GIOVANNI da Rimini
Pittore riminese documentato dal 1292 al 1309.Il 22 marzo 1292 Iohannes pictor, a nome proprio e dei fratelli, pagava con tre paia di capponi il canone enfiteutico dell'anno in corso e dei due precedenti per un terreno di proprietà dell'ospedale di S. Lazzaro; il 26 dicembre dello stesso anno "Zagnonus pictor de contrata Sancti Iohannis Evangeliste", a evidenza la stessa persona, consegnava un altro paio di capponi per lo stesso terreno. Altri analoghi pagamenti sono registrati alle date 1295, 1299 e 1300, mentre nel 1338 il terreno risultava assegnato ad altra persona. Il 4 gennaio 1300 l'abate del monastero di S. Giuliano rinnovò una concessione a "magistro Iohanni pictori de contrata Sancti Iohannis Evangeliste civitatis Arimini" a nome suo "et fratrum [eius] Zangoli et Iuliani" (Delucca, 1992, pp. 48-52). Il nome del pittore compare poi su una croce conservata nella chiesa di S. Francesco a Mercatello sul Metauro (prov. Pesaro) insieme a una data, letta in passato 1345 ma da interpretare più verosimilmente come 1309 (o 1314): "Iohannes pictor fecit hoc opus / fr. Tobaldi m. MCCCVIIII [o MCCCXIIII]" (Campana, in Volpe, 1965). La nuova lettura della data consentì a Volpe (1965) di confermare la distinzione, già suggerita negli anni Trenta da Longhi (1973), tra questo G. e Giovanni Baronzio (documentato dal 1343 e già morto nel 1362) e di riferire all'autore della croce di Mercatello la documentazione tardoduecentesca in parte già nota agli eruditi riminesi (Tonini, 1880). Da scartare è invece la proposta (Corbara, 1971) di riferire a G. anche i documenti che parlano di un pittore di nome Zangolo, che gli era in realtà fratello e che è documentato ancora dal 1316 al 1336 (Delucca, 1992, pp. 78-80). Alcuni indizi contenuti in altre registrazioni consentono inoltre di suggerire che l'altro fratello citato nel documento del 4 gennaio 1300 fosse il pittore Giuliano da Rimini (v.), autore nel 1307 del dossale ora conservato a Boston (Isabella Stewart Gardner Mus.).Dopo la fondamentale distinzione effettuata da Longhi (1973), la critica, a opera dapprima di Brandi (La pittura riminese del Trecento, 1935) e poi soprattutto di Volpe (1965) e ancora di Boskovits (1988; 1992; 1993), ha raggruppato sotto il nome di questo artista un certo numero di dipinti ad affresco e su tavola che danno corpo alla fisionomia del primo grande artista della scuola riminese. Caduta l'ipotesi di una sua connessione con l'ambiente romano di Cavallini (Van Marle, 1924), il forte carattere giottesco della sua produzione sicura ha indotto a ipotizzare che la formazione di G. sia avvenuta a contatto con il caposcuola toscano forse ancora prima che questi operasse a Rimini, e dunque ad Assisi (Previtali, 19742). I perduti affreschi giotteschi in S. Francesco a Rimini (forse con Storie del santo), eseguiti pochi anni dopo il ciclo assisiate (Bellosi, 1985), dovettero risultare oltremodo importanti per G., che potrebbe avervi collaborato. Le Storie della Vergine nella cappella a cornu epistulae nella chiesa agostiniana di S. Giovanni Evangelista a Rimini (od. S. Agostino), attribuiti a G. per primo da Longhi, adottano l'inquadratura illusionistica utilizzata da Giotto nelle Storie di s. Francesco ad Assisi, con mensole su cui poggiano robuste colonne tortili; inoltre, da un'idea di Giotto analoga a quella utilizzata nella Guarigione del ferito di Lérida dipende la snella architettura in cui è ambientata la Presentazione al Tempio. Il debito giottesco è poi rivelato dalla massiccia volumetria delle figure, alleggerita però da una stesura liquida e da una cromia preziosa (ma lo stesso Giotto doveva essersi espresso a Rimini attraverso una pittura più morbida e fusa di quella adottata ad Assisi; Bellosi, 1985). Il dossale di Giuliano da Rimini di Boston, datato 1307, offre un prezioso termine ante quem per la datazione del ciclo mariano di G., visto che vi compaiono analoghe soluzioni a un minor livello qualitativo. D'altro canto le disposizioni contenute nel testamento steso il 28 aprile 1303 da tale Omizolo di Neri (Delucca, 1992, p. 22) circa l'arredo dell'altare della Vergine nella chiesa di S. Giovanni vanno forse riferite a questa cappella e, poiché non vi si dispone nulla circa gli affreschi, si può pensare che essi fossero già stati eseguiti (Benati, 1992). In tal modo, l'attività di G. viene ad attestarsi a date altrettanto precoci quanto quella del Maestro del 1302 nel battistero di Parma.Fitto di citazioni da Giotto assisiate (ma più probabilmente riminese) è il dittico con Storie di Cristo e santi ora diviso tra Roma (Gall. Naz. d'Arte Antica) e la collezione del duca di Northumbria (Alnwick, Castle): il tiranno in cattedra nella Disputa di s. Caterina deriva dalla Prova del fuoco di Assisi (Previtali, 19742, p. 25) e le Stimmate di s. Francesco sono esemplate sull'immagine più volte utilizzata da Giotto. Altrove G. rinnova dall'interno schemi bizantini, come nella preziosa anconetta di Faenza (Pinacoteca Com. d'Arte Antica e Moderna), dove la Madonna con il Bambino ripete il tipo della Glykofilúsa e i santi si dispongono frontalmente su un unico piano.Difficile appare invece la scansione delle croci ascritte a G. per confronto con quella di Mercatello: quella di S. Lorenzo a Talamello adotta i tabelloni rettangolari, ma, vista l'ingerenza mantenuta dalla committenza in tale ordine di scelte, ciò non è necessariamente da imputare alla dipendenza dalla croce giottesca di S. Maria Novella e dunque a una fase più precoce rispetto alla croce di Mercatello, i cui tabelloni sono polilobati come nella croce riminese di Giotto (Boskovits, 1992). Benati (1986) ha sostenuto la precedenza della croce già Coll. Diotallevi (Rimini, Pinacoteca Com. e Mus. Civ.) rispetto a quella di Mercatello: ai motivi già addotti si aggiungano la dipendenza letterale dalla croce malatestiana anche per la decorazione del fondo e, a quanto si può giudicare dal poco che resta del tabellone giottesco e dalla miniatura datata 1300 di Neri da Rimini che già ne dipende (Venezia, Fond. Cini), per la posa di s. Giovanni. Va ribadita inoltre l'identità stilistica con gli affreschi nella cappella della Vergine in S. Agostino (per la quale il citato testamento di Omizolo di Neri prescriveva tra l'altro "unam crucem que debeat stari fieri in medio dicti altaris continue"). La croce di Mercatello sembra meglio svolgere le premesse contenute negli affreschi in direzione di un sobrio naturalismo. Mal giudicabile è invece la croce del Mus. di Maastricht (già Utrecht, Mus. Arcivescovile), sagomata in epoca posteriore.Al secondo decennio del sec. 14° potrebbero spettare le opere già riunite sotto il nome convenzionale di Maestro dell'Arengo (ricondotte a G. da Boskovits, 1988): il Giudizio universale nell'arco trionfale di S. Giovanni Evangelista (trasportato nel palazzo dell'Arengo di Rimini e di qui alla Pinacoteca Com. e Mus. Civ.), dove la pennellata insegue un illusionismo epidermico più mutevole rispetto all'astrazione che improntava gli affreschi nella cappella alla base del campanile, e il trittico della Madonna con il Bambino tra i Ss. Giovanni Evangelista e Paolo (Venezia, Mus. Correr), per il quale è già stata ipotizzata una provenienza dalla stessa chiesa degli Agostiniani di Rimini (Volpe, 1965).L'attività di G. non si estese forse oltre la metà del secondo decennio: già nel 1316 il suo nome non era più associato a quello dei fratelli. La decorazione del coro di S. Giovanni, condotta forse in vista del solenne capitolo agostiniano ivi tenuto nel 1318 (Storie di s. Giovanni e di s. Agostino), denuncia inoltre il premere entro la cultura riminese di propensioni ormai diverse da quelle da lui promosse e spetta dunque a un artista più giovane (forse Zangolo). L'affresco con la Crocifissione in S. Marco a Jesi e il crocifisso di S. Francesco a Sassoferrato, ascritti a G. da Boskovits (1988), sembrano meglio confrontabili con l'opera di Giuliano da Rimini (Tambini, 1988; Bellosi, 1994).
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