GIOVANNI da Nono
Nacque a Padova intorno al 1275 da Simone di Pasqualino e da Paola Sottile. Nel Liber de generatione aliquorum civium urbis Padue, tam nobilium quam ignobilium egli vantò la nobiltà della casata proveniente "de Naono et Ultrabrenta", che, a suo dire, avrebbe ricoperto un ruolo analogo a quello pertinente l'esercizio di poteri comitali nella Marca trevigiana durante i secoli centrali del Medioevo. Studi recenti, pur ridimensionando tale pretesa, hanno riconosciuto plausibile l'ipotesi che la famiglia di G. appartenesse a un ramo impoveritosi della famiglia trevigiana dei Castelli. In una data non conosciuta G. sposò Dotta di Paolo Dotto de' Dauli, dalla quale ebbe cinque figli. Il 20 ag. 1306 G. fu immatricolato nel Collegio dei giudici di Padova e dal 1310 è attestata la sua presenza nelle vesti di giudice presso i banchi (tribunali) di Palazzo fino al 1346, anno della morte.
Il nome di G. è legato alla realizzazione di un corpus di opere di argomento storico, composte, presumibilmente, tra il 1314 e il 1337. Nei codici che contengono tutti gli scritti di G. essi compaiono nel seguente ordine: De aedificatione urbis Patavie (o Phatolomie), Visio Egidii regis Patavie e Liber de generatione aliquorum civium urbis Padue.
Il De aedificatione narra in cinque brevi libri e con i toni del romanzo cavalleresco una pagina del passato mitico di Padova. Si tratta del racconto delle gesta di un re padovano di nome Dardano, vissuto ai tempi della guerra di Troia, che G. dichiara di avere appreso dalle scritture di Sabina, moglie di Dardano, e da altre fonti non indicate con precisione. L'episodio centrale del breve scritto è dedicato alla guerra che oppose il re di Padova e i suoi alleati a Tartaro, re dei Tartari. Accanto a una sommaria descrizione della mitica Padova e dei suoi tesori, il De aedificatione mostra i principi occidentali con i loro baroni - tra i quali è ricordato anche Teseo "de Naono et Ultrabrenta" - impegnati a sostenere duelli con i cavalieri tartari. La guerra si concluse con una pacificazione e il duplice matrimonio tra Dardano e Sabina e tra Tartaro e la regina Anna. In seguito Dardano si recò alla guerra di Troia e trovò la morte per mano di Antenore, il quale, giunto in Italia, fondò prima Altino poi rifondò Padova distrutta da un terremoto, e infine morì per mano del figlio di Dardano.
Il De aedificatione mostra già le caratteristiche della visione della storia che fonda l'intera produzione di G.: la morale che lo impronta, esplicitata nel breve prologo, è da ricondurre al gioco della fortuna che ha portato Dardano prima e poi Antenore dalla vittoria alla morte violenta. Nel proemio infine compare un accenno a Cangrande Della Scala, negli scritti di G. chiamato latinamente Catulus, il quale riveste il ruolo di una grave minaccia per Padova.
La Visio, che in uno dei più autorevoli testimoni (San Daniele del Friuli, Bibl. civica Guarneriana, Mss. 264, del XIV secolo) reca il titolo Liber ludi fortune et I de visione Egidii, secondo J.K. Hyde è stata composta tra il 1314 e il 1318. Si tratta di un testo che presenta in forma di profezia il racconto svolto in prima persona da Egidio, mitico re di Padova vissuto al tempo di Attila. Egidio, esule a Rimini dopo la distruzione della città per opera degli Unni, si rivolse a Dio in preghiera chiedendo aiuto per riedificare Padova. Gli apparve allora in sogno un angelo, inviatogli per informarlo sul suo destino - egli dovrà fondare Venezia - e sul futuro di Padova. Al re fu fatto leggere un libro in cui Dio stesso narrava la storia della città: dopo un periodo di desolazione Padova sarà abitata da molti uomini "nobiles et ignobiles" che vi edificheranno numerosi palazzi e torri. La città vivrà in pace sino agli anni di Federico II, quando, per punire i Padovani dei loro peccati (un'ingiusta politica aggressiva verso altre città), Dio manderà come suo castigo Ezzelino da Romano. Tornati nella grazia di Dio, i Padovani saranno liberati dal terribile nemico, ma ben presto ricadranno nel peccato (l'usura, questa volta) e verranno nuovamente puniti con l'arrivo di Enrico VII e di Cangrande Della Scala e con la conseguente perdita di Vicenza. Il libro si conclude con una profezia: Dio, che ha perdonato i Padovani al tempo di Ezzelino, li perdonerà anche dopo la morte di Cangrande, ma se dovessero ricadere nel peccato non saranno più assolti e dalla stirpe dei da Romano sorgerà un nuovo, terribile tiranno. Dopo avere letto il futuro di Padova e della Marca trevigiana, Egidio si rivolse all'angelo per chiedergli in che modo sarebbe stata riedificata la città. L'angelo gli descrisse allora la futura Padova partendo dalle porte, passando poi ai palazzi e ai principali edifici pubblici, soffermandosi sui luoghi di mercato e informando il re, felice per la magnificenza cui era destinata la sua città, dei principali fatti che in quei luoghi si sarebbero svolti soprattutto ai tempi di Ezzelino. Manca invece nella Visio ogni rimando a edifici religiosi.
J.K. Hyde ha notato che l'immagine complessiva di Padova offerta dalla Visio coincide con l'effigie riportata dal sigillo del Comune. Puntuale nella descrizione degli edifici, e in particolare in quella del palazzo del Comune, G. descrisse la città come una piazzaforte quadrata racchiusa nelle vecchie mura del XIII secolo.
La principale opera di G. è il De generatione, composto in un periodo difficilmente definibile poiché la struttura dell'opera si presta ad accogliere aggiunte e modificazioni. Nei diversi manoscritti si notano infatti differenze che, se dovute, come pare, all'autore, testimonierebbero un lavoro di rielaborazione. Nel codice trecentesco conservato a Padova (Bibl. del Seminario vescovile, Mss. 11) il De generatione è diviso in quattro libri. L'opera è priva di prologo e si apre con un capitolo dedicato alla famiglia d'Este, che dalla metà del XII secolo giunge sino ad Azzo (VIII), all'inizio del Trecento; lo scritto passa poi a illustrare l'origine delle famiglie "de Honaria seu de Romano" e di Camposampiero e la rivalità che le contrappose; giunge quindi a trattare dei rapporti di Padova con Federico II e soprattutto con Ezzelino da Romano, soffermandosi a narrare la dominazione ezzeliniana della città e, con maggiore ampiezza, l'ultima stagione di Ezzelino e Alberico da Romano e la loro sconfitta. Tutte queste pagine sono costruite in primo luogo sulla scorta dei Cronica in factis et circa facta Marchie Trivixane di Rolandino da Padova e del Chronicon Marchiae Tarvisinae et Lombardiae, opere duecentesche che ripercorrono la storia della Marca dalla fine del XII secolo agli anni immediatamente seguenti il domino ezzeliniano. Dalle sue fonti G., oltre a trarre il materiale (di norma sunteggiato, ma in alcuni casi ripreso alla lettera), derivò anche l'attenzione per un gruppo ristretto di casate i cui orizzonti politici comprendevano l'intera Marca: sin dal primo libro quindi il De generatione mostra il proprio carattere di storia di famiglie, anche se vi primeggia ancora la vicenda politica.
Il rilievo della lunga stagione ezzeliniana ebbe agli occhi di G., come di molti suoi contemporanei, il chiaro valore di uno spartiacque nello svolgimento della storia padovana. Già nella Visio era enunciato un prima e un dopo Ezzelino; nel De generatione tale frattura è ulteriormente evidenziata dai due capitoli che aprono il secondo libro e sono dedicati ai costumi dei Padovani e delle loro donne: si tratta di osservazioni di stampo moraleggiante, volte a lodare i costumi padovani degli anni che precedettero il dominio ezzeliniano; anche G. ripropone quindi il tema dell'elogio del "buon tempo antico", diffuso nella cronachistica della fine del Duecento e l'inizio del Trecento e già toccato dai Cronica di Rolandino. Il peso di questi brevi capitoli nella visione della storia su cui poggia l'intero corpus di scritti di G. è rilevante: ai suoi occhi la vicenda padovana appare svolgersi lungo tappe chiaramente definite e segnate da precisi avvenimenti. Vi fu una lunga stagione culminata nella dominazione ezzeliniana, seguita dal periodo che si concluse con la discesa in Italia di Enrico VII. Tale periodizzazione, già esplicitata nella Visio, è riproposta con maggiore chiarezza nel De generatione, quando, alla fine del secondo libro, G. procedette alla stesura di una sorta di bilancio dedicato a individuare le famiglie cittadine più potenti al tempo di Enrico VII.
Il periodo a ridosso della formazione della signoria dei da Carrara (che dal testo sembra ancora non realizzata) appare quindi a G. come un momento di cerniera che vede la fine di un'epoca, e l'inizio di una nuova di cui non è possibile cogliere l'evoluzione degli eventi se non attraverso previsioni esposte in forma profetica.
Per organizzare il materiale a propria disposizione G. ha raccolto negli ultimi tre libri del De generatione informazioni concernenti oltre cento casate padovane individuando un gruppo di famiglie nobili anche se decadute (II libro), uno di casate potenti a Padova all'inizio del Trecento (III libro) e uno, il più voluminoso, di famiglie non nobili (IV libro). A ogni famiglia è stato dedicato di norma un solo capitolo e in alcuni casi, specie nell'ultimo libro, assai breve, dove, riproponendo una sorta di formulario costituito da frasi ricorrenti (del tipo "sunt boni viri populares et sunt divites"), G. ebbe cura di informare sul luogo di residenza della casata e sui legami di parentela che la legavano alle altre famiglie cittadine. Spesso egli ha specificato che si trattava di casate recentemente inurbate dal contado o provenienti da altre città, ha dato notizia di eventuali rapporti con Ezzelino e ha sottolineato la recente acquisizione di un ruolo sociale di prestigio. Anche se in alcuni casi G. giunse a ritrovare nel passato mitico e remoto (ai tempi di Troia o del re Egidio) l'origine di alcune casate nobili, nella norma egli non soleva risalire per più di due generazioni. È stato notato che le conoscenze di G. sulla storia delle famiglie padovane sono puntuali solo per gli anni più recenti; diventano invece assai approssimative risalendo alla prima metà del XIII secolo. Quando gli mancava il riferimento del poema in versi dedicato alla storia delle famiglie cittadine, ora perduto, di Zambono di Andrea (che sembra essere stato meglio informato) oppure, per le sole casate principali, dei cronisti duecenteschi, G. ricorreva a tradizioni orali cui egli stesso a volte ammise di non prestare fede, oppure alle informazioni di cui giungeva in possesso grazie ai numerosi uffici ricoperti in qualità di giudice. Ogni capitolo del De generatione è chiuso dalla rapida descrizione dello stemma araldico della famiglia.
La divisione in quattro libri non è riproposta nel citato codice della Guarneriana e in un altro importante testimone trecentesco del De generatione, il manoscritto conservato a Padova, Museo civico, Fondo B.P. 1239. XXIX. Questi testimoni sembrano mostrare un legame più stretto tra l'opera genealogica e la Visio poiché in entrambi il De generatione inizia con le seguenti parole: "Incipit liber secundus De generatione […] Et primo de ipsorum moribus". La nota destinata all'elogio del "buon tempo antico", completa di incipit, che nel manoscritto ora al Seminario di Padova apriva il secondo libro dello scritto, svolge in questi codici la funzione di prologo e presenta il De generatione come la seconda parte del Liber ludi fortune. Che tale soluzione sia il frutto di un rimaneggiamento è dimostrato dal fatto che nei due manoscritti non è presente la divisione tra primo e secondo libro; quindi la materia legata in primo luogo alla vicenda ezzeliniana è immediatamente seguita dai capitoli dedicati alle famiglie padovane nobili, mentre rimane inalterato lo schema dei libri terzo e quarto che conservano anche le medesime intitolazioni presenti nel codice della Biblioteca del Seminario. Non è certo che questo rimaneggiamento sia dovuto a G.; è invece attestata la circolazione del De generatione poiché il codice guarneriano e quello del Museo civico di Padova non sono direttamente legati e nel manoscritto padovano manca persino il testo della Visio, segno che si tratta di una copia parziale (forse perché mutila) del Liber.
Le tre opere di G. riproducono lo schema consueto - momento delle origini, descrizione del sito e della popolazione - che ricorre nei trattati dedicati alla laus civitatis. Pertanto, anche se i toni ammirati con cui nella Visio è descritta la futura Padova contrastano con le parole quasi sempre critiche, spesso malevole e sovente pettegole che G. ha riservato ai suoi concittadini, non sembra condivisibile l'opinione espressa da Collodo (pp. LXVI s.) che la decisione di separare la descrizione del sito da quello della popolazione sia dovuta a una frattura tra "luogo-città" e abitanti dovuta alla crisi in cui verteva il Comune di Padova minacciato da Cangrande. Più semplicemente G. ha razionalizzato l'intera esposizione provandosi in soluzioni che si rifanno a diversi generi letterari: prima il romanzo, quindi la profezia e infine le cronache genealogiche. Infatti, nonostante l'aspetto anomalo rispetto alle caratteristiche della produzione storiografica bassomedievale, nella realtà padovana il De generatione non rappresenta un caso isolato: G. stesso ha affermato di essersi servito dell'opera di Zambono di Andrea.
Il disegno unitario che sta alla base dell'opera di G. si coglie anche nei medaglioni dedicati alle famiglie padovane che costituiscono buona parte De generatione, dove l'attenzione cade spesso sulla fortuna e ascesa di alcune casate e sulla decadenza di altre che erano state importanti: si ripropone così il ludus fortune cui G. aveva già fatto riferimento nel De aedificatione. G. infatti ha avuto cura di evidenziare la dinamica sociale che ha portato alcune famiglie in ombra e altre alla ribalta. Tale movimento si colloca nella periodizzazione della storia padovana già evidenziata; non mancano pertanto nel De generatione riferimenti ai rapporti delle casate cittadine con Ezzelino e, anche se in misura minore, con Cangrande. Ma la principale ragione dell'ascesa delle famiglie padovane, con il conseguente mutamento dell'ordine sociale, è individuata con chiarezza da G. nella pratica del prestito a usura che nella Visio era stata esplicitamente indicata come il peccato dei Padovani che Dio ha punito con Enrico VII e Cangrande. Viene così ribadito il giudizio negativo nei confronti della realtà padovana non solo per il tempo in cui G. scriveva, ma anche per il periodo precedente, cioè per gli anni seguenti la stagione ezzeliniana.
La Visio è edita in G. Fabris, La cronaca di Giovanni da Nono, in Id., Cronache e cronisti padovani, Padova 1977, pp. 35-168 (alle pp. 165-168 è pubblicato un compendio in volgare del XV sec.). Le altre opere sono invece ancora inedite.
Fonti e Bibl.: P. Rajna, Le origini delle famiglie padovane e gli eroi dei romanzi cavallereschi, in Romania, IV (1875), pp. 161-183; C. Marinelli, Padova nel Medio Evo secondo un'antica cronaca inedita. La cronaca di G. da N., Padova 1903; C. Gasparotto, Preistoria e toponomastica patavine nella visione di G. da N., in Memorie dell'Accademia patavina di scienze lettere e arti, LXX (1962-63), pp. 1-47; J.K. Hyde, Italian social chronicles in the Middle Ages, in Bulletin of the John Rylands Library, XLIX (1966-67), pp. 107-132; G. Fabris, Una guida di Padova del primo Trecento, in Id., Cronache e cronisti padovani, Padova 1977, pp. 397-444; Id., Il palazzo del podestà e quello degli anziani in una guida trecentesca di Padova, in Id., Scritti di arte e storia padovana, Padova 1977, pp. 23-36; Id., La leggenda di Egidio re di Padova, ibid., pp. 37-43; S. Bortolami, Famiglia e parentela nei secoli XII-XIII: due esempi di "memoria lunga" dal Veneto, in "Viridarium floridum". Studi di storia veneta offerti dagli allievi a Paolo Sambin, Padova 1984, pp. 118-157 e passim; J.K. Hyde, Padova nell'età di Dante. Storia sociale di una città-stato italiana, Trieste 1985, ad indicem; G. Cracco, Famiglie e Comuni nella Marca dei da Romano, in Istituzioni, società e potere nella Marca trevigiana e veronese (secoli XIII e XIV) sulle tracce di G.B. Verci, Roma 1988, p. 140; S. Collodo, Una società in trasformazione. Padova tra XI e XV secolo, Padova 1990, ad indicem; S. Bortolami, "Honor civitatis". Società comunale ed esperienze di governo signorile nella Padova ezzeliniana, in Nuovi studi ezzeliniani. Atti del Convegno internazionale: i da Romano…, Romano Ezzelino… 1989, a cura di G. Cracco, Roma 1992, pp. 115-160 e passim; G. Rippe, La logica della proscrizione: la "Pars" degli Estensi a Padova, ibid., pp. 241-265 e passim; J.S. Grubb, Libri privati e memoria familiare: esempi dal Veneto, in La memoria e la città. Scritture storiche tra Medioevo ed Età Moderna, Bologna 1995, pp. 66 s.; Rep. fontium hist. Medii Aevi, VI, pp. 375 s.