LENTINI, Giovanni da
Non è nota la data della sua nascita, da collocare verosimilmente a Lentini, nel Siracusano, all'inizio del secondo quarto del XIII secolo; non conosciamo i nomi dei genitori. Compare per la prima volta in un documento del 9 luglio 1269, come nobilis e miles, ma soprattutto come fratello di Tommaso (Tommaso Agni), arcivescovo di Cosenza, e quindi anche degli altri suoi fratelli: Alaimo (Alaimo da Lentini), Santoro e Rainaldo, dei quali potrebbe essere il maggiore per età, giacché portava il nome del nonno paterno, il quale tra il 1197 e il 1200 era stato magister regie dohane de secretis a Messina.
Appunto in quella città, durante l'assedio di Lucera, Carlo I d'Angiò re di Sicilia concesse, il 9 luglio 1269, in perpetuo a lui e ai suoi eredi, dietro pagamento di un censo annuo, una vigna nella contrada detta Contrandea, sequestrata a un traditore filosvevo, Bartolomeo Pisano. In precedenza, la stessa vigna era stata data dal vicario generale per la Sicilia, Foulque de Puyricard, all'arcivescovo Tommaso, per provvedere al sostentamento di alcune nobildonne sue consanguinee, poi costrette all'esilio per la loro fedeltà al sovrano angioino, tra le quali probabilmente una zia, sorella del padre, che con un fratello, Matteo da Lentini, e con altri parenti, era stata catturata durante la guerra, spogliata dei beni e infine liberata.
A Palermo, dove il fratello Santoro era divenuto castellano del palazzo reale e aveva ricevuto le gabelle di tutti i solacia regi e il controllo delle foreste reali, il L. il 18 ag. 1270 fu nominato da Carlo d'Angiò capitano generale di guerra per tutta la Sicilia, insieme col Puyricard e con Giacomo de Tassi, priore dell'ospedale messinese di S. Giovanni Gerosolimitano, con il compito di sconfiggere e sedare ogni residua ribellione al governo angioino, anche garantendo eventualmente ai traditori filosvevi il possesso dei beni e la sicurezza delle persone, e inoltre con l'esplicita previsione che gli altri due suoi colleghi in quelle funzioni potessero delegargli ogni potere, affiancandogli un'altra persona idonea, da loro stessi scelta.
Il 1° genn. 1271, a Catania, fu nominato dal re suo consigliere e familiare. Il 30 giugno compare ad Acerra come testimone per un assenso matrimoniale dato dal sovrano. Il 28 luglio dello stesso anno gli fu affidata la custodia del castello di Augusta. Gli furono inoltre dati in feudo nella Sicilia orientale due casali vicini tra loro: Linguaglossa, già appartenuto al traditore Scifo Fiorentino, e Crimastado (oggi Motta Camastra), anche questo confiscato a un altro ribelle filosvevo, Guglielmo Lancia.
L'esistenza di un omonimo - appartenente alla stessa famiglia, figlio del fratello Alaimo - rende difficile stabilire con certezza se vadano riferite al L. o al nipote omonimo altre notizie pervenuteci. È il caso della nomina come giustiziere della Basilicata per l'anno indizionale 1271-72.
Il 3 sett. 1272 Carlo d'Angiò dispose che, ancora con il Tassi, con Jean de Bullas senior, giustiziere di Sicilia citra - poi nominato senescalco di Provenza e sostituito dal giustiziere "ultra Salsum" Robert L'Enfant -, con il messinese Matteo de Riso e con il palermitano Nicolò de Ebdemonia, fosse uno degli ambasciatori inviati a Tunisi per ricevere dall'emiro al-Mustansir quanto spettava al re di Sicilia, secondo gli accordi per la partenza dei crociati dalle coste africane conclusi dopo la morte di Luigi IX. Tali accordi prevedevano il doppio del tributo pagato tradizionalmente dai re di Tunisi ai sovrani siciliani e all'imperatore Federico II e la terza parte, spettante all'Angiò secondo gli accordi di ripartizione, dell'indennità di guerra dovuta al re di Francia Filippo III, per aver tolto l'assedio a Tunisi. La partecipazione all'ambasceria del vicario siciliano, Ade Morier, veniva invece esclusa per meglio assicurare la vigilanza dell'isola, nel caso giungesse in Sicilia di ritorno da Acri il principe Edoardo, primogenito di Enrico III e prossimo re d'Inghilterra.
Il 7 novembre partirono dall'isola le navi che portavano l'ambasceria, sulle quali furono fatti salire soltanto uomini di sicura fedeltà. Accompagnarono gli inviati due interpreti "in lingua arabica" - i più fedeli che si potessero trovare, uno di Palermo e l'altro di Messina - e due esperti "ad cognoscendam monetam et argentum", il palermitano Filippo Saladino e il magister Farachio. Essi tornarono in Sicilia dopo più di tre mesi, dopo avere arruolato altri venti uomini, a maggiore protezione del prezioso carico che trasportavano.
Giunto a Trapani, il L. proseguì per le coste della Puglia con il Tassi e il Riso. Il 6 apr. 1273 il re dispose che essi sigillassero personalmente e depositassero nel castello di Trani il tesoro trasportato da Tunisi, affidandolo alla custodia di quel castellano e dello stesso Matteo Riso. Con Giacomo Tassi il L. fu invece chiamato a Foggia, perché il re voleva consultarlo a proposito delle notizie trasmesse alla corte da suo fratello Tommaso, divenuto patriarca di Gerusalemme. A Foggia il 18 aprile furono inoltre approvati i conti presentati per le spese fatte durante il viaggio, sostenute anche con la vendita della gabella del fondaco siciliano a Tunisi. Il 27 dello stesso mese il L. fu incaricato di recarsi personalmente a Brindisi per ispezionare, insieme con il napoletano Raone de Grifo, la flotta che si sarebbe dovuta dirigere "ad partes Romanie".
Il 1° maggio era di nuovo a Trani dove versava al tesoriere Nicolas Boucel, insieme col Tassi e il Riso, per conto anche di Robert L'Enfant e dell'Ebdemonia (giacché non erano partiti per l'Africa né il Morier, né il de Bullas), quanto era stato da loro riscosso a Tunisi: l'equivalente di 17.500 onze d'oro per il terzo dell'indennità di guerra e 33.333 bisanti d'argento, quale tributo dell'emiro al re siciliano per l'anno in corso.
Fu nuovamente destinato a Tunisi, per provvedere alla riscossione del tributo, nel novembre 1275. Con lui questa volta partirono come ambasciatori Pierre de Lamanon e il notaio palermitano Nicolò Pipitone, mentre il Saladino ebbe di nuovo il compito di saggiare l'oro e l'argento che avrebbero ricevuto. Li accompagnò un interprete abitante a Palermo, Manfredi de Esula. Nel porto di Messina furono armate dal protontino Guillaume Cornut le due galee e il galeone che avrebbero anche dovuto riportare in patria gli ambasciatori che erano stati inviati in Sicilia dal re di Tunisi.
Dopo un viaggio durato tre mesi e dodici giorni, il 3 maggio 1276 il L. e i suoi compagni ebbero ordine da Carlo d'Angiò, che si trovava a Roma, di consegnare per intero il tributo riscosso al tesoriere, che lo avrebbe depositato nel castello a mare del Salvatore di Napoli, e di attendere presso il principe di Salerno il ritorno nel Regno del re, al quale poi si sarebbero dovuti presentare insieme con il principe. Il 16 maggio furono approvate le spese sostenute per questa seconda missione a Tunisi.
Per le notizie successive non possiamo essere certi che non si tratti del nipote o di altro familiare omonimo, giacché nei documenti il L. non è più indicato come fratello di Tommaso, forse in conseguenza della sopravvenuta morte del patriarca di Gerusalemme (settembre 1277). Lo stesso vale per la proprietà di altri due casali che il L. avrebbe posseduto in Sicilia, mentre Linguaglossa e Crimastado sarebbero stati scambiati con il casale di Vetrano (oggi Castelvetrano): Cassisia, che faceva parte della baronia di Ragusa, e Sortino, casale che fu in possesso del miles marsigliese Guillaume Cornut, con il quale ebbe una controversia per il possesso di alcuni mulini e contro il quale sollevò i vassalli. In questi stessi anni ottenne l'assenso del re per il matrimonio di una figlia, Ioletta, con Gualtieri (o Gualterone) di Caltagirone, probabilmente un cugino della promessa sposa, giacché il padre, Bernardino, risulta cognato del vescovo Rainaldo, uno dei suoi fratelli.
Il 2 febbr. 1278, insieme con Matteo Rufolo di Ravello, e in preparazione del passagium ad partes ultramarinas, previsto per il marzo successivo, fu chiamato a ricoprire simultaneamente più uffici, dai quali furono rimossi i titolari: quello di maestro portulano di Sicilia e l'officiumtarsianatuum navigii et vassellorum, sia per la Sicilia sia per la Calabria, che mantenne fino all'11 dic. 1278, quando il re dispose che continuasse a esercitare soltanto l'ufficio di maestro degli arsenali, e da solo, ma col nuovo titolo di viceammiraglio di Sicilia e Calabria.
Col Rufolo il 3 febbraio fu incaricato di portare a termine un'operazione di acquisto in Sicilia, per conto della corte, di una grande quantità di frumento e orzo, che solo in parte era stata già inviata a Napoli dai due portulani che li avevano preceduti nell'ufficio, e quindi di provvedere, per il suo trasporto, alla riparazione ed equipaggiamento delle navi necessarie, o al loro nolo, e inoltre ad alcune vendite di alcune quantità di frumento in Tunisia, a Genova, a Pisa e a Venezia, o dove il prezzo risultasse più conveniente, ma col divieto di esportazione verso Costantinopoli, ed eventualmente all'acquisto su quei mercati delle merci che nel Regno potessero procurare un utile alla corte e infine alla consegna ai tesorieri del ricavato da quelle operazioni mercantili.
Col genero Gualtieri di Caltagirone e con Palmeri Abbate di Trapani l'8 luglio 1278 era personalmente tenuto all'armamento di una "vaccetta" e di una "terida" per la spedizione navale della flotta regia, diretta contro Costantinopoli, obbligo per l'adempimento del quale si recò personalmente a corte. Il 7 sett. 1278 fu autorizzato a portare con sé fuori dalla Sicilia otto cavalli con le provviste necessarie per due mesi, perché doveva recarsi ad Acri. Il 18 genn. 1280 il feudo di Crimastado, restituito dal L. alla corte, fu dato a Roger de Marincourt. Appare invece dubbia l'informazione che fosse stato nominato col Rufolo secreto di Sicilia.
L'ultima notizia a lui attribuibile è dell'11 giugno 1280: continuava a ricoprire l'ufficio di viceammiraglio ed era incaricato di armare due galee da mandare a Tunisi, ancora una volta per la riscossione del tributo.
Non conosciamo il luogo e la data della sua morte.
Oltre a Ioletta, potrebbe essere suo figlio anche Tomasello, un frate, il quale nel rinunciare a un beneficio, avuto in precedenza a Messina dall'arcivescovo Rainaldo, ottenne la sua autorizzazione preventiva.
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