intero assunto dell'esperienza biografica di G. non limitandolo solo alla sua intensa azione nella società tardoquattrocentesca.
Fonti e Bibl.: La vita di G. è stata approfonditamente ricostruita e delineata nella monumentale biografia di J. Hofer, Johannes von Capestrano. Ein Leben im Kampf um die Reform der Kirche, Innsbruck-Wien-München 1936 (trad. it. a cura di G. Di Fabio, L'Aquila 1956); a quest'opera e agli aggiornamenti bibliografici presenti in Id., Johannes von Capestrano. Ein Leben im Kampf um die Reform der Kirche. Neue bearbeite Ausgabe, a cura di O. Bonmann, Romae-Heidelberg 1964-65 si rinvia per ulteriori approfondimenti (cfr., in partic., I, Register, pp. 19*-57*; Excurse, pp. 367-519; II, Register, pp. 465-522). Di seguito vengono segnalate le fonti e la bibliografia specificatamente utilizzata per questa voce. Cristoforo da Soldo, Cronaca, a cura di G. Brizzolera, in Rer. Ital. Script., 2a ed., XXI, 3, pp. 100-103; E.S. Piccolomini, Historia Bohemica, Ambergae 1592, pp. 185-189; Id., Historia rerum Friderici III imperatoris, a cura di J.C. Kulpis, Argentorati 1685, pp. 40-42; Giovanni da Tagliacozzo, Epistulae de vita et obitu s. Iohannis de Capistrano, a cura di J. van Ecke, in Acta sanctorum. Oct., X, Parisiis 1861, pp. 366-380, 389-402; Niccolò da Fara, Vita et gesta beati Iohannis de Capistrano, a cura di J. van Ecke, ibid., pp. 439-483; Girolamo da Udine, Vita s. Iohannis de Capistrano, a cura di J. van Ecke, ibid., pp. 483-491; Cristoforo da Varese, Vita s. Iohannis a Capistrano, a cura di J. van Ecke, ibid., pp. 491-545; N. Glasserberger, Chronica, a cura di C. Evers, in Analecta Franciscana, II, Ad Claras Aquas 1887, pp. 366-368; Chronica che comenza de l'anno 1400, a cura di D. Bortolan, Vicenza 1889, pp. 5-8; I. Ludovisi, Documenti aragonesi inediti del sec. XV dell'Archivio municipale dell'Aquila, in Boll. della Deputazione di storia patria A.L. Antinori negli Abruzzi, XI (1899), p. 43; Bernardino da Fossa, Chronica fratrumminorum de Observantia, a cura di L. 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