BRAYDA, Giovanni de
Di nobile famiglia albese, nacque nella prima metà del sec. XIII da Oberto, soprannominato Battaglia; fu fratello di Pietro, famoso capitano al servizio degli Angioini. Pare che esercitasse la mercatura, come del resto altri membri della famiglia. Due documenti dell'agosto del 1256 attestano infatti la presenza a Genova di un Giovanni Brayda impegnato in operazioni finanziarie, che va identificato con il Brayda. Questa attività spiegherebbe in parte la provenienza della cospicua somma di circa tremilaseicento libbre che il B. più tardi, tra il 1263 e il 1264, presterà, insieme con i fratelli Francesco, Gugliermo e Pietro, al siniscalco angioino in Piemonte Pietro de Vins, ricevendo in pegno i castelli di Sant'Albano, Bene, Cornegliano e Monforte. Con il B. si deve identificare assai probabilmente anche quel "Iohannetus de Brayda" che il 24 ag. 1259 intervenne nel Consiglio generale del Comune di Cherasco. In perfetto accordo con la vicina Alba dominata dalla fazione dei Brayda, il Comune decise di offrire la signoria della città al conte di Provenza, Carlo d'Angiò. Il B. partecipò anche alla seduta dello stesso Consiglio generale di Cherasco tenuta il 10 dic. 1259 per ratificare i patti della dedizione al conte di Provenza.
Seguendo l'esempio di altri membri della sua famiglia, il B. si trasferì nel Regno di Sicilia, dopo che Carlo d'Angiò ne assunse la corona. Forse partecipò alla stessa spedizione angioina per la conquista del Regno; certo è solo che il 17 febbr. 1267, ad appena un anno di distanza dalla battaglia di Benevento, che consegnò il Regno di Sicilia nelle mani di Carlo d'Angiò, fu nominato capitano di Gaeta, carica che tenne però solo per pochi mesi. Dall'agosto del 1267 esercitò infatti le funzioni di giustiziere in Calabria. dove alla notizia dell'imminente discesa in Italia di Corradino di Hohenstaufen era divampata una vasta rivolta antiangioina. Nella sua veste di giustiziere, il B. diresse le operazioni militari contro i ribelli, finché il 20 febbr. 1268 fu sostituito da Ponce de Blanquefort.
Il 27 sett. 1269 il re gli affidò la carica di giustiziere di Terra d'Otranto, rimportante provincia sull'Adriatico che ospitava le basi angioine per le spedizioni in Oriente. Al B., come giustiziere della provincia, spettava anche il compito, attestato da numerosi mandati regi, di provvedere all'approvvigionamento della flotta. Non pare però che egli abbia svolto questo compito con. il necessario zelo. Si sa infatti che una flotta comandata da Gazone Echinard e destinata in Albania fu costretta, per mancanza di rifornimenti, a rimandare la partenza di parecchi mesi. Il B. fu pertanto sostituito il 12 marzo 1272 con Pandolfa Fasanella e messo sotto inchiesta. La inquisitio, condotta dal nobile Erberto d'Orléans, si concluse con l'incriminazione del B., che fu arrestato e rinchiuso nel castello di Brindisi, insieme con il suo sostituto Enrico de Manzano. Avvalendosi dell'appoggio di alcuni potenti feudatari, come Ruggiero Sanseverino, Fulco di Puyricard. e Roberto di Laveno, che garantirono per lui, poté ottenere la scarcerazione (il re la ordinò il 29 apr. 1272), dietro impegno di presentarsi entro la successiva festa di Pentecoste davanti alla Camera regia per rendere conto della sua amministrazione: si presentò il 24 maggio e dichiarò di non aver potuto sovvenire alle necessità della flotta per colpa del suo predecessore nella carica di giustiziere di Terra d'Otranto; questi infatti, secondo il B., non gli avrebbe consegnato i documenti necessari alla tassazione della provincia, impedendogli così di procedere alla riscossione delle somme dovute. La conclusione del procedimento a suo carico nell'autunno del 1272 comportò per il B. un debito verso la Camera regia della somma di duecentosessanta once d'oro, che egli tuttavia promise di restituire entro il gennaio del 1273.
La sua riabilitazione ad ogni modo fu completa; sappiamo infatti che nello stesso anno gli fu conferito il cingolo militare e fu nominato, il 30 nov. 1272, vicario angioino e podestà di Lucca. Il B. entrò in carica il 1º genn. 1271 succedendo a Pietro Visconti da Faenza. Nella carica di podestà, oltre a sovrintendere alla normale amministrazione del Comune, il B. ebbe il comando, nella primavera del 1273, di contingenti lucchesi nella guerra che il re di Sicilia conduceva contro Genova in Lunigiana.
Decaduto dalla carica il 31 dic. 1271, tornò nel Regno, dove ricevette poco dopo in feudo la terra e il castello di Bruzzano Vetere in Calabria. Non pare che negli anni successivi abbia ricoperto ancora cariche pubbliche.
Il B. morì nel settembre del 1279 senza lasciare figli. Nel 1272 il re Carlo d'Angiò si era adoperato presso i marchesi Corrado ed Enrico Del Carretto perché concedessero al B. la mano della loro sorella Margherita, ma, a quanto pare, il matrimonio non ebbe luogo. Il feudo di Bruzzano Vetere sarebbe dovuto passare in eredità al fratello del B., Pietro; ma, poiché la legge feudale vigente nel Regno vietava la successione in linea collaterale, il feudo ritornò alla Camera reale che lo passò ai marchesi di Busca, piemontesi anch'essi. Ancora all'inizio del secolo XIV Pietro tenterà inutilmente di recuperarlo alla sua famiglia.
Fonti e Bibl.: Documenti intorno alle relazioni fra Alba e Genova, a cura di A. Ferretto, Pinerolo 1906, n. 245 p. 211, n. 246 p. 212; Appendice documentaria al "Rigestum comunis Albe", a cura di F. Gabotto, Pinerolo 1912, n. CXXX p. 178, n. CXXXIV pp. 183-185; Actes et lettres de Charles Ier roi de Sicile concernant la France, a cura di A. de Boüard, Paris 1926, ad Indicem; Documenti delle relazioni tra Carlo I d'Angiò e la Toscana, a cura di S. Terlizzi, Firenze 1950, ad Indicem; I registri della cancelleria angioina, a cura di R. Filangieri, I-III, Napoli 1950-1951; V-XVI, ibid. 1953-1962; XVIII, ibid. 1964, ad Indices;A. Tallone, Tomaso I marchese di Saluzzo (1244-1296), Pinerolo 1916, ad Indicem;G. M. Monti, La dominazione angioina in Piemonte, Torino 1930, pp. 47, 324; P. de Brayda, G. de B. di Alba signore di Bruzzano Vetere in Calabria, in Boll. stor.-bibl. subalpino, XXIV (1932), pp. 55-86, 367-402; XXXV(1933), pp. 3-96.