GIOVANNI da Castrocielo
Originario del castello di Castrocielo (nei pressi di Cassino), non conosciamo la sua data di nascita, da porre presumibilmente nel secondo quarto del sec. XIII. La tradizione locale di Benevento gli attribuisce origini nobili, peraltro non confermate dalle fonti.
In data non precisata G. entrò nel monastero benedettino di Montecassino. Nel 1275 fu preposto del monastero di S. Benedetto a Capua, come risulta dalla sua sottoscrizione di un documento ricordato dal Gattula.
Il 17 giugno 1282, da Orvieto, Martino IV ne ratificò l'elezione ad arcivescovo di Benevento, cattedra vacante già da due anni, dopo la ricusazione di Sinibaldo "de Alabro"; G. era stato eletto dal capitolo in concorrenza con Pietro, correttore delle lettere apostoliche e arcidiacono di Palermo, e con frate Giacomo di Alife. La sua elezione fu esaminata da Latino Malabranca (Frangipani) cardinale vescovo di Ostia e Velletri, da Hugo di Eversham cardinale prete di S. Lorenzo in Lucina e da Matteo Rosso Orsini cardinale diacono di S. Maria in Portico, i quali approvarono la scelta del capitolo beneventano.
Durante l'episcopato di G. si riacutizzarono i mai sopiti conflitti tra i Beneventani e i rettori pontifici della città. Già nell'ottobre 1281 Martino IV aveva infatti proibito ai Beneventani l'elezione di propri consoli ingiungendo alla cittadinanza la piena obbedienza ai rettori. In questo panorama, agitato anche dalle discordie sociali tra patriziato e classi inferiori, G. trovò quindi clima favorevole alla propria proclamazione a defensor populi.
Nel 1288 G., col consenso del capitolo, vendette molti stabili appartenenti alla Chiesa beneventana per pagare i debiti lasciati da un suo predecessore di nome Rogerio (m. circa 1248-49); nel febbraio concesse, quale frater et patronus, alla Confraternita del S. Spirito, particolarmente caritatevole verso i poveri e i pellegrini, il privilegio di effettuare le esequie dei poveri senza licenza dell'ordinario diocesano.
Il 16 giugno 1288 Niccolò IV ordinò a Enrico arciprete della Chiesa di Ancona di indagare sugli eccessi compiuti dai Beneventani contro il nuovo rettore Nicolò Iacobini e lo mise al corrente del fatto che tra i turbatori dell'ordine costituito si erano distinti "quamplures clerici". Il giorno seguente il papa scrisse al popolo, al clero e all'arcivescovo di Benevento ordinando loro di presentarsi di fronte al rettore e a Enrico e di agevolare le indagini di quest'ultimo. Il 9 marzo 1290 Niccolò IV nominò rettore di Benevento Giovanni detto "Boccaporcus"; ma, verosimilmente, i rapporti tra il rettore e la cittadinanza non dovettero essere dei migliori se il pontefice, nel settembre dello stesso anno, inviò a Benevento come inquisitore il cappellano Rainerio "de Casulis", con l'incarico di investigare circa le reciproche accuse tra il rettore e i Beneventani.
Il papa riepilogò al suo inviato i fatti a motivo dei quali era stata decisa la sua missione: da una parte, la grave querela dei cittadini che avevano accusato il rettore di uscire dai confini della sua giurisdizione non reprimendo la tracotanza dei propri familiari e non soddisfacendo il bisogno di giustizia dei Beneventani, sopraffacendoli e ingiurandoli singolarmente e collettivamente e, soprattutto, nella ricerca del proprio guadagno, opprimendoli e producendo gravi danni all'intera economia cittadina; dall'altra l'accusa di Giovanni Boccaporco ai cittadini, e particolarmente a G., di aver tentato di sostituirsi al rettore pontificio, ripristinando i consoli - in numero di quattro - e facendo eleggere sei sindaci e ventiquattro sapientes homines con i quali si era costituito un tribunale temporale, alternativo a quello del rappresentante della S. Sede. G., con alcuni chierici suoi seguaci, era accusato inoltre di aver sobillato la cittadinanza, tentando di estenderne la ribellione contro il pontefice stesso, di aver accolto in città uomini condannati e banditi dalla Chiesa romana, ritirando poi le chiavi della città e bloccando le entrate spettanti alla Chiesa, e, infine, di aver imposto in proprio favore e a carico della popolazione una colletta di 400 once d'oro, arrecando gravi danni all'erario, e compiuto atti temporali di ordine giudiziario.
Rainerio condusse la sua inchiesta - durante la quale G. non interruppe le sue azioni indirizzate a sostituire la propria autorità a quella del governo pontificio - e ne trasmise le risultanze al pontefice. Il 4 nov. 1290, Niccolò IV chiese al legato pontificio nel Regno di Sicilia Berardo da Cagli, cardinale vescovo di Palestrina, di ordinare a G. di presentarsi a Roma di lì a venti giorni per esser sottoposto a processo innanzi alla Curia: si ignora l'esito del giudizio, ma è certo che Benevento fu obbligata a rinunciare alle proprie mire indipendentistiche, e che G. fu probabilmente costretto a fare pubblica ammenda e promettere, per il futuro, una condotta più confacente alla sua carica in seno alla Chiesa.
Nel settembre 1294, nell'ambito dei suoi doveri di arcivescovo, G. scrisse ai vescovi e agli ecclesiastici della sua diocesi chiedendo loro di accogliere e aiutare i suoi inviati a raccogliere le offerte dei fedeli destinate a restaurare la chiesa di S. Spirito e l'ospedale annesso, oggetto negli anni seguenti di radicali opere di manutenzione, circostanza che fa supporre il buon successo della raccolta delle elemosine.
Nella generale riorganizzazione della Curia seguita alla consacrazione pontificale di Pietro del Morrone con il nome di Celestino V (29 ag. 1294), il 18 settembre G. fu chiamato a sostituire - quale uomo di fiducia del re di Sicilia Carlo II d'Angiò - Jean Lemoine come vicecancelliere della Chiesa romana. L'unico atto sottoscritto da G. in questa veste è la conferma, datata 1° ott. 1294, da parte di Celestino V del trattato di pace firmato il 13 settembre tra Carlo II d'Angiò e Giacomo d'Aragona, riguardante l'isola di Sicilia passata agli Aragonesi dopo il Vespro siciliano.
G. seppe farsi apprezzare dal pontefice, arrivando a spogliarsi dell'abito nero dei monaci benedettini per indossare quello grigio, proprio della Congregazione degli eremiti celestini istituita da Pietro del Morrone.
Celestino V stesso il 28 ott. 1294 a Teano, dopo cena - a quanto racconta Jacopo Stefaneschi - creò l'ambizioso G. cardinale prete di S. Vitale e amministratore della diocesi di Sant'Agata de' Goti a beneplacito della Sede apostolica, ma, per l'opposizione di alcuni cardinali a questa elezione avvenuta in modo non canonico, G. rinunciò alla dignità cardinalizia; il pontefice, allora, ripeté alcuni giorni dopo a Napoli l'elevazione di G. a cardinale in pubblico concistoro.
Del favore goduto presso il papa da G. "in paucis charus et dilectus" dovette tentare di approfittare la città di Benevento, rieleggendo i suoi consoli, ma ancora una volta il pontefice rimproverò acerbamente i cittadini, ribadendo i divieti imposti già da Martino IV.
Secondo il Sarnelli, nel dicembre del 1294 G. partecipò a Napoli al conclave che elesse papa Bonifacio VIII.
G. morì a Benevento il 22 febbr. 1295, poco dopo aver concesso alla Congregazione dei celestini della sua città la chiesa di S. Caterina con l'annesso convento.
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