GIOVANNI dal Ponte (Giovanni di Marco)
Nacque da Marco a Firenze nel 1385 come si evince dalle portate al Catasto che egli presentò nel 1427, nel 1430 e nel 1433 (Horne, Appendice…, pp. 169-171).
Secondo quanto sottolineato da Milanesi (1878) nella sua edizione delle Vite di Vasari, quest'ultimo, nella vita dedicata a "Giovanni dal Ponte", aveva riunito sotto questo unico nome personalità artistiche differenti, attive a Firenze tra il XIV e il XV secolo; tra questi pittori figurava anche l'autore degli affreschi della cappella degli Scali in S. Trinita, riconosciuto da Milanesi come quel Giovanni di Marco che "faceva bottega presso Santo Stefano a Ponte" (p. 633 n. 2). Nonostante tra il 1904 e il 1906, Toesca e Gamba fossero riusciti a delineare meglio la figura di G., nonché a formargli intorno un primo catalogo di opere, spettò a Venturi (1911) chiarire come "Giovanni dal Ponte" fosse l'appellativo di Giovanni di Marco, secondo quanto affermato in un documento del 1430. Chiarito il problema relativo al nome, copiosa appare la quantità di documenti riguardanti G. conservati presso gli archivi fiorentini nei quali G. appare nominato sia come "Giovanni dal Ponte" sia come "Giovanni di Marco"; ciò permette, insieme con le date apposte su alcune opere, di ricostruire la sua attività.
G. chiese di entrare a far parte dell'arte dei medici e degli speziali nel marzo del 1410 e pagò l'immatricolazione fino al 1413, anno in cui passò alla compagnia di S. Luca (Guidi, 1968). Dovette formarsi, già nei primissimi anni del XV secolo, secondo alcuni (Salmi; Salvini), direttamente nella bottega di Spinello Aretino, ma più probabilmente nell'ambito di quelle botteghe di tradizione ancora trecentesca che tuttavia, proprio aderendo al ruvido linguaggio di Spinello, cercavano di allontanarsi dall'accademismo ancora di matrice postgiottesca. Questo tipo di formazione è ben rilevabile nelle opere che la critica pone tra le prime del pittore: S. Giovanni Evangelista e S. Bartolomeo, riquadri aggiunti, nel 1407, per rendere rettangolare la pala di Giovanni del Biondo con Storie di s. Caterina (Firenze, Museo dell'Opera del duomo); la tavola con i Ss. Cosma e Damiano (Roma, già collezione Massimo) e gli sportelli di tabernacolo con La Resurrezione e La Crocifissione (già collezione Silbermann: Guidi, 1970).
Successivamente a queste opere, ciò che dovette maggiormente colpire G., la cui caratteristica fondamentale rimase quella di essere molto ricettivo, seppur con una certa superficialità, ai numerosi e importanti influssi che segnarono l'arte fiorentina nei primi decenni del Quattrocento, fu sicuramente l'arte di L. Ghiberti, al punto da far di recente supporre che egli possa aver fatto parte dalla sua bottega (Neri-Lusanna; Frosinini, 1990). Il legame con lo scultore fiorentino sembra confermato dal fatto piuttosto singolare che G., prima ancora della pittura di Lorenzo Monaco, con cui pure è in aperto debito, sembra addirittura citare alcune opere di Ghiberti: nei due sportelli del Museo civico di Arezzo con S. Giuliano e S. Giovanni, quest'ultimo appare strettamente imparentato con lo stesso santo eseguito dallo scultore intorno al 1414 per le nicchie esterne di Orsanmichele; oppure nei tre pannelli di predella di Bruxelles (Le stimmate di s. Francesco, l'Adorazione dei magi, un Miracolo di s. Antonio Abate: Musées royaux d'art et d'histoire) e più ancora nei due sportelli, uno con i Ss. Giovanni Battista e Antonio Abate (Cambridge, Fitzwilliam Museum), l'altro con l'Annunciazione (Firenze, collezione Bartolini Salimbeni), ricomposti da Guidi (1970); la scioltezza con cui è rappresentata quest'ultima, in particolare, non può non ricordare lo stesso modo di narrare di certe formelle della porta nord del battistero di Firenze.
Con questo gruppo di opere non si dovrebbero superare gli anni intorno alla metà del secondo decennio del secolo; inoltre a conferma della facilità di assorbimento di idee e stili diversi che caratterizza il lavoro di G., in esse già compare, un ulteriore apporto culturale che si può individuare in quella cadenza internazionale iberica dovuta a Gherardo di Jacopo, detto lo Starnina, al ritorno dalla Spagna e caratterizzata da una brillante vivacità e accuratezza descrittiva che proprio in questa chiave rimase una delle costanti della sua pittura.
Esiste un'opera che segna in maniera piuttosto netta, nell'arte di G., il passaggio dalla cultura ghibertiana a quella più decisamente pittorica di Lorenzo Monaco: si tratta del trittico, eseguito intorno al 1415, (ora New York, Columbia University Museum of art) con una Madonna tra santi e, nei laterali, S. Michele Arcangelo e S. Giorgio. L'impostazione generale e certe eleganti sinuosità delle figure, fanno pensare a opere quali la Madonna dell'Umiltà (Empoli, Museo della Collegiata) opera del 1404 di Lorenzo Monaco, letta però con un'accentuata vivacità che risalta in particolare nel bel S. Giorgio.
Un altro dipinto di G. raffigurante l'Incoronazione della Vergine (Chantilly, Musée Condé) sembrò a lungo fornire una precisa indicazione cronologica all'interno del suo percorso stilistico; la data posta sulla tavola, in realtà molto ridipinta, fu infatti a lungo letta come 1410, ma già Salvini sembrava convinto, come poi Guidi (1968), che l'opera fosse più tarda poiché reca troppi ricordi di celebri tavole di Lorenzo Monaco quali il Polittico di Monte Oliveto (Firenze, Galleria degli Uffizi), databile dopo la fine del primo decennio, e le due tavole con l'Incoronazione della Vergine, una a Firenze (ibid.), datata 1414, e l'altra a Londra (National Gallery), perché si potesse accreditare l'antica lettura della data. Inoltre G., se da Lorenzo riprende la scelta di colori trasparenti e cangianti, la resa per piccole zone di colore, per esempio nelle ali degli angeli, l'impostazione di certe figure, tuttavia proprio in queste ultime rivela una certa gravità plastica ancora legata al Ghiberti di Orsanmichele. La datazione dell'opera di Chantilly si deve quindi avvicinare molto a un'altra opera, sicuramente datata 1421, raffigurante lo Sposalizio mistico di s. Caterina (Budapest, Museo di belle arti), una delle migliori dell'artista.
In questo dipinto G. riesce ad amalgamare in perfetta fusione tutte le componenti della sua pittura: il largo impostare le figure di stampo ghibertiano, il colorire tenue e sfumato di Lorenzo, la vivezza che compare nel prezioso giardino e una certa commossa espressività dovute alla lezione dello Starnina, il tutto con una novità, si direbbe nordica, che proprio in quegli anni recava a Firenze Arcangelo di Cola da Camerino.
Tra il 1419 e il 1422, secondo una recente attribuzione (Faletti), G. dovette anche avviare un importante ciclo di affreschi nella cappella del Giudizio nel duomo di Pistoia. Non vi sono documenti relativi a questo lavoro, di cui resta la parte di un Giudizio Universale - nella fascia superiore le figure del Battista e di Elia e nella fascia mediana quelle di Pilato, Caifa, Anna, Nerone, Erode - tuttavia all'interno del ciclo gli apporti stilistici sembrano diversificarsi mentre la datazione potrebbe trovare nel probabile ritratto di Baldassarre Cossa (l'antipapa Giovanni XXIII deposto nel 1415), morto a Firenze nel 1419, un possibile termine post quem. Appare anche probabile che il pittore abbia interrotto i lavori, come ipotizza la Faletti, per poi riprenderli in anni successivi al 1424.
Un documento del 1422 (Horne, G. dal P., p. 333) attesta che il pittore a quella data era a Firenze dove ricevette il pagamento di 45 fiorini da parte di Ilarione Bardi - lo stesso per cui stava lavorando Arcangelo di Cola (Guidi, 1968) -, per aver eseguito due cassoni che Bardi donava alla propria figlia in occasione delle nozze con Bartolomeo d'Ugo Alessandri. I cassoni sono probabilmente quello raffigurante il Giardino d'amore (Parigi, Musée Jacquemart-André) e quello con le Arti liberali (Madrid, Museo del Prado) anche se certamente numerosi furono i cassoni usciti dalla bottega dell'artista.
In base ad alcuni documenti dell'arte della lana relativi al duomo di Firenze (Frosinini, 1990) si è potuto datare al 1422 il cenotafio dipinto ad affresco dedicato, in questo edificio, al cardinale Pietro Corsini.
Si tratta della più recente attribuzione a G.; un'opera, questa, che forse in virtù del luogo dove fu dipinta, riapre il dialogo pressoché esclusivo con l'arte di Ghiberti e con la sua particolare lettura dell'antichità classica. Sembrerebbe anche, stante la data, che questa fu la prima di una serie di committenze ricevute da G. nell'ambito dei lavori per il duomo.
Un documento del 1424 (Horne, G. dal P., p. 334) segna una battuta d'arresto nella carriera del pittore che venne incarcerato per morosità e restò in prigione per circa otto mesi. Alla ripresa dell'attività che da quel momento sembra in continuo crescendo, G. parve assimilare fatti pittorici nuovi, tra i quali spiccano le novità dell'arte di Masaccio, lette però attraverso la lente di Masolino da Panicale e di Beato Angelico. Una delle prime opere dipinte dopo il 1424 dovette essere il tabernacolo ligneo con l'Annunciazione da un lato e dall'altro i Ss. Giovanni Gualberto e Miniato nella chiesa di S. Miniato al Monte a Firenze; infatti, nella portata al Catasto del 1427 e nelle successive del 1430 e del 1433, compare come debitore di G. un certo Lodovico da S. Miniato per il quale era stata fatta un'opera, che però non viene descritta. Al 1429 risale un altro documento, connesso alla portata del 1427, in cui si richiede la risoluzione di un debito di un certo Cinozzo di Giovanni che doveva al pittore ben 24 fiorini (Guidi, 1968). Tale documento, insieme con le varie donazioni che G. e sua moglie fecero all'ospedale di S. Maria Nuova, e al testamento in cui l'artista si dichiarava "possidente" (Horne, G. dal P., pp. 333 s.), forniscono l'esatta misura del consolidarsi di una posizione economica ragguardevole.
Legati alla meditazione dell'arte di Masolino e Masaccio sembrano essere i due polittici ipoteticamente ricostruiti da Shell, databili intorno alla fine degli anni Venti: il primo è costituito dalla Madonna del Fitzwilliam Museum of art di Cambridge e dai due laterali con i Ss. Giovanni Battista ePietro e i Ss. Paolo e Francesco del Museo Bandini di Fiesole, dove, proprio in questi ultimi, la ricerca di un'ampiezza volumetrica, di una forte plasticità determinata dall'accentuato chiaroscuro, sembrano, in effetti, richiamarsi direttamente alla tavola con S. Paolo di Masaccio (Pisa, Museo nazionale e civico di S. Matteo). Il secondo è formato dalla Madonna del De Young Museum di San Francisco, e dai due laterali con immagini di santi conservati rispettivamente a Hannover (Niedersächsisches Landesmuseum) e a Filadelfia (Museum of fine arts).
In queste opere le medesime ricerche presenti nel tabernacolo di S. Miniato sembrano trovare sbocco in un certo decorativismo, nell'insistere di pesanti pieghe e profondità degli eleganti panneggi delle figure che sembrano colloquiare con i due santi dipinti da Masolino nella pala d'altare destinata alla basilica di S. Maria Maggiore a Roma, anch'essi conservati a Filadelfia. In queste opere compare ormai metabolizzata, tra gli altri apporti stilistici, la lettura dei primi lavori di Filippo Lippi, in particolare per un certo slargamento delle figure che già Salvini aveva notato.
Dal 1429 G. tenne bottega in società con Giovanni di Smeraldo con cui lavorò in seguito anche a S. Trinita, specializzandosi anche nella produzione di cassoni per la cui esecuzione ricevette dei pagamenti nel 1433 da Paolo e Giovannozzo Biliotti e da Zanobi Cortigiani (Gamba, 1904). Sempre nel 1433 fu pagato per la decorazione di una cappella, non identificabile, dipinta per un certo Quaratesi detto il Serpe (Milanesi, 1878, p. 633 n. 2).
Nei primi anni Trenta si collocano il Polittico di s. Giovanni Evangelista (Londra, National Gallery), dove la nuova ricerca plastica di G. si risolve e si semplifica nello studio di linee eleganti che avvolgono le figure, e tre grandi trittici che hanno per tema l'Annunciazione. Il primo in ordine di tempo sembrerebbe quello della badia di Poppiena che raffigura un'Annunciazione fra il Battista e la Maddalena, nel quale il pittore sperimenta soluzioni, per lui del tutto nuove, di architettura dipinta; verrebbe poi quello della badia di Rosano, commissionato dalla badessa Caterina da Castiglionchio e recante la data del 1434; da ultimo, datato 1435, sarebbe quello della Pinacoteca Vaticana.
Risale al 1430 anche l'inizio dell'attività di G. in S. Trinita; ricevette, infatti, in quest'anno, la commissione dei capitani di Orsanmichele per alcuni affreschi, perduti, nella cappella Dagomari, detta anche dell'Abbaco (Milanesi, 1878, p. 633 n. 2); nello stesso anno ebbe incarico di affrescare la cappella di S. Pietro sotto il patronato Ficozzi (poi Usimbardi). Di questo lavoro rimangono oggi pochi lacerti tra i quali si distingue un s. Pietro, fra due figure non più riconoscibili, in atto di rivolgersi verso l'alto dove, fra le nuvole, emerge l'immagine di Cristo fra alcuni santi. Vanno infine dal settembre 1434 all'ottobre 1435 i pagamenti a G. e a Smeraldo di Giovanni per gli affreschi con Storie di s. Bartolomeo nella cappella Scali. I pagamenti specificano anche che a G. andò il 65% del compenso, forse perché a Smeraldo toccarono solo parti decorative (Guidi, 1987).
A questo stesso periodo risale la predella degli Uffizi con Storie di s. Pietro equattro santi. Al 1434 è datata la tavola con la Madonna col Bambino fra i ss. Michele Arcangelo, Girolamo, Cecilia e Domitilla (Firenze, Museo di S. Marco), opera che, anche per la presenza di santi in parte romani, fece pensare a Guidi (1968) a una committenza legata alla cerchia pontificia, tenuto conto del fatto che papa Eugenio IV, fuggito da Roma, in quegli anni soggiornava a Firenze. E proprio alla presenza in città di Eugenio IV, e alla solenne consacrazione del duomo, è legata la committenza ricevuta nel 1435-36 da G., insieme con un gruppo di altri pittori, per l'esecuzione di alcune figure di santi; di mano di G. rimane solo un S. Matteo, nella quinta cappella della tribuna sinistra (La cattedrale…, 1995). Sempre per il duomo fiorentino e intorno agli stessi anni, secondo Neri-Lusanna, G. dovette eseguire dei cartoni per alcune delle vetrate.
L'ultimo documento relativo a G. è il testamento, datato 19 nov. 1437 (Horne, G. del P., pp. 333 s.), dal quale emerge come l'artista godesse di una notevole agiatezza economica. G. morì probabilmente poco dopo questa data.
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