GIOVANNI da Ronco
Le principali informazioni che possediamo su G. provengono dal Liber supra Stella, composto dal laico piacentino Salvo Burce nel 1235, per combattere le numerose sette ereticali radicatesi in area lombarda nel corso dei secoli XII e XIII. Egli afferma di avere conosciuto di persona - presumibilmente intorno al 1210 - G. il quale sarebbe stato nativo "de Roncho" (Ilarino da Milano, 1983, p. 352), località da identificarsi con Ronco di San Giorgio Piacentino, presso Piacenza; la notizia trova conferme nella Summa attribuita a Pietro Martire, nella quale G. è detto "de Runcharolo" e viene definito "Placentinus" (Kaeppeli, p. 333) e nel Tractatus de hereticis di Anselmo d'Alessandria. G. nacque verosimilmente verso la metà del secolo XII, giacché il Burce lo qualifica come "ancianus et […] idiota absque litteris", senza però fornire altri dati biografici più precisi (Ilarino da Milano, 1983, p. 339).
G. dovette dunque essere uno dei primi lombardi ad aderire al movimento fondato da Valdo e da questo strutturato durante il suo viaggio romano del 1179. La dichiarata ignoranza di G., se non ha carattere denigratorio, ne sottolinea la provenienza dalle classi popolari e borghesi dei Comuni, non appartenenti cioè al mondo cittadino delle scholae. Potrebbe però anche essere indicativa della natura essenzialmente evangelica del movimento ereticale, alieno dai dibattiti e dalle problematiche strettamente teologiche e fondato soprattutto sulla vita concreta di povertà e di predicazione.
La precoce adesione all'ala lombarda dei poveri di Lione spiega perché, quando i pauperesLombardi si separarono dagli ultramontani, "circa XXX annos" prima della composizione del Liber supra Stella (ibid., pp. 339 s.), cioè nel 1205, G. ne divenne immediatamente il capo. Le ragioni della scissione, che amareggiò Valdo, vanno innanzi tutto individuate in alcune divergenze dottrinali: la forte polemica contro la gerarchia cattolica e la rivendicata legittimità del lavoro e del matrimonio, che distinguevano i pauperesLombardi dai francesi; si radicavano d'altra parte nei rapporti amichevoli che i primi intrattenevano con altre sette ereticali diffuse nel territorio e nella tradizione patarinica cui essi furono sensibili. Influirono sulla decisione anche la considerevole diffusione del movimento italiano - dal quale nacque addirittura un ramo tedesco, i cui membri non a caso vennero chiamati "runcharii" - che stimolò il desiderio di autonomia e spinse a ricercare forme organizzative più istituzionalizzate rispetto al semplice riconoscimento dei comuni ideali, posto da Valdo alla base della sua fraternitas.
La radicalizzazione degli ideali portata avanti da G. provocò tuttavia una nuova scissione: infatti durante un'assemblea della setta, tenutasi nel Milanese tra il 1205 e il 1210, egli pretese di celebrare personalmente il sacrificio eucaristico, senza ricorrere a un sacerdote "ab Ecclesia Romana institutus", come avveniva nella prassi seguita dai lionesi. Ciò scandalizzò alcuni adepti, indicati dalle fonti come "illi de Prato" (Kaeppeli, p. 134), i quali si allontanarono dall'eresiarca. Essi vanno probabilmente identificati con quei valdesi che nel 1210 rientrarono nell'ortodossia, come ha proposto con valide argomentazioni G.G. Merlo.
Non disponiamo di indicazioni sicure sulla scomparsa di G., che dovette reggere il movimento ancora per alcuni anni.
Il suo nome non compare tuttavia nel Rescriptum del concilio di Bergamo del 1218, con il quale la "Società dei fratelli italici" informava il ramo tedesco del fallimento dei colloqui intercorsi con i poveri lionesi per giungere alla composizione dello scisma, e la morte di G. potrebbe ben essere stata occasione per tale tentativo di riconciliazione. Nel documento, però, viene sovente ricordato Valdo, il che permette altresì di ipotizzare la non coincidenza dei "fratelli italici" con tutti i pauperes Lombardi, dei quali essi sarebbero un'altra ala moderata, desiderosa di recuperare l'unione con gli ultramontani. In questo caso l'assenza del nome del piacentino non costituirebbe senz'altro un indizio della sua avvenuta scomparsa, che comunque non può essere esclusa, considerata l'assoluta assenza di notizie sul suo conto registrata nel secondo decennio del Duecento.
Fonti e Bibl.: T. Kaeppeli, Une Somme contre les hérétiques de saint Pierre Martyr (?), in Archivum fratrum praedicatorum, XVII (1947), pp. 134, 333 s. (edizione del prologo della Summa attribuita a Pietro Martire); A. Dondaine, La hiérarchie cathare en Italie, II, Le "Tractatus de hereticis" d'Anselme d'Alexandrie, ibid., XX (1950), pp. 234-324 (cap. 10.1); Rescriptum, in Quellen zur Geschichte der Waldenser, a cura di A. Patschovsky - K.W. Selge, Gütersloh 1973, pp. 20-43; Ilarino da Milano, Eresie medioevali. Scritti minori, Rimini 1983, pp. 254-268, 339 s., 352 (edizione parziale del Liber supra Stella di S. Burce); Id., L'eresia di Ugo Speroni nella confutazione del maestro Vacario. Testo inedito del secolo XII con studio storico e dottrinale, Città del Vaticano 1945, pp. 42-45, 58, 453 s.; G.G. Merlo, Valdesi e valdismi medievali, Torino 1984, pp. 12-15; A. Pesenti, Dal Comune alla signoria (1187-1316), in Diocesi di Bergamo, a cura di A. Caprioli - A. Rimoldi - L. Vaccaro, Brescia-Gazzada 1988, pp. 94, 119 n.; O. Capitani, Storia dell'Italia medievale, 410-1216, Roma-Bari 1988, p. 460; A. Frugoni, Arnaldo da Brescia nelle fonti del XII secolo, Torino 1989, p. 118; G.G. Merlo, Eretici ed eresie medievali, Bologna 1989, pp. 75 s.; Id., "Heresis Lumbardorum" e "filii Arnaldi": note su arnaldismo e arnaldisti, in Nuova Rivista storica, LXXVIII (1994), pp. 87-102.