GIOVANNI da Gaeta
Non si conosce la data di nascita di questo pittore, originario di Gaeta, attivo intorno alla seconda metà del XV secolo.
La personalità di G. venne delineata per la prima volta da Zeri (1950) in uno studio basato sull'analisi di un gruppo di opere ricondotte all'artista, definito dallo studioso "Maestro del 1456", in riferimento alla data presente sul trittico con l'Incoronazione della Vergine, nel Museo diocesano di Gaeta. A questo primo nucleo di opere, Zeri aggiungeva in postilla un dipinto (ibid., p. 25), allora presente nella collezione Spiridon di Roma, con S. Antonio Abate in trono, recante un'iscrizione con l'indicazione della data di esecuzione (1467), del committente, e del nome dell'autore "Ioh(ann)es Sagitanus" (Giovanni Sagitano), la cui etimologia appariva tuttavia allo stesso Zeri piuttosto oscura. In un secondo tempo, Bologna (1955) e Salerno (1956) intervennero in modo definitivo interpretando correttamente l'iscrizione del dipinto come opera di "Iohannes Cajetanus", vale a dire Giovanni da Gaeta; tale lettura fu confermata successivamente dallo stesso Zeri (1960, p. 51), che attribuì il proprio iniziale errore "al maldestro tentativo di un restauratore di completare le lacune dell'epigrafe".
La prima opera ascrivibile a questo artista è una tavola raffigurante la Madonna della misericordia, datata 1448, conservata presso il castello di Wawel a Cracovia. Il dipinto, in collezione dal 1936, attribuito da Bialostocki (1956) a un anonimo pittore fiorentino, fu riconosciuto da Zeri (1960) come opera di Giovanni da Gaeta. Agli inizi dell'attività dell'artista si possono collocare anche l'affresco con S. Giovanni Battista e l'arcangelo Gabriele, nella chiesa di S. Giovanni a Carbonara a Napoli, la tavola con S. Giovanni Evangelista, segnalata da Zeri (1950, p. 24) come appartenente a collezione privata milanese, e una Incoronazione della Vergine (ubicazione ignota) cui il medesimo studioso associava due pannelli laterali, uno con i Ss. Benedetto e Giovanni Battista (allora Milano, coll. Saibene), l'altro con S. Giacomo Maggiore e un santo vescovo, noto tramite una fotografia, rilevando una comune interruzione dell'ogiva nei tre pannelli (Zeri, 1960, figg. 43a-c).
In queste opere sono evidenti gli elementi che determinarono la formazione di G., avvenuta verosimilmente a Napoli, e che derivano da quell'arte partenopea maggiormente influenzata dagli apporti di ascendenza ispano-catalana e valenzana, favoriti dallo stabilizzarsi della corte aragonese (fatto questo che porterà comunque all'affermarsi della supremazia di Napoli rispetto ai centri periferici del Regno). Rispetto ad artisti quali Perinetto da Benevento e Leonardo da Besozzo - attivi anch'essi nella chiesa di S. Giovanni a Carbonara - G. sembra tuttavia attingere con maggiore libertà alla tradizione ispanica; al contempo, in queste prime opere, agli ultimi echi della cultura tardogotica napoletana vanno ad aggiungersi elementi diversi, di sapore più latamente umbro-marchigiani, non ancora presenti con caratteri compiuti, ma evidenti nelle cadenze dei personaggi e in un certo realismo espressivo. La presenza di una cultura marchigiana si fa infatti particolarmente forte a Napoli a partire dagli anni del re Ladislao d'Angiò Durazzo, grazie alle sue imprese militari in Ungheria e Dalmazia e ai non secondari rapporti commerciali intessuti con le Marche, area di transito verso i suddetti Stati.
Al 1456 risale il trittico, datato, del Museo diocesano di Gaeta, raffigurante al centro Cristo che incorona la Vergine, e, nei pannelli laterali, le Ss. Agata e Lucia, Margherita e Caterina. Proveniente dalla chiesa di S. Lucia a Gaeta, il dipinto reca un'iscrizione con l'anno di esecuzione e il nome del committente, Giuliano Dorca, priore di S. Maria in Pensulis, antica denominazione della chiesa, raffigurato ai piedi della Vergine in atto di preghiera. I caratteri di derivazione ispanica sono riconoscibili nell'impianto compositivo del pannello centrale, nei fondi d'oro graffito a quadratini, nelle eleganti figure allungate delle sante, il cui prototipo è ravvisabile nella figura di S. Orsola del pittore valenzano "Magister Iacobus" (Barcellona, Museu d'art modern), con un duplice serto, metallico e floreale intorno al capo, e ancora negli angeli che rimandano, nella tipologia, all'anonimo artista autore della Madonna di Cervera (ibid.). Dal punto di vista tipologico, il dipinto si avvicina a quello di soggetto analogo realizzato da Giacomo da Recanati a Montecassiano (parrocchiale dell'Assunta) e alla pittura di Matteo di Gualdo e Bartolomeo di Tommaso da Foligno, dove valori espressivi comuni sono ravvisabili nell'accentuata espressività dei volti, nel nervoso calligrafismo delle linee e nelle gamme cromatiche attenuate tese a creare un'atmosfera quasi irreale (Casanova Uccella, p. 36).
Al sesto decennio del secolo appartengono anche l'Incoronazione della Vergine nel Musée Chéret di Nizza (Laclotte); il trittico con l'Incoronazione della Vergine, S. Antonio da Padova e S. Bernardino da Siena, smembrato e successivamente rincorniciato, nella chiesa di S. Francesco a Maiori; il trittico su tavola con l'Incoronazione della Vergine tra iss. Michele Arcangelo e Bernardino (Kalby) nella chiesa di S. Michele Arcangelo a Cava de' Tirreni, forse portato a termine con l'intervento di aiuti; il trittico in forma di lunetta con S. Bernardino, S. Ludovico da Tolosa e S. Chiara proveniente da una raccolta privata di Gubbio e conservato nella Pinacoteca civica di Pesaro (Zeri, 1950).
Verso la fine del sesto decennio del Quattrocento si possono datare un brano di affresco, assai danneggiato, con S. Antonio Abate in trono, proveniente dalla chiesa di S. Maria Maggiore a Itri, attualmente presso la Pinacoteca di Gaeta (Id., 1960), e la tavola con S. Giovanni Evangelista del Museo Duca di Martina a Napoli (Bologna); simili si rivelano la fattura del trono, la forma affusolata delle mani, elemento tra i più caratteristici dei modi di G., e le iscrizioni presenti sul libro dei santi, entrambe redatte in caratteri gotici e non in lettere capitali, come accade nei lavori successivi.
Al settimo decennio la critica ascrive un folto numero di opere, conservate tra Gaeta e Fondi. Tra queste la croce sagomata con Cristo crocifisso e la Maddalena (Gaeta, Museo diocesano, proveniente dalla chiesa di S. Lucia), toccante rappresentazione del Christus patiens in una forma che ebbe ampia diffusione in Campania, la cui matrice è rintracciabile nei modelli di scuola fiorentina di Lorenzo Monaco e di cui troviamo diretto esempio nel Crocifisso dell'abbazia di Montecassino, opera dei primi anni del XV secolo (Salerno, p. 30).
L'intensità emozionale e la forte carica espressionista del dipinto, evidente nell'attitudine della Maddalena, prostrata ai piedi del Cristo, e nel suo volto dolente, rimandano agli esempi dell'arte di Roberto di Oderisio (si veda per esempio la Crocifissione con simboli della Passione del Fogg Art Museum di Cambridge, MA), come pure a un modello più diretto in ambito campano, ovvero il trittico con la Crocifissione di Paolo di Giovanni Fei, eseguito a Siena tra il 1407 e il 1408 e subito portato a Napoli dal cardinale E. Minutolo, per essere collocato nella propria cappella del duomo. I caratteri umbro-marchigiani della pittura di G. si fanno più forti in quest'opera, pervasa da un realismo esasperato, ai limiti della caricatura, dove i protagonisti sono disegnati con una durezza vicina all'intaglio.
Di poco successivo al Crocifisso di Gaeta è il trittico con la Natività, ai lati S. Marciano e S. Michele Arcangelo, nelle cimase l'Annunciazione e il Redentore benedicente tra due angeli, conservato nella chiesa di S. Maria Assunta a Fondi (Zeri, 1950).
In questo dipinto G. dimostra di conoscere e accogliere elementi dell'arte senese, ravvisabili nella tipologia archiacuta della grotta che ospita la Sacra Famiglia e negli angeli che annunciano ai pastori la nascita del Bambino; in questo episodio, in particolare, G. propone un brano narrativo ambientato in un paesaggio naturale, reso con linguaggio immediato e felice, lontano dal gusto per l'astrazione affidata a fondi oro.
Intorno all'ottavo decennio del secolo si colloca il dipinto noto come "Madonna delle Itrie" raffigurante la Vergine con i ss. Giovanni Battista e Giovanni Evangelista, conservato presso la Pinacoteca di Gaeta, ma proveniente dalla locale cattedrale. La denominazione deriva dall'iscrizione frammentaria che figura al disopra della Vergine: "S(an)c(t)a Maria de Ytrie", allusiva probabilmente alla tipologia delle due anfore, da cui una figurina maschile posta alla destra del Battista versa dell'acqua, prodotte a Itri (Salerno, p. 14). Più recentemente Vaudo (1988) ha suggerito una diversa interpretazione dell'iscrizione riferibile forse direttamente al luogo di destinazione dell'opera e riconoscendo nella scena dell'acqua versata un'allusione alla figura di S. Giovanni Battista.
La Vergine con il Bambino è seduta a terra, secondo la tradizionale iconografia trecentesca della Madonna dell'umiltà, conosciuta da G. forse attraverso l'esempio della Madonna di Roberto di Oderisio nella chiesa di S. Domenico a Napoli. I due santi, rappresentati in proporzione ridotta rispetto alla scena centrale, sono stilisticamente affini all'Evangelista del Museo Duca di Martina.
Al medesimo periodo si può far risalire una tempera su tavola raffigurante una Pietà con la figura del donatore (Zeri, 1950), conservata nella chiesa di S. Maria Assunta a Fondi. Una targa con un'iscrizione ricorda la morte di Cristo e dell'ignoto committente che, in atto di preghiera, presenzia la scena.
La figura del Cristo è tipologicamente vicina a quella del Crocifisso di Gaeta; mentre l'impianto compositivo rimanda alle imagines pietatis di Roberto di Oderisio, per esempio alla Pietà conservata nel Museo regionale Pepoli di Trapani. Significativa la presenza degli strumenti della Passione, che sottolineano la funzione principalmente devozionale dell'opera.
Vicino alla Pietà di Fondi è un brano d'affresco, con lo stesso tema, oggi conservato nella Pinacoteca di Gaeta insieme con la sinopia, proveniente dal refettorio del convento di S. Francesco e unico frammento superstite della decorazione pittorica della sala (Casanova Uccella, p. 48). La figura del Cristo, esasperata e cruda nella Pietà, in quest'opera, probabilmente più tarda, si addolcisce in un'espressione di più sentita umanità.
L'ultima opera documentata di G. è una tavola con Cristo in trono benedicente, firmata e datata 1472, oggi nel duomo di Sezze ma proveniente dalla locale chiesa del Bambino Gesù (Zeri, 1960). Nell'iscrizione, incisa sul retro, l'artista "Ioannes de Caieta", si definisce "ma[gister]", dato significativo che ne documenta l'iscrizione alla corporazione dei pittori. La figura del Cristo in trono stagliata su di un fondo d'oro, rifatto nel Seicento con decorazioni a volute, sembra rivelare un certo scadimento qualitativo.
A questi stessi anni è riconducibile l'affresco staccato con S. Orsola e le vergini, proveniente dalla controfacciata della chiesa di S. Domenico a Gaeta e oggi nella locale Pinacoteca, incluso tra le opere di G. da Zeri (1950). Casanova Uccella (p. 52) rintraccia la mano dell'artista solo nella figura di s. Orsola, monumentale ed elegante, mentre attribuisce ad aiuti l'esecuzione delle sante, debolmente composte per schiere sovrapposte, secondo uno schema, fortemente attardato, di matrice giottesca.
A G. sono state anche attribuite una Madonna dell'umiltà e un'Incoronazione della Vergine, frammenti di affresco nella chiesa di S. Francesco a Minturno; un S. Michele Arcangelo, nel chiostro del convento di S. Angelo, e una Madonna in trono, nella chiesa di S. Chiara, entrambi a Nola (la Madonna in sinopia è riconosciuta come opera vicina al dipinto di S. Francesco a Cava de' Tirreni: Alparone, 1970, pp. 1-3, e 1992, pp. 151 s.); e un'Annunciazione ad affresco nella volta del santuario di S. Donato a Ripacandida.
Di G. non si conoscono né il luogo né la data di morte.
Fonti e Bibl.: G. Conte Colino, Storia di Fondi, Napoli 1901, pp. 183 s.; F. Zeri, Il maestro del 1456, in Paragone, I (1950), 3, pp. 19-25; S. Aurigemma - A. De Santis, Gaeta, Formia, Minturno, Roma 1955, pp. 10, 14; F. Bologna, Opere d'arte nel Salernitano, Napoli 1955, pp. 38 s., 79; J. Bialostocki - M. Walicki, Europäische Malerei in polnischen Sammlungen, Warsaw 1956, p. 467; M. Laclotte, De Giotto à Bellini (catal.), Paris 1956, p. 58; L. Salerno, in Il Museo diocesano di Gaeta, Gaeta 1956, pp. X s., 13 s., 29 s.; F. Zeri, Appunti, in Paragone, XI (1960), 129, pp. 51-53; L.G. Kalby, Su G. da G. e Cristoforo Scacco, in Napoli nobilissima, VII (1968), pp. 116 s.; G. Alparone, Un'Incoronazione della Vergine scoperta nella chiesa di S. Francesco a Minturno, in Cenacolo serafico, 1970, n. 5, pp. 1-3; F. Abbate, La pittura in Campania prima di Colantonio, in Storia di Napoli, IV, 1, Cava de' Tirreni 1974, p. 503; M.L. Casanova Uccella, Arte a Gaeta. Dipinti dal XII al XVIII secolo (catal., Gaeta), Firenze 1976, pp. 36-52; M.A. Pavone, La circolazione dell'iconografia bernardiniana in ambito meridionale nella seconda metà del '400, in Atti del Simposio internazionale cateriniano-bernardiniano,… 1980, Siena 1982, p. 746; S. Vasco Rocca, in Fondi e la signoria dei Caetani (catal., Fondi), Roma 1981, pp. 69-74; G. Alparone, Pittori del Rinascimento nelle pagine di Matteo Camera, in Rassegna del Centro di cultura e storia amalfitana, IV (1984), 7, p. 142; F. Navarro, in La pittura in Italia. Il Quattrocento, II, Milano 1987, pp. 457 s., 640; A.P. Fiorillo, Due tavole quattrocentesche…, in Rassegna del Centro di cultura e storia amalfitana, VII (1987), 13-14, pp. 132-136; Oltre l'immagine. Iconografia mariana a Gaeta dal XIII al XIX secolo (catal.), a cura di E. Vaudo, Gaeta 1988, pp. 24-30; B. Toscano, Un problema di geografia artistica, in Ninfa. Una città, un giardino. Atti del Colloquio della Fondazione Camillo Caetani, Roma, Sermoneta, Ninfa, 1988, a cura di L. Fiorani, Roma 1990, pp. 143 s.; G. Alparone, Presenza di G. da G. a Ripacandida, in Arte cristiana, LXXX (1992), pp. 151 s.; Dipinti e disegni della Pinacoteca civica di Pesaro, a cura di C. Giardini - E. Negro - P. Pirondini, Modena 1993, pp. 9, 37 s.; Il Museo Duca di Martina a Napoli, a cura di P. Giusti, Napoli 1994, p. 26; C. Giardini - M.R. Valazzi, Pesaro. Museo civico, Bologna 1996, p. 24; M. Sanfilippo, Il patrimonio culturale di Gaeta, Roma 1997, p. 35; La pittura a Fondi nei secoli, Fondi 1997, pp. 14 s.; Cultura e arte a Gaeta nel tempo di Caboto (catal.), a cura di E. Vaudo, Gaeta 1997, pp. 33 s.