GIOVANNI da Milano
Pittore di origine milanese, nato intorno al 1320, attivo in Lombardia e in Toscana nel secondo e terzo quarto del 14° secolo.Il pittore è menzionato da Vasari come G. da Milano (Le Vite, II, 1967, pp. 209-210, 214) e così si firma nelle sue opere: "Iohanes de Mediolano" nel polittico di Prato (Pinacoteca Com.) e "G(i)ovanni da Melano" nella Pietà datata 1365 (Firenze, Gall. dell'Accademia); la sua provenienza comasca è però attestata da un documento del 1346 in cui viene nominato Iohannes Iacobi de Commo (Firenze, Arch. di Stato, Provvisioni, Reg. 211, c. 127) ed è confermata da un'altra citazione del 1365 (Firenze, Arch. di Stato, Capitani di Orsanmichele, Deliberazione 3, 2 maggio-14 luglio 1365, c. 8) relativa agli affreschi della sagrestia di Santa Croce a Firenze come Iohannes pictor de Kaverzaio, l'od. Caversaccio, località della zona comasca nel comune di Valmorea. Il nome del padre ritorna, consentendo l'identificazione nonostante la diversa indicazione del luogo d'origine, negli elenchi dell'Arte dei medici e degli speziali del 1363, dove il pittore è menzionato, tra gli ultimi nomi citati, come "Iohannes Iacobi Guidonis de Mediolano pictor" (Firenze, Arch. di Stato, Arte dei medici e speziali, 9, c. 43), e così pure nel documento in cui si concede il 22 aprile 1366 (Firenze, Arch. di Stato, Arch. della Repubblica, Consigli maggiori, Provvisioni, Reg. 22 aprile 1366) la cittadinanza fiorentina a lui e ai suoi figli e discendenti.Tutti i documenti che riguardano G. si riferiscono alla sua attività in Toscana. Il primo è la lista, in prevalenza di pittori, presentata nel dicembre 1346 dall'Arte dei medici e speziali in seguito all'ordinanza del Consiglio del capitano del popolo di Firenze di escludere dai pubblici uffici i forestieri dimoranti a Firenze (Procacci, 1961a). Nessuna notizia, né a Firenze né altrove, consente di rintracciare di nuovo G. prima del 1363, quando risulta nei citati elenchi dell'Arte dei medici e speziali e nella portata al catasto (Firenze, Arch. di Stato, Quartiere S. Giovanni e S. Maria Novella, Estimo 2, 1363, c. 28v), dalla quale si apprende che possedeva dei terreni, ciò che farebbe ritenere che lavorasse a Firenze da qualche tempo. L'avere ottenuto nel 1366 la cittadinanza fiorentina, sebbene non vi fosse nel Trecento una regola fissa, riporterebbe la sua presenza in città a ca. cinque anni prima. Il 26 maggio 1365 i capitani di Orsanmichele gli concedettero una proroga per compiere in Santa Croce gli affreschi della cappella della sagrestia, ora cappella Rinuccini - attribuiti a Taddeo Gaddi da Vasari (Le Vite, II, 1967, pp. 204-205) -, non oltre il 1° novembre, ma è noto che nell'estate dell'anno seguente vi si lavorava ancora.La riscoperta moderna di G. risale a Rumohr (1827), che, grande estimatore del maestro lombardo, nel quale vedeva un anticipo di Jan van Eyck, si rammaricava che Vasari non ne avesse scritto la vita e riconosceva nel polittico allora conservato nella cappella Gucci-Dini a Ognissanti (Firenze, Uffizi), non più integro e in cattivo stato, la tavola dell'altare maggiore della medesima chiesa, ricordata dallo storico aretino come opera di G. (Vasari, Le Vite, II, 1967, p. 214). La restituzione al pittore lombardo degli affreschi della cappella Rinuccini è merito di Cavalcaselle (Crowe, Cavalcaselle, 1864), prima che Milanesi nel commento a Le vite di Vasari (1878) rendesse noti i documenti relativi. Nel 1850 era stato segnalato il polittico di Prato (Milanesi, Pini, 1850).La lunetta ad affresco con la Madonna, il Bambino, s. Giovanni Battista e una santa, situata in S. Maria delle Grazie a Mendrisio in Svizzera (proveniente dalla chiesa dell'ospedale di S. Giovanni), già definita 'strettamente affine' a G. da Matalon (1963) e confermata al pittore da Bellosi (1974) su segnalazione di Boskovits (1971), ne restituisce la prima attività. Diversamente dall'indicazione di Vasari (Le Vite, II, 1967, pp. 209-210), secondo il quale la formazione di G. era avvenuta in Toscana con Taddeo Gaddi, la lunetta di Mendrisio offre gli elementi per affermare che fu avviato alla pittura in Lombardia. La tridimensionalità delle figure e la delicatezza sfumata, ma costruente, degli incarnati derivano da un'esperienza di formazione nella corrente giottesca documentata a Milano dalla Crocifissione di S. Gottardo, di incerta datazione - prima del 1339, anno della morte di Azzone Visconti (Bandera Bistoletti, 1986), o agli anni quaranta del sec. 14° (Boskovits, 1989) -, dai frammenti del palazzo Arcivescovile, dello stesso pittore (Boskovits, 1989), e dagli affreschi con Storie della Vergine, probabilmente databili nel quinto decennio del secolo, del tiburio dell'abbazia di Chiaravalle Milanese, dov'è presente il medesimo autore della distrutta Assunta del Camposanto di Pisa. Questa corrente, da collegarsi alla notizia dell'arrivo di Giotto a Milano tra il 1335 e il 1336 - inviato dal Comune di Firenze ad Azzone Visconti in atto di pace - e dei suoi allievi, e alla tradizione vasariana che ricorda una più antica attività di Stefano Fiorentino a Milano (Vasari, Le Vite, II, 1967, pp. 135-136), si identifica con le tendenze di origine prevalentemente assisiate della pittura 'extragiottesca' o dei giotteschi extrafiorentini (Gregori, 1980), portatori della pittura "dolcissima e tanto unita" descritta da Vasari (Le Vite, II, 1967, p. 136; Longhi, 1928-1929; 1951).L'opera conferma altresì la lettura di Toesca (1912) e di Longhi (1940; 1973) delle pertinenze padane e lombarde dell'arte di G., che qui si riconoscono nell'aspetto arcaizzante del maphórion della Madonna, nell'acuta espressività dei volti e nell'eleganza mondana della santa, che nella veste attillata, nella forma dello scollo e nella calata della manica si adegua a una moda venuta in uso negli anni quaranta del Trecento e prefigura i futuri orientamenti della pittura di Giovanni. Le marcate espressioni e le caratterizzazioni realistiche collegano questa primizia di G. a tendenze diffuse in Lombardia nella prima metà del secolo e rappresentate nella zona comasca da importanti testimonianze, le Storie delle ss. Faustina e Liberata (Como, Mus. Civ. Archeologico P. Giovio), il ciclo di S. Abbondio a Como, gli affreschi più tardi nella chiesa dei Ss. Cosma e Damiano, sempre a Como (Travi, 1994), quelli nella chiesa di Castel San Pietro, presso Mendrisio, databili intorno al 1343-1345 (Toesca, 1912), e quelli di S. Biagio a Ravecchia, presso Bellinzona, manifestazioni queste tre ultime che si approssimano agli esordi di G. e che si inseriscono tra le testimonianze della penetrazione dello stile gotico nella regione, verificatasi attraverso la conoscenza della miniatura d'Oltralpe, la diffusione della miniatura bolognese e i probabili apporti dalla ghibellina Pisa e dalla corte papale di Avignone.Ardua è la datazione della lunetta, che, nell'assenza di riferimenti direttamente fiorentini, conserva il segno di arcaismi lombardi nella sigla degli occhi e nell'imperfetto scorcio del viso della santa. Ma, mentre appare improbabile una collocazione della lunetta anteriormente al 1346, quando il pittore è presente a Firenze, una data nei tardi anni quaranta o all'inizio del decennio seguente sembra la più ragionevole (Travi, 1994). La mimica assai evoluta nell'aspetto selvatico e corrucciato di Giovanni Battista ha fatto ricordare le parti più espressionistiche dei citati affreschi di Chiaravalle Milanese. È probabile che G. avesse già fatto esperienza, probabilmente in Lombardia, anche della grande crescita nella rappresentazione delle fisionomie, che nel quinto decennio si manifesta nell'attività avignonese di Matteo Giovannetti e a Pisa nella pittura di Francesco Traini e nelle miniature collegate dei corali di Pisa (Mus. Naz. e Civ. di S. Matteo).L'ospedale di S. Giovanni a Mendrisio nel quale si trovava la lunetta apparteneva agli Umiliati, l'Ordine al quale appare legato G. e che gli commissionò all'inizio degli anni sessanta l'opera su tavola più importante del periodo fiorentino, il polittico per l'altare maggiore della loro chiesa di Ognissanti. Le relazioni con gli Umiliati portano a confermare anche l'importante congiunzione di G. con Giusto de' Menabuoi, a cui Longhi (1940) ha restituito gli affreschi, databili tra la fine del quinto e gli inizi del sesto decennio (ma più probabilmente eseguiti appena prima del 1349), del tiburio dell'abbazia di Viboldone, appartenente all'Ordine come la chiesa collegata di S. Maria di Brera a Milano; congiunzione che Longhi (1958) ha indicato immaginando un rientro di G. da Firenze in Lombardia con Giusto in compagnia di altri fiorentini per sfuggire alla peste.Al primo periodo di G. va riconosciuta (Boskovits, 1971; Gregori, 1972, l'ha ritenuta, come le due tavolette seguenti, di un seguace lombardo di G.) per l'acre caratterizzazione dei volti, che ricorda certe insistenze frequenti nel repertorio di Francesco Traini e seguaci, la piccola Crocifissione a più figure, già nella Coll. Artaud de Montor e recentemente alienata dalla Historical Society di New York (Important Old Master Paintings, 1995). A quest'opera si avvicinano un'altra redazione popolosa del soggetto (Crawford, Earl Crawford and Balcarresa Coll.) e la tavoletta con il Padre Eterno, Cristo in trono e nella parte inferiore una serie di santi (Londra, Nat. Gall., inv. nr. 1108), ambedue da ricondursi alla fase lombarda documentata dalla lunetta di Mendrisio. Su queste opere si innalza il mirabile disegno con una popolosa Crocifissione di Berlino (Staatl. Mus., Altes Mus., Kupferstichkab.), dove le lente cadenze e la luce filtrata e untuosa preannunciano le tendenze della miniatura lombarda del tardo Trecento.La tavoletta di Roma (Gall. Naz. d'Arte antica) si riteneva la prima in ordine di tempo tra le opere di Giovanni da Milano. Confrontata con il gruppo di dipinti che rappresentano l'iniziale fase lombarda, documenta una grande varietà di sollecitazioni e di esperienze e introduce a conoscere un pittore ormai provetto che doveva avere conosciuto Firenze e altri centri dell'incontro - anche con recuperi retrospettivi di chi veniva da una regione periferica e di vetusta tradizione - del realismo padano con i grandi raggiungimenti della pittura toscana, come la spazialità, e con il crescere dello spirito gotico, che si esprime non solo nelle intonazioni pallide degli incarnati in un'atmosfera crepuscolare di origine lombarda e nelle raffinatezze lineari, coloristiche e della tecnica, ma anche nella scoperta della forma tangibile, che sarebbe stata ulteriormente elaborata in Francia e in Boemia. La tavoletta di Roma è strutturata secondo una disposizione dei pannelli che si trova in Italia settentrionale nella zona riminese (dittico, Modena, Gall. e Mus. Estense, inv. nrr. 837-838; Crocifissione, due storie post mortem, quattro santi, Bologna, Pinacoteca Naz., inv. nr. 231; Madonna portata al cielo dagli angeli, Perugia, Gall. Naz. dell'Umbria, inv. nr. 68), e ciò ha fatto pensare che possa avere avuto un'antica destinazione lombarda (De Marchi, 1992). Al di là della derivazione da Bernardo Daddi nella Madonna in trono e nel Presepio e dagli 'studi' di Viboldone di Giusto nelle sobrie decorazioni alla certosina delle suppellettili degli interni, la tavoletta fa conoscere altri aspetti della pittura di G. da Milano. Le due scene superiori sono l'esempio di una spazialità essenziale e pervia, derivata dai pittori giotteschi e in particolare da Maso, mentre nella penombra del Presepio le prime spruzzate di luce sui monti annunciano le visioni paesistiche tardogotiche dei miniatori lombardi e di Gentile da Fabriano. Il vano unitario dell'Annunciazione è stato visto come un avanzamento che avrebbe portato alle rappresentazioni d'interno della pittura fiamminga del Quattrocento. La Madonna annunciata, rappresentata in piedi secondo un'iconografia di origine giottesca (polittico di S. Reparata, Firenze, depositi della Curia; Assisi, S. Francesco, basilica inferiore, affresco all'ingresso della cappella di S. Nicola), sembra ispirarsi alla scultura pisana nella figura accarezzata e tornita dal chiaroscuro avvolgente in una sorta di guantata compattezza sottolineata dalla luce crepuscolare ed è un esempio precoce delle profonde trasformazioni strutturali che si stavano verificando in Europa nelle correnti gotiche più avanzate.Se i ricordi di Giusto a Viboldone inducono a datare l'anconetta nella prima metà degli anni cinquanta, di non molti anni posteriore, entro lo stesso decennio, dovrà ritenersi il polittico firmato di Prato (Pinacoteca Com.), commissionato, come recita l'iscrizione, da frate Francesco de' Tieri (m. nel 1363), che dal 1334 risulta rettore dell'ospedale della Misericordia dal quale proviene l'opera (Fracassini, 1926). Varie sono state le datazioni proposte, dal 1354 ca. (Guasti, 1858; Longhi, 1959, in relazione al polittico firmato in quell'anno del Maestro dell'altare di Fabriano di Washington, Nat. Gall. of Art; collegamento e data accolti da Volpe, 1983) fino al 1360 ca. (Boskovits, 1966; verso la fine degli anni cinquanta, Boskovits, 1971). Mentre la carpenteria gotica dell'altare con le fitte archeggiature aggettanti ha affinità con esempi fiorentini, le cadenze delle vesti degli apostoli nei due pannelli di destra appaiono ancora morbide e libere, diversamente dai santi degli scomparti maggiori del polittico di Ognissanti, più strettamente condizionati dalla gravità e dalle ornate astrazioni orcagnesche, così che è da chiedersi se al tempo del polittico pratese G. risiedesse a Firenze. La S. Caterina si presenta in una veste attillata e ornata di una preziosa cintura, con il manicottolo sceso fino a terra, particolari che le conferiscono un intenso sapore mondano. Nelle Storie dei santi e di Cristo delle due predelle si ravvisa ancora il legame con la chiara spazialità di Viboldone nella Visione di s. Bernardo e nel pannello con la Vergine annunciata, dove gli interni sono arredati con curiosità nordica. Nella elezione dei ritmi lineari e dei gesti dell'Annunciazione e nelle 'lombarde' affettazioni espressive e di atteggiamento della S. Caterina in uno dei pannelli principali, il raffinarsi del linguaggio gotico conferma anche gli avvenuti contatti con la pittura senese. La visione realistica qui tocca il vertice: nel Bruciamento di s. Barnaba allude al continuum, di origine giottesca e intuito anche da Maso di Banco e da Francesco Traini, dello spazio al di là della cornice; nel Martirio di s. Caterina punta a un effetto ottico e stereoscopico (che sarebbe stato ulteriormente perfezionato negli affreschi di Santa Croce a Firenze) nel manigoldo modellato nella rustica vesticciola che si presenta di schiena 'al di qua' della santa inginocchiata; la crudezza dello Scuoiamento di s. Bartolomeo è espressa con una violenza coloristica che fa ricordare i bolognesi, mentre il ghigno del manigoldo di sinistra va visto piuttosto in consonanza con le caratterizzazioni di Matteo Giovannetti e di Francesco Traini. Nelle Storie di Cristo della seconda predella le scene affollate degli armati ricordano le rappresentazioni dei cicli lombardi della prima metà del Trecento, e le variazioni dei sentimenti, ora nel tono franco e intenso, ora nelle miti espressioni 'campionesi', si ricollegano alle tavolette giovanili e appaiono come l'istituzione del timbro espressivo, volto agli 'affetti', che sarebbe stato a lungo caratteristico della Lombardia.Contigua ai passaggi gotici più spinti del polittico di Prato è la Pietà già Martin Le Roy (Parigi, coll. privata, decurtata della cuspide, forse parte di un dittico), riconosciuta a G. da Sirén (Toesca, 1912, p. 227); un tema che rappresenta uno stralcio devozionale della sequenza narrativa degli ultimi episodi della Passione di Cristo. Se è incerta l'ipotesi che il polittico sia stato dipinto a Firenze, è anche più improbabile per questa tavoletta, che in termini più espliciti sollecita a considerare, modificando la ricostruzione di G. impostata prevalentemente sulla dialettica tra la Lombardia o Padania e Firenze, un diretto contatto con Siena, che già Cavalcaselle (Crowe, Cavalcaselle, 1864) aveva inserito nella mappa di esperienze del pittore lombardo, e con Pisa dove poté guardare gli aspetti di 'squisita minuzia' martiniana di Francesco Traini (Bellosi, 1974) e la sua accentuazione dei contrasti luministici, i centri toscani direttamente implicati nella più elevata cultura gotica e attraverso i quali poterono pervenire al pittore le idee artistiche che circolavano da Avignone, a cui guardava tutta l'Europa, nell'incontro della cultura d'Oltralpe con gli avanzamenti italiani. A questa sempre più evidente connessione, generalmente non accolta da una parte del seguito longhiano (Bellosi, 1974), ma che va vista come apprendimento da parte di G. delle novità circolanti tra la Toscana e la Francia, non apporta per ora altri lumi la constatazione, da vedersi nella diffusione accertata di tecniche senesi (Skaug, 1981; 1983), che i punzoni usati dal pittore lombardo coincidono con quelli del senese Maestro d'Ovile, da Meiss (1955) identificato con Bartolomeo Bulgarini, un pittore che dovette spostarsi (nel 1350 è documentato a Firenze) e aggregarsi come G. in 'compagnie' variamente composte, come risulta dai documenti romani del 1369 (Roma, Arch. Segreto Vaticano, Libro di spese per lavori nel Palazzo Vaticano a Roma nel 1369, Introitus et exitus 1369-334, c. 5) dove figura insieme al pittore lombardo e a fiorentini a lui collegati.Mentre un'iscrizione più tarda ma non recente, graffita a tergo della tavoletta già Martin Le Roy, riporta in una chiara forma toscana il nome di fra Christofano Santanni, al di sopra lo stemma coevo al dipinto non risulta essere fiorentino e presenta gli elementi araldici, pur con colori discordanti, dell'arme della famiglia Fioravanti di Pisa. Il polilinguismo del lombardo vi si manifesta nell'elaborazione altamente originale e padana di inflessioni gotiche che ricordano i tardi prodotti oltremontani dell'atelier di Jean Pucelle, in particolare il Libro d'ore di Giovanna II di Navarra (Parigi, BN, lat. 3145), e si accompagnano a chiari riferimenti all'area d'influsso senese, dove il tema del Vesperbild fece la sua apparizione dopo la metà del secolo, mentre il pathos e il motivo dello Svenimento della Vergine riconducono al Maestro di Figline e alla cultura giottesca come si era manifestata nel transetto destro della basilica inferiore di Assisi. Nella varietà mirabile di questi echi la Pietà già Martin Le Roy si pone come l'episodio centrale di una linea di sviluppo che porta direttamente ai più estenuati prodotti del Gotico internazionale e al clima espressivo dei calvari di Jean de Beaumetz e delle pietà uscite dagli ateliers borgognoni del primo Quattrocento.In una collocazione cronologica non dissimile si situa la Crocifissione già nella Coll. Lanz di Amsterdam (Amsterdam, Rijksmus.) forse parte di un dittico. Il realismo che si esprime nelle Pie donne è una persistenza dei caratteri notati nelle crocifissioni giovanili, ma più avanzata è la tenuta psicologica, mentre nella figura allungata di Cristo l'uso drammatico della luce crepuscolare ne accresce il pathos e approssima l'operetta alla Pietà già Martin Le Roy.Il pannello di Pisa (Mus. Naz. e Civ. di S. Matteo) con la Vergine annunciata doveva far parte, con l'angelo da ascriversi a un collaboratore pisano (Marabottini, 1950), dell'ordine superiore di un polittico e la probabilità che sia stato dipinto in un soggiorno in quel centro è stata avanzata con cautela da Coletti (1947). Boskovits (1966) ha proposto di unire le tavolette, provenienti dalla donazione Zucchetti del 1796, a due scomparti di polittico, a evidenza nati insieme per l'identità dei nimbi (Longhi, 1940): il S. Francesco della Coll. Campana (Parigi, Louvre), restituito a G. da Pope-Hennessy (1939), certamente precedente all'immagine del santo affrescata nella cappella Rinuccini di Santa Croce (Boskovits, 1966), e il decurtato S. Antonio Abate Kress (Williamstown, Williams College Mus. of Art), attribuito a Francesco Traini - ciò che fa pensare provenisse da Pisa - nel catalogo della vendita della Coll. Bianco a Torino nel 1889.Mentre la ricostruzione parziale del complesso è confermata dagli identici cretti ad andamento orizzontale visibili sull'oro, di cui si conoscono altri esempi a Pisa, la sua provenienza da questo centro (Boskovits, 1966; Gregori, 1980) - dove il polittico di Simone Martini (Pisa, Mus. Naz. e Civ. di S. Matteo) e le tavole di Lippo Memmi costituivano una suprema presenza senese - offre la traccia oggettiva di un soggiorno di G., che corrisponde alla fase rappresentata anche dalla Pietà già Martin Le Roy, dalla Crocifissione Sommer - già Londra, Seymour Maynard Coll., resa nota da Marabottini (1950), in origine cimasa di un polittico, forse del ricordato complesso pisano - e dalla tavola centinata, di probabile destinazione tombale, con la Madonna, il Bambino e due donatori (New York, Metropolitan Mus. of Art), in un percorso di intensa goticizzazione che si conclude a Firenze con il polittico di Ognissanti.I riflessi dell'arte di G. a partire dal settimo decennio del secolo nei cicli lombardi di Mocchirolo, di Solaro e di Lentate, negli affreschi con Storie di Cristo dell'ultima campata della navata maggiore dell'abbazia di Viboldone e nelle vivaci testimonianze bergamasche (I pittori bergamaschi, 1992), e l'influenza decisiva che si manifesta nella miniatura degli ultimi decenni del secolo fanno ritenere che, prima del periodo in cui i documenti lo ricordano a Firenze, e non già negli anni estremi come aveva affermato Vasari (Le Vite, II, 1967, p. 214), il pittore sia ritornato nella sua regione d'origine lasciandovi delle opere, tra le quali qualche ciclo importante ad affresco.G. era certamente a Firenze nel 1363 e, poiché risulta che possedeva dei beni, si può credere che vi risiedesse e vi lavorasse già da qualche tempo. La stessa indicazione sembra fornire l'ottenimento nel 1366 della cittadinanza fiorentina. Il polittico di Ognissanti, la Pietà (Firenze, Gall. dell'Accademia) e gli affreschi di Santa Croce cadono nel periodo in cui a Firenze si hanno notizie di G. dai documenti e che va dal 1363 - e probabilmente da qualche anno prima - al 1366, per protrarsi forse fino al 1369, quando il lombardo risulta impegnato a Roma in Vaticano con un gruppo di altri pittori. Queste opere sono collegate fra loro da strette relazioni stilistiche e da un chiaro adeguamento alle tendenze della pittura fiorentina di quegli anni, e al contempo rappresentano il 'reflusso in Firenze stessa', nella 'diligenza' e nella 'sfumata unione' (Longhi, 1951) del 'dipingere unito'.Nei suoi aspetti di intenso goticismo, mirabile rimeditazione delle tendenze martiniane, il polittico di Ognissanti dovette aprire e non chiudere - contrariamente a quanto si è di solito affermato - l'attività fiorentina (Gregori, 1972), grazie a una commissione dell'Ordine lombardo degli Umiliati. Destinato all'altare maggiore, rappresentava nei suoi sette scomparti, di cui cinque conservati a Firenze (Uffizi), l'originaria titolarità della chiesa, soltanto in seguito dedicata al Salvatore dagli Osservanti subentrati nel Cinquecento agli Umiliati. Nei lunettoni sottostanti erano rappresentati i sei cori dei santi con al centro il settimo coro degli angeli, e nelle cuspidi i sette episodi della Genesi, in una corrispondenza numerica che sembra essere derivata al lombardo da una dimestichezza, più diffusa Oltralpe, con la miniatura e con la sua aderenza testuale. I cori superstiti sono rappresentati con un ordine che sembra collegato a pensieri maturati nell'ambiente martiniano, ci si riferisce a Matteo Giovannetti e al Maestro degli angeli ribelli, che ha altre affinità con G. (Laclotte, 1969); nella fattispecie lo schema discende da un'iconografia nota dal frammento di predella con lo stesso soggetto, di ubicazione ignota, del Maestro della Madonna Strauss (il supposto Donato Martini, fratello di Simone, il quale lo aveva accompagnato alla corte papale), la personalità maggiormente impegnata nella ripresa martiniana, arricchita da esperienze avignonesi, che si verificò a Siena alla metà del Trecento (De Benedictis, 1979). E non occorre sottolineare che il programma teologico si adeguava anche alla preferenza per i temi dottrinali di complessa elaborazione che interessarono la pittura fiorentina del terzo venticinquennio del Trecento.Al centro del polittico, verso il quale sono rivolti i santi laterali, ispirati al polittico di Andrea di Cione (1354-1357) a S. Maria Novella, e i cori paradisiaci, si trovava l'Incoronazione della Vergine, proveniente dallo scomparso KaiserFriedrich-Mus. di Berlino, da cui era stata alienata nel 1923 (Buenos Aires, Inst. Torcuato Di Tella; segnalazione di G. Romano). In questo pannello frammentario la costruzione architettonica del trono si differenzia profondamente dalle tendenze astrattive della pittura fiorentina coeva e appare più consonante con le rappresentazioni dell'Italia settentrionale. Motivo dominante della realizzazione pittorica del polittico è l'alternarsi delle stoffe unite e fiorate, a cui si accompagna il contrasto dei toni profondi e squillanti. Per la vellutata morbidezza del modellato e dei panneggi, fusione del 'dipingere unito' e del ductus martiniano, per l'attenzione alla moda, per gli aspetti di trasgressione compositiva e per lo spessore ritrattistico, qualità che partecipano all'affermarsi della civiltà padana nei suoi caratteri distintivi, l'opera è il più grande capolavoro su tavola del Gotico in Toscana dopo l'Annunciazione di Simone Martini (Firenze, Uffizi) e i polittici memmiani di Pisa, mentre per la complessità del rituale prefigura le macchine ordinate, sacramentali e mondane, dell'Incoronazione della Vergine delle Très Riches Heures del duca di Berry (Chantilly, Mus. Condé, 1284) e dell'Adorazione dell'Agnello mistico di Jan van Eyck (Gand, S. Bavone). Un pannello (Venezia, coll. privata) con la rappresentazione della Trinità e le figure di s. Paolo, la cui tipologia ricorda precedenti traineschi, e di s. Giovanni Evangelista doveva costituirne la cimasa (Boskovits, 1971), forse eseguita con un aiuto (Gregori, 1980).Alle tavole dell'ordine principale del polittico e agli affreschi di Santa Croce si richiamano alcuni caratteri - lo spazio occupato interamente dalle figure, le cadenze dei manti - della Pietà di Firenze, firmata dal pittore lombardo e datata nel 1365, primo riferimento per la sua ricostruzione avviata da Rumohr (1827). La presentazione di tre quarti delle figure erette e di grandezza naturale non indulge a compiacimenti decadenti. Accenti energici e realistici si esprimono in un'umanità costruita come il pittore aveva appreso a Firenze e in consentaneità con gli impulsi espressionistici che percorsero l'Europa prima della fase cortese dalla Boemia alla Francia, confluendo dopo il 1370 nel Maestro del Parement de Narbonne. A questi aspetti si associa, in una trama di contrasti che introduce direttamente alla poetica del Gotico internazionale, la delicata attenzione, che accentua il pathos dell'immagine, ai particolari consoni al tema - il sangue rappreso e le lagrime ottenute con una vernice in rilievo (Conti, 1986) -, alla verità dell'epidermide e alla lieve peluria sul torso del Cristo, mentre con la tecnica senese 'a mestichino', cioè con graffito filiforme sull'oro, è ottenuto il fulgore dei capelli della Maddalena.La cappella della sagrestia di Santa Croce fu fondata e affrescata per disposizione testamentaria, risalente al 1350, di Lapo di Lizio Guidalotti (l'arme della famiglia è stata ritrovata dipinta a buon fresco sotto quella dei Rinuccini; Procacci, 1961a). Il passaggio di proprietà a Francesco Rinuccini doveva essere già avvenuto nel 1371, data visibile nell'iscrizione sul cancello che chiude la cappella. Il 26 maggio 1365 i capitani di Orsanmichele concedettero a G. una proroga, non oltre il 1° novembre, per finire gli affreschi, ma i lavori, non è noto quando, furono di nuovo interrotti dopo il 1366, probabilmente per inadempienze nei pagamenti da parte dei capitani. Toccò al Maestro della cappella Rinuccini, identificato in Matteo di Pacino da Bellosi (1974), di completarli, certamente prima del 1371, per conto dei Rinuccini. È probabile che la sostituzione si sia resa necessaria per l'assenza del pittore lombardo, che, di fatto, dal 1369 compare nei già ricordati documenti romani.La cappella è dedicata alla Natività della Vergine e alla Maddalena, le cui storie sono rappresentate nelle due pareti laterali. Nelle finte aperture polilobe della volta si affacciano mezze figure di profeti e nell'imbotte dell'arco d'ingresso sono rappresentati i busti di apostoli e sui pilastri le figure intiere di santi. L'intervento di G. nei due ordini superiori dimostra la sua maestria nella tecnica del buon fresco e la pulitura che ha rimosso recentemente le ampie ridipinture di Agostino Veracini (1736) ha rivelato finezze calligrafiche nelle barbe e nei capelli più proprie della pittura su tavola, mescolanze di toni e stesure tramate di finissimi tratteggi avvolgenti, lenti passaggi chiaroscurali e originali intonazioni cromatiche (come il color verde mela) che distinguono questi affreschi dalla pittura fiorentina coeva.Dal punto di vista iconografico, per le Storie della Vergine G. aveva il precedente a Firenze dei perduti affreschi dipinti in S. Maria Novella da Andrea di Cione nel 1350, eseguiti ex novo da Domenico Ghirlandaio nel tardo Quattrocento. Sulla traccia delle descrizioni di Vasari (Le Vite, II, 1967, pp. 217-218), verificate sui fedeli rifacimenti quattrocenteschi, si accerta che da essi il pittore lombardo ha derivato alcuni episodi.Delle Storie della Maddalena erano noti i precedenti di Giotto nella cappella della basilica inferiore di Assisi e della cappella del palazzo del Podestà a Firenze. In confronto a questi cicli è significativa la presenza nella cappella Guidalotti Rinuccini di un nuovo soggetto, Cristo in casa di Marta e Maria, che insieme alla Natività della Vergine appare consentaneo all'interesse per le rappresentazioni d'interno del maestro lombardo.Alla grandiosità rituale delle figure derivate da Andrea di Cione e all'austerità delle teste - nelle quali, pur con una mirabile varietà espressiva e fisionomica, si nota l'influsso dei tipi di Nardo di Cione - si uniscono gli echi degli ampi ritmi adottati da Taddeo Gaddi negli affreschi della cappella Baroncelli (Firenze, Santa Croce). G. si ricollega al razionalismo della prima metà del secolo nel forte risentimento spaziale delle architetture, che hanno precedenti, per le volte a crociera convergenti al centro della Cacciata di Gioacchino, nelle Storie dell'Infanzia di Cristo di Assisi e nelle derivazioni di Ambrogio Lorenzetti. Il persistere di un vivo interesse per la spazialità negli affreschi della cappella appare una variante degli avanzamenti verificatisi in Italia settentrionale e che si sarebbero conclusi con l'attività padovana di Giusto de' Menabuoi e di Altichiero, pittori che dovettero conoscere il ciclo fiorentino.Il realismo del lombardo si manifesta in questi affreschi nell'attenzione rivolta a particolari e a figure marginali che diventano preminenti, come il viandante (o servo) che raccorda i due episodi dell'Annuncio a Gioacchino e dell'Incontro alla porta Aurea, e la cui presenza inattesa non può non ricordare i due giovinotti che passeggiano al centro della Risurrezione di Tabita di Masolino da Panicale (Firenze, S. Maria del Carmine, cappella Brancacci). Al centro della volta si presenta il busto di Cristo su tavola (Skaug, 1981, ha avanzato dubbi, risultati infondati, sulla sua autenticità). La sua immagine solenne e austera, ma dipinta con una delicatezza sfumata che si ritrova in Masolino, il quale, come Stefano di Giovanni di Consolo, detto il Sassetta, e il Maestro dell'Osservanza, seppe guardare al pittore lombardo (Longhi, 1940), ritorna nel Cristo in maestà già nella Coll. Contini Bonacossi di Firenze (Milano, Pinacoteca di Brera). Nel periodo fiorentino, al tempo degli affreschi della cappella Rinuccini va collocata la Madonna con il Bambino di S. Bartolo in Tuto a Scandicci, presso Firenze (Proto Pisani, 1983), che una precisa corrispondenza di momento stilistico consente di situare nella fase del secondo ordine delle storie, in stretta prossimità con la Natività della Vergine e con l'Incontro alla porta Aurea.Il Cristo in maestà, che presenta il tema medievale ripristinato da Andrea di Cione nel polittico di S. Maria Novella (Meiss, 1951) e che un tempo si è creduto il centro del polittico di Ognissanti, si accompagna a un altro pannello con undici santi già nella Coll. Gualino (Torino, Gall. Sabauda; Marabottini, 1950). All'ordine superiore appartenevano tre tavolette, riconosciute a G. da Cavalcaselle (Crowe, Cavalcaselle, 1864; Londra, Nat. Gall., inv. nr. 579 A), con la Déesis (Boskovits, 1966), il Padre Eterno al centro, e ai lati la Vergine e s. Giovanni Battista (e non Isaia; Boskovits, 1966). La loro provenienza dalla Coll. Lombardi Baldi (1857) è un elemento per ritenere che il polittico fu dipinto in Toscana. Insieme al trittico di Niccolò di Pietro Gerini con il Battesimo di Cristo e santi (Londra, Nat. Gall.), a cui erano state impropriamente congiunte, le tavolette di Londra provenivano dall'abbazia di S. Giovanni Decollato del Sasso, presso Arezzo, dipendente dagli inizi del Quattrocento dal convento fiorentino di S. Maria degli Angeli. Come il trittico geriniano, per il quale la provenienza da S. Maria degli Angeli è accertata (Cohn, 1956), è estremamente probabile che anche il polittico di G. sia stato eseguito per il convento camaldolese fiorentino, che in quegli anni si era arricchito di importanti complessi dell'ambito orcagnesco, e la destinazione potrebbe essere stata l'altare del Capitolo di patronato di Piero del Palagio dedicato a s. Pietro (il santo è rappresentato nel pannello della Coll. Gualino a destra di Cristo), che fu consacrato tra il 1370 e il 1372. Il santo è presente anche nelle due tavolette di predella della Coll. Bacri di Parigi con la Risurrezione, il Noli me tangere, la Consegna delle chiavi e l'Incredulità di s. Tommaso (Berenson, 1930-1931), che sono state ipoteticamente accorpate al polittico (Marabottini, 1965; Boskovits, 1966).Anteriormente a questi anni G. è ricordato dal luglio al settembre 1369 (Müntz, 1880; Crowe, Cavalcaselle, 1883) in un registro di pagamenti per lavori eseguiti in due cappelle del palazzo vaticano, durante il periodo (aprile 1367-aprile 1370) che il papa francese Urbano V trascorse a Roma, con altri pittori tra i quali, in una lista significativa, insieme al lombardo figuravano Giottino, Giovanni e Agnolo Gaddi - figli del pittore che Vasari riteneva suo maestro e ai quali egli doveva essere legato (Le Vite, II, 1967, p. 214) -, Bartolomeo de Senis, da identificare con il citato Bartolomeo Bulgarini, e un arcipresbyter Giovanni (con ogni probabilità Matteo Giovannetti, già segnalato a Roma nel 1367 e nel 1368 per lavori nel palazzo vaticano e che allo stato attuale degli studi risulta ancora vivo nel 1372; Castelnuovo, 1962). Ai fiorentini Giottino e Giovanni Gaddi e all'arcipresbyter era stata probabilmente affidata la direzione dei lavori perché furono pagati a mese e il doppio di quanto percepì G. da Milano.Un'altra notizia che potrebbe riferirsi a G. si trova in una convenzione stipulata nel 1375 per la ricostruzione dell'abbazia di Montecassino, distrutta dal terremoto, prendendo a modello i recenti lavori in S. Giovanni in Laterano, tra l'abate, il romano Pietro de Tartaris, e un Iohannes Moregia de Mediolano (probabilmente l'architetto) e i suoi soci di varia provenienza, tra i quali figura un Giovanni de Comes (Montecassino, Arch., Regestum I, Petrus de Tartaris, c. 38; Caravita, 1869). Se veramente si tratta di lui, il contesto in cui sembra affacciarsi la sua estrema presenza ne confermerebbe la figura di artista itinerante e, come tale, di superlativo mediatore tra civiltà artistiche diverse e precorritore del Gotico al suo tramonto.
Bibl.: Fonti. - G. Milanesi, Nuovi documenti per la storia della arte toscana dal XII al XVI secolo, Roma 1893, p. 58; G. Vasari, Le vite de' più eccellenti pittori scultori ed architettori, a cura di G. Milanesi, I, Firenze 1878, pp. 572, 584-585, 670; F. Baldinucci, Notizie de' professori del disegno da Cimabue in qua, a cura di F. Ranalli, I, Firenze 1845, pp. 217, 251.Letteratura critica. - K.F. von Rumohr, Italienische Forschungen, II, Berlin-Stettin 1827, pp. 80-89, 216; G. Aiazzi, Ricordi storici di Filippo di Cino Rinuccini seguiti da altri documenti inediti di storia patria estratti dai codici originali, Firenze 1840, pp. 27, 80, 305-327; F. Moisè, Santa Croce di Firenze, Firenze 1845, pp. 156-162; G. Milanesi, C. Pini, Di una tavola dipinta per Giovanni da Milano scoperta in Prato, Memorie e studi di cose patrie 6, 1850, pp. 75-78; G. Guasti, Alcuni quadri della galleria comunale di Prato. Descritti e illustrati con documenti inediti, Prato 1858, pp. IX, 7-9; G. Milanesi, Aneddoti letterari, scientifici e artistici, Giornale storico degli archivi toscani 2, 1858, p. 65; J.A. Crowe, G.B. Cavalcaselle, A New History of Painting in Italy from the Second to the Sixteenth Century, I, London 1864, pp. 365, 402-408; A. Caravita, I codici e le arti a Montecassino, I, Montecassino 1869, pp. 349-351; E. Förster, Geschichte der italienischen Kunst, II, Leipzig 1870, pp. 399-403; E. Müntz, Le Giottino à Rome, 1369. D'après des documents inédits, La chronique des arts et de la curiosité, GBA 21, 1880, suppl., pp. 168-169; J.A. Crowe, G.B. Cavalcaselle, Storia della pittura in Italia dal secolo II al secolo XVI, II, Firenze, 1883 pp. 35, 93-105; E. Müntz, Les archives des arts, Paris 1890; id., Lavori d'arte fatti eseguire a Roma dai Papi d'Avignone (1365-1378), Archivio storico dell'arte 4, 1891, pp. 127-130; W. Suida, Florentinische Malerei um die Mitte des XIV. Jahrhunderts, Strassburg 1905, pp. 28-41, 45-50; Venturi, Storia, V, 1907, pp. 891-915; O. Sirén, Giottino und seine Stellung in der gleichzeitigen florentinischen Malerei (Kunstwissenschaftliche Studien, 1), Leipzig 1908, pp. 53-55, 91-92; P. Toesca, La pittura e la miniatura nella Lombardia, Milano 1912 (Torino 19662), pp. 104-114, 116-118, 132-134, 227; W. Suida, s.v. Giovanni da Milano, in Thieme-Becker, XIV, 1921, pp. 127-130; R. Van Marle, Two Panels by Giovanni da Milano, BurlM 46, 1925, p. 188; T. Fracassini, Gli Spedali di Prato dalle origini al nostro tempo, Prato 1926, pp. 27-30; L. Venturi, La collezione Gualino, Torino-Roma 1926; R. Longhi, Frammenti di Giusto da Padova, Pinacotheca 1, 1928-1929, pp. 137-152 (rist. in id., Opere complete, IV, 'Me pinxit' e quesiti caravaggeschi, 1928-1934, Firenze 1968, pp. 7-18); B. Berenson, Quadri senza casa. Il Trecento. I., Dedalo 11, 1930-1931, pp. 263-284; id., Italian Pictures of the Renaissance, Oxford 1932, pp. 143-144; R. Oertel, Wandmalerei und Zeichnung in Italien, MKIF 5, 1937-1940, pp. 236-239, fig. 8; J. Pope-Hennessy, Sassetta, London 1939, pp. 185, 203, n. 140; R. Longhi, Fatti di Masolino e di Masaccio, CrArte 5, 1940, pp. 145-191: 150, 180-181 (rist. in id., Opere complete, VIII, 1, 'Fatti di Masolino e di Masaccio' e altri studi sul Quattrocento, 1910-1967, Firenze 1975, pp. 3-65); H.B. Wehle, A Catalogue of Italian, Spanish and Byzantine Paintings of the Metropolitan Museum of Art, New York 1940, pp. 13-14; M. Meiss, Italian Primitives at Konopiště, ArtB 28, 1946, pp. 1-16: 8 n. 62, 10; L. Coletti, I Primitivi, II, I senesi e i giotteschi, Novara 1946, pp. XXXVI, LI; III, I padani, Novara 1947, pp. LXII-LXVII, LXXV, nn. 184-189; A. Santangelo, Museo di Palazzo Venezia, Roma 1948, p. 28; A. Marabottini, Giovanni da Milano, Firenze 1950; R. Longhi, Stefano Fiorentino, Paragone 2, 1951, 13, pp. 18-40; M. Meiss, Painting in Florence and Siena after the Black Death, Princeton 1951 (trad. it. Pittura a Firenze e a Siena dopo la Morte Nera, Torino 1982); Toesca, Trecento, 1951, pp. 762-772; W. Mersmann, Der Schmerzensmann, Düsseldorf 1952, p. XXXIII; R. Oertel, Die Frühzeit der italienischen Malerei, Stuttgart 1953, pp. 183-184, 234 n. 318; E. Panofsky, Early Netherlandish Painting: its Origins and Character, 2 voll., Cambridge (MA) 1953, pp. 129, 189; M. Meiss, Nuovi dipinti e vecchi problemi, RivA 30, 1955, pp. 107-145: 145; W. Cohn, Notizie storiche intorno ad alcune tavole fiorentine del '300 e '400, ivi, 31, 1956, pp. 41-72: 66-67; M. Meiss, Primitifs italiens à l'Orangerie, RLouvre 6, 1956, pp. 139-148: 145-146; R. Longhi, Arte lombarda dai Visconti agli Sforza, in Arte lombarda dai Visconti agli Sforza, cat., Milano 1958, pp. XXII-XXIII (rist. in id., Opere complete, VI, Lavori in Valpadana, Firenze 1973, pp. 229-248: 233-237); F. Russoli, Giovanni da Milano, ivi, pp. 19-24; R. Longhi, Qualità e industria in Taddeo Gaddi, Paragone 9, 1959, 109, pp. 31-40: 33; 111, pp. 3-12; E. Sandberg Vavalà, Studies in the Florentine Churches, Firenze 1959, pp. 168-181; L. Marcucci, Note per Giovanni da Milano, Como 4, 1960, pp. 7-14; E. Panofsky, Renaissance and Renascences in Western Art, Stockholm 1960, p. 144 (trad. it. Rinascimento e rinascenze nell'arte occidentale, Milano 1971); M. Davies, National Gallery Catalogues. The Earlier Italian Schools, London 19612, pp. 139-140; U. Procacci, Il primo ricordo di Giovanni da Milano a Firenze, AAM 4, 1961a, pp. 49-66; id., Sinopie e affreschi, Milano 1961b, p. 21; C.L. Ragghianti, Problemi padovani. Battistero, cappella Belludi, CrArte, n.s., 8, 1961, 45, pp. 1-15: 4, 10, 14 n. 5; E. Castelnuovo, Un pittore italiano alla corte di Avignone. Matteo Giovannetti e la pittura in Provenza nel secolo XIV, [Torino] 1962, pp. 137-138 (19912, pp. XXXIV, 151-152); M. Meiss, Un fragment rare d'un art honorable, RLouvre 12, 1962, pp. 105-114; L. Marcucci, Del polittico di Ognissanti di Giovanni da Milano, AV 1, 1962, 4, pp. 11-19; id., Dal 'Maestro di Figline' a Giottino, JBerlM 5, 1963, pp. 19-38; S. Matalon, Affreschi lombardi del Trecento, Milano 1963, pp. 380-383, 393-394; L. Castelfranchi Vegas, Giovanni da Milano (I maestri del colore, 3), Milano 1965; R. Longhi, Una 'riconsiderazione' dei primitivi italiani a Londra, Paragone 16, 1965, 183, pp. 8-16: 9, 12-15 (rist. in id., Opere complete, VII, Giudizio sul Duecento e ricerche sul Trecento in Italia centrale, Firenze 1974, pp. 175-181: 179); A. Marabottini, Una crocifissione di Giovanni da Milano e i soggiorni del pittore in Toscana e in Lombardia, Commentari 16, 1965, pp. 22-34; L. Marcucci, Gallerie nazionali di Firenze. I dipinti toscani del secolo XIV, Roma 1965, pp. 83-88; M. Boskovits, Giovanni da Milano, Firenze 1966; M. Gregori, Giovanni da Milano alla cappella Rinuccini, Milano 1966; H.W. Kruft, Altichiero und Avanzo. Untersuchungen zur oberitalienischen Malerei des ausgehenden Trecento, Bonn 1966, pp. 49, 62; M. Laclotte, Le 'Maître des anges rebelles', Paragone 20, 1969, 237, pp. 3-14: 8; M. Boskovits, Notes sur Giovanni da Milano, RArt 11, 1971, pp. 55-58; A. Conti, rec. a Boskovits, 1971, Annali della Scuola normale superiore di Pisa. Classe di lettere e filosofia, s. III, 1, 1971, p. 621; M. Gregori, Giovanni da Milano: storia di un polittico, Paragone 23, 1972, 265, pp. 3-35; R. Longhi, La pittura del Trecento nell'Italia settentrionale (1934-1935), in id., Opere complete, VI, Lavori in Valpadana, Firenze 1973, pp. 87-90; L. Bellosi, Buffalmacco e il Trionfo della Morte, Torino 1974; R. Fremantle, Florentine Gothic Painters. From Giotto to Masaccio, London 1975, pp. 181-191; C. De Benedictis, La pittura senese 1330-1370, Firenze 1979; M. Gregori, Alcune osservazioni non marginali su Giovanni da Milano e sulla situazione della pittura del Trecento in Lombardia, in L. Cavadini, Giovanni da Milano, Valmorea 1980, pp. 7-18; E. Skaug, The Rinuccini Tondo. An 18th Century Copy or a 14th-Century Original?, "Atti del Convegno sul restauro delle opere d'arte, Firenze 1976", a cura di A.M. Giusti, Firenze 1981, I, pp. 333-339; R. C. Proto Pisani, Un inedito di Giovanni da Milano: la tavola di S. Bartolo in Tuto, BArte, s. VI, 68, 1983, 19, pp. 49-58; E. Skaug, Punch Marks. What are They Worth? Problems of Tuscan Workshop Interrelationships in the Mid-Fourteenth Century: the Ovile Master and Giovanni da Milano, in La pittura nel XIV e XV secolo. Il contributo dell'analisi tecnica alla storia dell'arte, "Atti del XXIV Congresso internazionale di storia dell'arte C.I.H.A., Bologna 1979", a cura di H.W. van Os, J.R.J. Asperen de Boer, III, Bologna 1983, pp. 253-282; C. Volpe, Il lungo percorso del 'dipingere dolcissimo e tanto unito', in Storia dell'arte italiana, V, Dal Medioevo al Quattrocento, Torino 1983, pp. 232-304: 289, 298-301; S. Bandera Bistoletti, Giotto e i Visconti. Il restauro dell'affresco giottesco in S. Gottardo al Palazzo, Milano 1986; G. Ragionieri, Pittura del Trecento a Firenze, in La pittura in Italia. Il Duecento e il Trecento, Milano 1986, I, pp. 301-303; A. Conti, Tempera, oro, pittura a fresco: la bottega dei ''primitivi'', ivi, II, pp. 513-528; E. Biagi, Giovanni da Milano, ivi, pp. 577-578; P.P. Donati, Un inedito affresco di Giovanni da Milano, Prospettiva, 1988, 53-56, pp. 173-176; Pinacoteca di Brera. Scuole lombarda e piemontese, 1300-1535, a cura di C. Travi, Milano 1988, p. 65; M. Boskovits, Pittura e miniatura a Milano: Duecento e primo Trecento, in Il Millennio Ambrosiano, a cura di C. Bertelli, III, La nuova città dal Comune alla Signoria, Milano 1989, pp. 26-69; L. Bellosi, Giovanni da Milano, in Dizionario della pittura e dei pittori, II, Torino 1990, pp. 607-608; ''Manifestatori delle cose miracolose''. Arte italiana del '300 e '400 da collezioni in Svizzera e nel Liechtenstein, a cura di G. Freuler, cat. (Lugano-Castagnola 1991), Einsiedeln 1991, pp. 198-200; A. De Marchi, Gentile da Fabriano. Un viaggio nella pittura italiana alla fine del gotico, Milano 1992; D. Pescarmona, Como e Canton Ticino, in La pittura in Lombardia. Il Trecento, Milano 1992, pp. 108-134: 117-118, 122; C. Quattrini, Giovanni da Milano, ivi, pp. 416-417; I pittori bergamaschi. Dal XIII al XIX secolo. Le origini, a cura di M. Boskovits, Bergamo 1992, pp. 316, 340; C. Travi, Il Trecento, in Pittura a Como e nel Canton Ticino dal Mille al Settecento, a cura di M. Gregori, Cinisello Balsamo 1994, pp. 10-18, 254-267; Important Old Master Paintings. The Property of the New-York Historical Society, cat. della vendita, Sotheby's, 12 gennaio 1995, New York 1995, nr. 14.