DA LEZZE, Giovanni
Nato a Venezia il 10 marzo 1506, primogenito di Priamo di Andrea ed Elisabetta Dolfin di Dolfin, ebbe una carriera politica del tutto anomala: grazie alle cospicue ricchezze e alle aderenze di cui la famiglia disponeva, riuscì a mettersi in luce presso l'imperatore Carlo V, che alla fine del 1532 attraversò i territori della Repubblica per recarsi al secondo congresso di Bologna. Riceveva così, nella città emiliana, il titolo di cavaliere e conte palatino di Santa Croce - località del Trevisano nella quale i D. possedevano la giurisdizione civile e criminale - e, con esso, la facoltà di creare notai, giudici, dottori e legittimare bastardi. Sulle indubbie qualità del giovane patrizio (il 28 dic. 1531 era stato proposto oratore della Serenissima, presso il duca di Mantova) si riversarono le ambizioni paterne: Priamo, che nel marzo 1532. Si era opposto alla nomina del figlio a sopracomito di galea - un incarico che avrebbe potuto distoglierlo dalla politica attiva - colse occasione dalle urgenze della guerra contro il Turco per fargli ottenere il titolo di procuratore di S. Marco, il 1° luglio 1537, mediante esborso di 14.000 ducati.
Giungeva così, appena trentunenne, ai vertici del mondo politico veneziano, senza dover sottostare all'abituale tirocinio nei reggimenti delle città dello Stato veneto. Per un quindicennio non ricoprì alcuna carica politica né si mosse da Venezia, lasciando all'unico fratello Andrea, ed al padre, il compito di rappresentare la famiglia nel Maggior Consiglio ed in Senato.
Da Elisabetta Barbarigo di Daniele, sposata il 23 genn. 1527, ebbe due figli maschi, Andrea, nato il 15 ott. 1527 - nel 1573 diverrà pure lui procuratore di S. Marco, con l'esborso di 20.000 ducati -, e Priamo, di qualche anno più giovane. Dopo la morte della moglie, avvenuta nel maggio 1531 il D. sposava un'altra Elisabetta, figlia di Alvise Zusto di Francesco e vedova, da pochi mesi, di Lorenzo Sanuto. Non è chiaro, perciò, di chi fosse figlio quel Benedetto a favore del quale Elisabetta testava due anni dopo il matrimonio col D., nel 1542; quanto al D., nel suo testamento del 26 luglio 1576, gli lasciò il permesso di vivere, spesato e con due servi, assieme ai figli di primo letto, godendo di un vitalizio di 200 ducati annui e dell'usufrutto di una proprietà sul Montello, "sia o non sia mio fiol".
Finché visse il padre, il D. ricoprì una sola carica politica: quella di provveditore all'Arsenale, alla quale fu eletto il 19 ag. 1553, ma in seguito i suoi impegni divennero sempre più numerosi e qualificati. Provveditore sopra i Ogli dal 15 ott. 1557 al 14 ottobre dell'anno successivo e, per lo stesso periodo, provveditore sopra la Fabbrica del palazzo, il 25 genn. 1561 era nominato ambasciatore straordinario a Parigi, assieme al cavalier Marino Cavalli, in occasione dell'ascesa al trono del nuovo re di Francia, il giovanissimo Carlo IX. La missione, date le circostanze. era puramente rappresentativa e si risolse, tra maggio e giugno, in una serie di sontuose formalità. Ma intanto, l'anno successivo, il D. poteva ottenere, per il semestre dal 31 dic. 1562 al 30 giugno 1561 l'elezione a savio del Consiglio, che gli era stata rifiutata due anni prima, forse anche a causa di invidie e rancori suscitati dal suo atteggiamento, non di rado improntato a superbia e prevaricazione. Ad una nuova ambasciata straordinaria, analoga alla precedente, venne chiamato il 23 genn. 1563, allorché gli venne affidato, in unione con Michele Surian, l'incarico di presentare l'omaggio della Repubblica a Massimiliano, figlio dell'imperatore Ferdinando I, eletto re dei Romani.
Stavolta la missione non era priva di importanza, sia perché si trattava di una potenza direttamente confinante con i territori veneziani, sia perché presso il nuovo sovrano mancava una rappresentanza diplomatica della Serenissima. La relazione, letta in Senato nel luglio 1563, sottolinea soprattutto le direttive politiche che sembravano ispirare la condotta di Massimiliano verso gli altri sovrani, a cominciare da quello turco, "perché non teme niuna altra forza più che questa, la quale è tanto vicina, che li penetra sino nelle viscere". Quanto agli Stati italiani, "poco stimati" appaiono i duchi di Savoia, di Urbino e Parma, ed anche "Sua Santità non è havuta in quella veneratione, et stima" che in precedenza gli professava l'imperatore, mentre, a causa dei comune pericolo ottomano, il re si dimostra "di buonissima mente, et molto inclinato a conservarsi amico della Serenità Vostra". La soddisfazione per il successo della missione diviene poi palese compiacimento quando viene descritto l'ingresso ad Innsbruck, dove soggiornava l'imperatore, avvenuto con un seguito di settanta cavalli e sedici carri, "et fussimo veduti da tutta la Corte, et anco da Sua Maestà, la quale si fece ad uno balcone".
La carriera politica del D. sembrò, allora, non conoscere ostacoli: provveditore sopra le Fortezze (luglio-settembre '63), e alle Pompe (ottobre '63-settembre '64), provveditore sopra l'Armar (ottobre '63 settembre '64); poi savio del Consiglio (giugno-dicembre '64), ancora provveditore sopra le Fortezze (aprile '65-marzo '66) e sopra l'Armar (dicembre '66-settembre '67), quindi savio del Consiglio (giugno-dicembre '67 e novembre-dicembre '68), provveditore sopra i Confini (gennaio '68-gennaio '69) e all'Arsenale (maggio '69-marzo '70), dove ebbe modo di distinguersi nel porre riparo al rovinoso incendio scoppiatovi il 13 sett. 1569. Forse per l'energia e la capacità organizzativa dimostrate in tale drammatica circostanza, il 17 marzo 1570 gli era conferito l'incarico di provveditore generale in Dalmazia.
La guerra di Cipro era ormai nell'aria, e nei dispositivi preventivati dalla Repubblica la difesa della costa dalmata rivestiva un ruolo di primo piano. Tuttavia, neppure con l'arrivo del D. la sparuta cavalleria veneziana riuscì a contrastare le scorrerie dei Turchi, e il Consiglio dei dieci inviò a Zara Giustiniano Giustinian che accusò il D. "di negligenza, dapocagine, avaritia ... per il mal successo di tutte le cose, et per la manifesta contesa, et inimicitia da lui esercitata con Giulio Savorgnan, antico et principal Condottiere della Signoria". Difficile giudicare l'operato del provveditore, anche per l'esiguità del tempo in cui si espresse: già il 2 novembre di quello stesso 1570 veniva eletto a succedergli Giacomo Foscarini, il quale, però, si affrettò ad informare i Dieci che il Savorgnan "è dalli soldati universalmente mal veduto e odiato, e li capitani anche ... li portano poco amore". Al processo che segui, il D. poté contare su amici potenti: il suo implacabile accusatore, Giustinian, fu inviato podestà a Treviso e sostituito. Si nominò una commissione per esaminare i documenti, confrontare le carte. Venne la giornata di Lepanto, a cancellare le diffidenze verso i responsabili dell'armata, a sopire tanti umori ostili verso gli esponenti delle "case vecchie": l'istruttoria si risolse, nella seconda metà del '73, in un breve dibattito a porte chiuse, nel quale, secondo la testimonianza del Tiepolo, il D. "per haversi molto ben giustificato, fu da tutti i voti assoluto, onde subito ritornò alli honori, et alla reputation Prima".
Già nell'ottobre di quello stesso anno era infatti savio del Consiglio, e poi provveditore all'Arsenale (aprile '74-marzo '75); ancora savio del Consiglio per il periodo giugno-dicembre '75, provveditore sopra l'Armar (aprile '75-marzo '76), conservatore delle Leggi (gennaio '76-gennaio '77). sopraprovveditore alla Sanità (novembre '76-maggio '77)., savio del Consiglio (dicembre '76-giugno '77), provveditore all'Arsenal (luglio '77-marzo '78); inoltre, fu sempre presente nel Consiglio dei dieci dal 1° ott. '74.
Era ormai, indiscutibilmente, uno dei più potenti ed influenti rappresentanti della vita politica veneziana, e nel marzo 1578 poté concorrere al dogado con Nicolò Da Ponte.
Non riuscì, tuttavia, ad evitare nuove pesanti accuse al proprio operato: il 19 nov. '79 i revisori sopra le Procuratie (tra i quali era quel Giustinian che l'aveva fatto porre sotto processo, al tempo del generalato in Dalmazia) non esitarono a denunciare gravi malversazioni nella sua amministrazione, per aver egli "indebitamente contra la forma delle leggi, et in grave danno della sua Procuratia" stornato a privati "grande et notabile summa di denaro". Sospeso da ogni ufficio sinché non avesse reintegrato la cassa morì improvvisamente il 9 marzo 1580.
Lo ricordano una lapide ed un busto, nella tomba di famiglia da lui fatta costruire nella chiesa dei crociferi (ora S. Maria Assunta dei gesuiti).
Fonti e Bibl.: Venezia, Bibl. d. Civico Museo Correr, Mss. P. D. c. 2803: Alberi geneal. di tutte le famiglie venete patrizie, p. 254; Ibid., Cod. Cicogna 3782: G. Priuli, Pretiosi frutti..., c. 131r; per la carriera politica, Arch, di Stato di Venezia, Segr. alle Voci. Elez. Magg. Cons.; reg. I; Ibid., Segr. alle Voci. Elez. Pregadi, regg. 1. 2. 3, 4; Ibid., Segr. alle Voci. Elezioni al/del Cons. dei dieci, b. 2; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, 829 (= 8908): Raccolta de consegi.... sub anno; Ibid., Mss. It., cl. VII, 538 (= 7734) Libro di nozze..., cc. 63v-64r; Arch. di Stato di Venezia, Avogaria di Comun. Libro d'oro matrimoni, reg. 87, c. 174r; sull'ambasciata in Francia, Ibid., Capi del Cons. dei dieci. Lettere di ambasciatori, b. 11/1; su quella a Massimiliano, Ibid., Rubricari Germania, b. 1, c. 120; Venezia, Bibl. d. Civico Museo Correr, Mss. Wcovich-Lazzari, b. 22 /14: Relazione fatta... per l'Ill.mo ser Zuan da Leze ... venuto... dall'ambasceria del Ser.mo Re dei Romani ... ; sul generalato in Dalmazia ed il processo seguito, Ibid., Mss. Wcovich-Lazzari, b. 21/5: Relatione di Dalmatia... dell'Ill.mo Sig. Gioanni da Leze... (solo notizie geografiche ed economiche); Arch. di Stato di Venezia, Capi del Cons. dei dieci. Lettere di rettori, b. 302: lettere dell'8, 21, 22 ott. 1570 e del 26 febbr. 1571; Ibid., Senato, Mar, reg. 41, cc. 170v e 171v; Venezia, Bibl. nazionale Marciana, Mss. It., cl. VII, 224 (= 8309): P. Tiepolo, Storia della guerra di Cipro, pp. 52 s.; Ibid., Mss. It., cl. VII, 364 (= 7934): Commentari delle cose memorabili, cc. 7v, 62v; sulle accuse mossegli dai revisori sopra le Procuratie, Arch. di Stato di Venezia, Senato, Terra, reg. 52, cc. 221r-222r, 223v-224v, 231r; per il testamento, Ibid., Sez. notarile. Testamenti, b. 1191/370; M. Sanuto, Diarii, Venezia 1879-1903, LV, col. 297; LVI, coll. 774, 842; LVII, col. 579; LVIII, col. 185; M. Guazzo, Historie... delle cose degne di memoria..., Vinetia 1552, p. 250; Calendar of State Papers ... relating to English Afflairs existing in the Archives ... of Venice, a cura di R. Brown - G. Cavendish Bentinck, VII, London 1890, pp. 312 s.; 315, 322; M. F. Sansovino, Venetia città nobilissima et singolare, Venezia 1663, pp. 170 s.; A. Mauro-P. Querena-A. Soavi, Collezione de' più pregevoli monum. eretti alla memoria di uomini illustri in Venezia e sue isole, Venezia 1831, pp. 59 s.; A. Da Mosto, I dogi di Venezia, Milano 1960, pp. 271, 275 s.; 301; Relazioni di ambasciatori veneti al Senato.a cura di L. Firpo, Torino 1970-78, II, p. XXIX; V, p. XII; U. Tucci, Il processo a G. Zane mancato difensore di Cipro, in Il Mediterraneo nella seconda metà del '500 alla luce di Lepanto, a cura di G. Benzoni, Firenze 1974, pp. 411, 433.