DANDOLO, Giovanni
Nacque a Borgoricco (Padova) il 29 luglio 1861.
Fin dai primi studi fu amico fraterno di Luigi Friso, futuro rettore del collegio Ghislieri di Pavia ed esperto in questioni scolastiche; come lui, si iscrisse alla facoltà di filosofia e lettere dell'università di Padova, dove entrambi si entusiasmarono alle idee di R. Ardigò. Del fondatore del positivismo italiano, salito alla cattedra di storia della filosofia nel 1881, il D. apparve presto uno degli scolari migliori: G. Gentile lo ricordava accanto a G. Marchesini e a G. Tarozzi come "il più garbato scrittore della scuola", nonostante la diversità delle posizioni che si era venuta a creare fra loro e nei confronti del comune maestro.
Laureatosi in filosofia il 13 luglio 1883 e conseguendo, nello stesso giorno, l'abilitazione per lettere, storia e filosofia, il D. insegnò nei licei di Chieti, Reggio Emilia, Palermo e Padova. Il suo primo lavoro, Il concetto nella logica positiva, uscì nella Rivista di filosofia scientifica (IV [1885], pp. 129-55); e nello stesso periodico, fondato e diretto da E. Morselli, egli pubblicò anche un saggio che riprendeva l'argomento della tesi di laurea, La coscienza nel sonno. L'inconscio fisiologico e la psicologia dell'Io (ibid., VI [1887], pp. 722-41), poi pubblicato in volume con ampliamenti e revisioni (La coscienza nel sonno. Studio di psicologia, Padova 1889).
Parlare del sonno - lo stato in cui, secondo l'opinione comune dei filosofi, la coscienza subiva le più profonde modificazioni - gli parve un'occasione per esporre le principali idee psicologiche, che vedeva contrapporsi lungo l'antica contesa fra monismo e dualismo. Seguendo l'Ardigò, ribadì che il mondo psichico aveva specificità nella coscienza, cui si restringeva, perciò, il dominio della psicologia. Antecedente ristretto, eppure necessario, ne era l'inconscio, fenomeno non psichico, bensì fisiologico. Il D. cercò di precisare i rapporti fra le due sfere, tentando di scioglierne i residui dualistici, ed azzardò una definizione dell'io, in quanto "attualità psichica riferita alla potenzialità fisiologica".
A questo punto gli parve necessario affrontare il problema della memoria. Tra il 1890 e il '93 vi dedicò alcuni studi storico-critici, incominciando da La dottrina della memoria nel sensismo e nel materialismofrancese (Riv. di filos. scient., IX [1890], pp. 348-71), cui seguirono: La dottrina della memoria nella psicologia inglese da Francesco Bacone ai tempi nostri (Reggio Emilia 1891), La dottrina della memoria presso la scuola scozzese (Il Pensiero italiano, III [1893], 9, pp. 33-47, 157-69, 345-62); La dottrina della memoria in Cartesio, Malebranche e Spinoza (Riv. ital. di filos., VIII [1893], 1, pp. 289-320); La dottrina della memoria in Francia nel secolo XIX (Palermo 1893). Maggiore attenzione al concetto che gli interessava, trovò nel panorama britannico, dove prevaleva l'associazionismo. Non mancò di attingere al noto libro di Th. Ribot, La psychologie anglaise contemporaine (1872), e agli studi di L. Ferri su La psychologie de l'association (1883); ma si concentrò su quegli autori in cui la teoria sulla memoria aveva speciale rilevanza; concesse poco spazio a Berkeley e molti elogi a Hartley. Alle teorie di James Mill, il D. obbiettò che la funzione del ricordare non si esauriva nei processi associativi; al Bain rimproverò l'artificiosità del meccanicismo cerebrale, né tralasciò di criticare Spencer. Tutta la ricognizione storica pareva dunque concludersi in un bilancio negativo; rimanevano da fare ulteriori approfondimenti teorici. Il D. stimava che questi avrebbero giovato anche a riproporre la questione gnoseologica, su cui iniziò a esprimersi ne L'obietto della filosofia e la verità (Padova 1895), prelezione al corso libero di filosofia teoretica tenuto nell'ateneo padovano. Ad interessi di filosofia della matematica, egli si volse con una memoria Intorno al numero. Discussioni psicologiche (Padova 1896).
Dal principio di impenetrabilità psichica e fisica, fece scaturire l'idea del molteplice e dell'uno, non come numero ma come limite; essendo inalterabile, l'unità rimaneva contrassegnata dall'universale, assoluto e necessario.
Nel 1891, frattanto, aveva compilato un manuale, Appunti di filosofia ad uso dei licei (Padova 1891), articolato in tre parti - psicologia, logica e morale - ampliate successivamente in due (Padova 1899) e in tre volumi (Messina 1903). Conseguita la libera docenza, il 4 giugno 1894, il D. fu nominato straordinario di filosofia teoretica all'università di Messina, succedendo a F. Fisichella, che vi mantenne la cattedra di filosofia morale. Il 1º dicembre aprì il suo corso con la prelezione Intorno al problemapsicologico, pubblicata nel giornale di G. Marchesini (Rivista di filosofia, pedagogia e scienze affini, I [1900], 2, pp. 18-35), in cui proclamava di seguire un indirizzo positivo e critico.
Tra il 1898 e il 1900, tornò a riflettere sulla relativa autonomia del fatto psichico rispetto al fisiologico; insistette sull'aspetto creativo dell'attività mentale - non semplice riverbero di quella nervosa - che vide manifesto persino nel ricordo. Nella riproduzione dell'esperienza passata sottolineò l'intervento di un'energia mentale, superiore al recepire passivo della sensazione. In questa concezione l'influenza di F. Bonatelli, frequentato a Padova, contò forse più della lezione di Ardigò, nonostante la similarità terminologica con quest'ultimo. Con la categoria della "integrazione", il D. intendeva sciogliere il nodo dell'unità e della varietà psichica, in maniera alternativa all'associazionismo; ci provò sia ne Le integrazioni psichiche e la percezione esterna (Padova 1898), sia ne Le integrazioni psichiche e la volontà (ibid. 1900).
Quando agli inizi del secolo, dopo le illusioni scientiste, taluni proclamavano la "bancarotta della scienza", egli volle difendere la convinzione che la filosofia dovesse sempre tenersi aggiornata sui risultati delle indagini scientifiche, se non voleva vanificarsi. Nel volume La causa e la legge nell'interpretazione dell'universo (Padova 1901), il D. sostenne anche la possibile obiettività della scienza; non negò che essa procedesse attraverso formule mentali, ma di contro al convenzionalismo di E. Mach, credeva che la natura medesima rendesse legittima l'applicazione di leggi e regolarità enunciate con realismo determinista. Egli giudicava la scienza un effettivo strumento di conquista della mente sulla realtà, perché all'intelletto non compete assoluto arbitrio, né l'oggetto è omogeneo al soggetto.
Già socio corrispondente dell'Accademia di scienze, lettere ed arti di Padova, nel 1902 il D. entrò a far parte dell'Accademia Peloritana ed ebbe l'incarico delle conferenze di filosofia nella scuola di Magistero.
Quello stesso anno articolò il suo corso di filosofia teoretica in due parti; la prima prevedeva il ragionamento in generale, il sillogismo con discussione storico-critica sul suo valore, il metodo induttivo e lo sperimentale, l'analogia, l'ipotesi e il sofisma. La seconda parte delle lezioni comprendeva la classificazione delle scienze, con una trattazione sistematica, secondo l'oggetto e il metodo, dalle discipline matematiche alle fisico-naturali, fino alle scienze morali, concludendo con i diversi ruoli svolti dai metodi applicati alle suddette scienze.
Dopo un saggio su La forma di persistenza dell'esperienza psichica (in Rivista di filosofia, pedagogia e scienze affini, [1900], 2, pp. 18-35), dette alle stampe un libro sullo stesso argomento de La memoria. Discussione di una teoria generale (Messina 1903), cui intese riferire tutte le funzioni psichiche, secondo l'esempio di Hartley.
Cruciale era l'insistenza sulle disposizioni psicofisiche in quanto approssimazioni alla coscienza che superavano la soglia fisiologica. Nell'introduzione al volume promise di continuarlo con una ricerca, mai pubblicata, sulle leggi della memoria e dell'oblio, sul meccanismo del riconoscimento e della localizzazione temporale; avrebbe voluto determinare inoltre i rapporti fra memoria e identità dell'individuo, valendosi a tale proposito di osservazioni psicopatologiche.
Andava quindi precisando una duplice critica ai paradossi del materialismo e dell'idealismo, negli Studi di psicologia gnoseologica, apparsi nella Rivista di filosofia, pedagogia e scienze affini: Cenni introduttivi (VII [1905], 2, pp. 487-503), Senso e intelletto (VIII [1906], 1, pp. 189-213 e 336-69), La funzione gnoseologica della rappresentazione (IX [1907], 1, pp. 377-97; 2, pp. 490-524, 661-75). Anziché contrapporre reale a pensiero, suggerì di immaginarli in mutua costruzione l'uno dell'altro. Nel volume Intorno al valore della scienza (Padova 1907), negò che esso fosse solo "economico", ristretto cioè entro la cerchia degli interessi biologico-pratici. La polemica anticonvenzionalista e antipragmatista implicava in lui non soltanto una difesa del "vero"; si trattava anche di ribadire la reciproca relatività di soggetto e oggetto: nell'agire non si dava totale assorbimento del conoscere, né quest'ultimo si compiva su livelli esclusivamente soggettivi.
Il 16 luglio 1904 il D. aveva, ottenuto l'ordinariato, e il 1° dic. 1906 era stato eletto preside della sua facoltà, entrando così a far parte del Consiglio accademico. Su invito dell'Associazione magistrale di Messina, il 2 febbr. 1908 tenne un discorso Per Roberto Ardigò (Messina 1908).
Morì il 28 dic. 1908, insieme alla moglie Emma Meneghelli, nella sua casa di piazza Cairoli (dove abitava anche la famiglia Salvemini), distrutta dallo spaventoso terremoto di Messina.
Bibl.: Carte e libri posseduti dal D. pare siano andati perduti col terremoto. Un suo biglietto a R. Ardigò, datato 4 maggio 1903, si trova fra le carte di quest'ultimo acquistate dalla Biblioteca universitaria di Padova e sei lettere del D. a Bernardino Varisco sono conservate presso la Biblioteca Morcelli a Chiari (Brescia). Per l'elenco dei suoi scritti, cfr.: Dandolo, Giovanni, in Bibliogr. filos. ital. 1900-1950, Roma 1950, I, p. 345; IV, p. 186; Bibliografia filos. ital. 1850-1900, Roma 1969, p. 1661 G. Mucciarelli, La psicologia ital., Bologna 1982, pp. 361 s. Tra le recensioni ai suoi lavori, si ricordino quelle di: L. Ambrosi, in Riv. ital. di filos., VII (1892), 1, pp. 496-509; L. F[erri], ibid., IX (1894), 1, p. 140; F. Tocco, in Riv. d'Italia, III (1899), p. 347; A. Faggi, in Riv. filos., III (1901), 4, pp. 76 ss.; G. Marchesini, in Riv. di filos., pedag. e scienze affini, III (1901), 1, pp. 325-30; L. Friso, in Riv. filosofica, III (1901), 4, pp. 686-91. Qualche notizia si ricava dai necrologi: in Riv. filosofica, X (1908), II, pp. 708 ss.; in Riv. di filosofia, I (1909), pp. 150 ss.; vedi poi G. Marchesini, G. D. Discorso, Padova 1909; A. Fleres, Commemorazione dei soci morti nel disastro del 28 dic. 1908, in Atti della R. Acc. Peloritana, CLXXXIII-CLXXXIV (1909-1910), vol. XXIV, pp. 59-91, specie p. 81; L. Limentani, Il positivismo italiano, in Logos, VII (1924), pp. 1-38, Specie pp. 9 s.; Encicl. Italiana, Roma 1931, XII, ad vocem; G. Alliney, I pensatori della seconda metà del sec. XIX, Milano 1942, pp. 142 ss.; G. Gentile, Le origini della filosofia contemporanea in Italia, in Storia della filosofia ital., a cura di E. Garin, Firenze 1969, pp. 404-13; L. Geymonat, Storia del pensiero filosofico e scientifico, Milano 1970-76, V, p. 593; G. Morra, in Enciclopedia filosofica, Roma 1979, II, p. 694; la stessa in Diz. dei filosofi, del Centro studi filosofici di Gallarate, Firenze 1976, ad vocem.