DE MARINI (Marini, Marino), Giovanni (Giovanni Pio)
Nacque a Genova intorno al 1450. Della sua nascita, formazione, attività professionale e politica non si hanno notizie - ma certamente era dottore in utroque - finoal 1488, quando doveva già godere di fama e prestigio, poiché ebbe parte preminente nella grande ambaàceria inviata a Milano per consegnare Genova agli Sforza.
Il resoconto della coreografica accoglienza della ambasceria assume un tono solenne e commosso nei cronisti dell'epoca, specie nel Senarega. Alla presenza del principe, seduto su un'alta pedana, vestito di bianco, e di Ludovico il Moro, vestito d'oro, e circondati dagli ambasciatori degli altri Stati d'Italia, tra cui il celebre Ermolao Barbaro, il D. e Francesco Sofia pronunciarono le Orazioni ufficiali, cui rispose il dotto umanista Giovan Francesco Marliano. Quindi tutti gli ambasciatori prestarono giuramento su una preziosa Bibbia sorretta dal Moro, e il Sofia presentò lo scettro, il D. le insegne, Giovan Pietro Vivaldi le chiavi e Giovan Francesco Spinola il sigillo. Il Moro si impegnava a rinnovare tutte le concessioni e le franchigie concesse a suo tempo da Francesco Sforza al governo di Genova e al magistrato delle Compere di S. Giorgio. Col D. e coi singoli oratori il Moro ostentò sfarzosa liberalità, ricoprendo loro e i servitori di doni preziosi.
Quindi, per circa un decennio non si hanno notizie del D., fino alla documentazione di un secondo incarico diplomatico nel 1497: benché tale incarico appaia meno prestigioso del precedente, esso doveva richiedere maggiore abilità e autorità.
Il 9 agosto il D. ricevette infatti le istruzioni che lo inviavano in Provenza - senza altra specificazione - per ottenere la restituzione della "Promontoria", una grossa nave di 16.000 caritari di portata, che era stata catturata nella primavera da cinque barche francesi con azione di pirateria - vigendo in quel momento la tregua -, mentre trasportava frumento dalla Sicilia. Il D. non dovette riuscire in questo compito, poiché il problema della nave si protrarrà per anni e solo nel 1510 essa sarà restituita grazie all'intervento della flotta papale. Ma, con le stesse istruzioni, il D. ricevette un altro incarico: nel piano generale della Lega italiana, per infastidire la flotta francese d'appoggio a Carlo VIII, egli doveva indurre la flotta genovese di cinque navi, che era stata inviata per un'azione offensiva a Tolone, a desistere dalla protesta allora in atto. Infatti le cinque navi erano ormai all'isola di Gallinara pronte a tornare a Genova per protestare contro i mancati rifornimenti di vettovaglie e denaro. Il D. doveva assicurare il prossimo arrivo dell'uno e delle altre e ordinare il ritorno della flotta a Tolone.
L'impiego del D. in un tale incarico, come l'assenza del suo nome da tutte le lotte di fazione del periodo, conferma l'impressione di un corretto ed efficiente servitore della Repubblica senza vistose partigianerie, nonostante la sua appartenenza alla nobiltà vecchia. Così anche nel 1499, quando si trattò di inviare una nuova ambasceria a Milano, questa volta per consegnare la signoria di Genova al re di Francia Luigi XII, il D. ne era nuovamente alla guida nella sua qualità di giureconsulto, questa volta affiancato da Nicolò Oderico. Dopo essere stato eletto tra i Sapientes Comuni nel 1500 (carica che ricoprirà anche nel 1514), il D. venne nuovamente inviato a Milano quale oratore nel dicembre 1502, insieme ad Andrea Cicero, potente finanziere e mercante, perché perorasse la causa dei diritti economici genovesi danneggiati nel Savonese con il compiacente benestare delle autorità francesi. Mentre il Cicero tornò subito a Genova, il D. rimase a Milano fino all'aprile del 1504 in qualità di console. A tale proposito, come già avverte il Ciasca (I, p. 53), è da correggere l'indicazione del Vitale (p. 159) che indica il D. inviato in Spagna.
Quando nel 1505-06 scoppiò a Genova la rivolta antinobiliare e antifrancese delle cappette che culminò nell'elezione ducale di Paolo da Novi, il D., come i componenti della sua e delle altre famiglie nobili (i Cattaneo, i De Mari, i Doria, i Centurione), doveva essere fuori città; ma quando, repressa la rivolta, giustiziato Paolo da Novi, umiliata Genova dal prepotente ingresso di Luigi XII, i nobili ripresero preminenza e uffici, il D. fu subito utilizzato dal governo.
Il 2 giugno 1507 veniva nominato con Giovan Battista De Franchi di nuovo ambasciatore a Luigi XII a Milano, questa volta per protestare contro una serie di angherie di cui la città era vittima da parte delle autorità militari francesi e degli addetti alla costruzione della nuova fortezza di Capofaro. Inoltre dovevano chiedere la rimozione di Giovanni Doria dal governo di Albenga, che questi aveva ottenuto contro i privilegi della città stessa, e sopra tutto dovevano impegnare il re ad intervenire nella riapertura delle trattative col duca di Savoia per il commercio tra i due Stati, e il risarcimento ai mercanti genovesi danneggiati dalle sue precedenti rappresaglie. L'ambasceria partì il 4 giugno e fu ricevuta dal re il 22. Il D. e il De Franchi furono rassicurati su tutti i punti, tranne che sulla rimozione del Doria, giudicata dal re improponibile. Ma le autorità francesi a Genova continuarono in gran parte ad ignorare le formali promesse del re, certo non senza un suo tacito consenso. Con le lettere avute dal re circa la riapertura dei commerci in Savoia, il D. e il compagno si trasferirono ad Asti, per attendere istruzioni circa l'eventuale proseguimento del loro viaggio presso il duca di Savoia. Ma da Genova, il 13 giugno 1507, ricevettero l'ordine di attendere ad Asti Vincenzo Tarigo, eletto come inviato per quel compito: a lui il D. e il De Franchi avrebbero dovuto consegnare le lettere avute dal re.
Dopo l'arrivo del Tarigo, il De Franchi rientrò a Genova, e il D. ritornò invece a Milano, dove la sua presenza è accertata fino all'11 luglio 1507; poi nel gennaio 1508 e nel periodo tra l'aprile e il novembre 1509. La sua autorevolezza nella politica dei buoni rapporti con la Francia doveva essere grandissima, se, alla fine del giugno 1507, nelle istruzioni ai quattro ambasciatori al re di Spagna, in transito da Portovenere a Savona, il governatore e l'ufficio di Balia di S. Giorgio raccomandavano agli ambasciatori stessi di conferire col D., prima di incontrarsi col re di Spagna, per averne i necessari ragguagli sulle . modalità per la sospensione delle rappresaglie tra Genova e Spagna.
Negli anni tra il 1512 e '13, nel periodo cioè di declino delle fortune francesi in Italia e di governi anti e filofrancesi che a Genova si rovesciano l'un l'altro, il D. non compare sulla scena politica. Ma nel 1515, dopo la battaglia di Marignano e la rioccupazione francese di Milano, come oratore al nuovo re di Francia Francesco I è appunto nuovamente utilizzato il D., questa volta accompagnato da un esponente della parte popolare, Carlo De Fornari.
Il D. e il compagno sono a Milano il 16 ottobre, contemporaneamente agli otto ambasciatori inviati dalla Repubblica per giurare fedeltà al re, ma essi hanno un diverso, specifico incarico: devono trattare i rapporti tra nuovo governo francese, governo genovese e mercanti genovesi residenti a Milano circa una somma di 500 ducati, che, in qualità di garanzia, questi ultimi dovrebbero versare alle autorità francesi. L'operazione dovette comportare parecchie difficoltà, al punto che, ad un certo momento delle trattative, con lettera da Milano del 27 giugno 1516, il D., insieme con Filippo Doria e Vincenzo Gambaro, autodefinitisi "mercanti e vostri cittadini ... detenuti in Palazzo ducale per mandato dei Deputati sopra il prestito" (Archivio di Stato di Genova, Litter. fil. 1959), chiesero al Senato di Genova di intervenire immediatamente in solido.
Benché la corrispondenza da Milano degli anni successivi sia sotto il nome del solo De Fornari, alcune lettere tra l'ottobre 1518 e il marzo 1519 sono firmate anche dal D.: e questo pone il problema di seguirne i movimenti e di metterne a fuoco l'identificazione, visto che negli stessi anni agisce a Lione una ditta di cambio intestata ai fratelli Giovanni e Tomaso De Marini.
Le possibilità sono due: che si tratti di un omonimo del D., oppure che il D. abbia spostato la propria attività dal campo prevalentemente giuridico-politico a quello finanziario, il che sarebbe coerente col comportamento della classe dirigente genovese del periodo. Del resto le date delle procure affidate dal D. ad altri o da altri al D. (il 10 nov. '516 a lui da Taddeo Spinola, Francesco Pallavicini, Gerolamo Gentile e Gerolamo Grimaldi; il 17 maggio 1518 da lui ad Ansaldo Grimaldi e Francesco Sauli; il 19 genn. 1521 a lui da Giovanni Brignole per recuperare a Lione una grossa somma in scudi d'oro presso Rolino Ihossono, mercante lionese) non sono in contrasto con la sua missione a Milano: anzi trovano conferma dall'assenza della sua firma nella corrispondenza dei periodi coincidenti coi suoi viaggi d'affari.
Tale attività continua, anzi, sembra intensificarsi durante la guerra franco-imperiale, quando la banca del D. e del fratello consente soprattutto ad esponenti delle famiglie Spinola e Sauli, e a volte in società con essi, movimenti di denaro tra la Milano di Carlo V, Lione e Genova, talvolta chiamando in causa, a titolo di garanzia, corrispondenti numeri di luoghi di S. Giorgio. Nell'ultimo documento del 16 marzo 1529 (un giudizio pronunciato contro il mandatario dei marchese del Monferrato, reo di non aver pagato 4.184 lire) compare solo il fratello del D., Tomaso, in società con Ambrogio Spinola e Nicola Sauli. Anche in questo caso le ipotesi sono due: o quella, più probabile, che il D. a quella data sia ormai morto, o che possa essersi trasferito altrove per fondare altre filiali, magari in quella Inghilterra in cui la famiglia De Marini stava facendo enorme fortuna a Southampton, commerciando allume, cotone, seta, velluti. Se questo finanziere è identificabile col D., possiamo definirne anche la paternità: infatti al Libro d'oro della nobiltà inaugurato dalla riforma legislativa del 1528, figurano iscritti un Giovanni e Tomaso figli del fu Luchino. Quindi la sua morte cadrebbe tra il 1528 e il 1529.
Bibl.: Archivio di Stato di Genova, Mss.494, c. 65; Genova, Civica Biblioteca Berio, m.r. X. 2. 168: L. Della Cella, Famiglie di Genova, c. 916;B. Senarega, De rebus Genuensibus commentaria, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XXIV, 8, a cura di E. Pandiani, ad Indicem; Istruzioni e relaz. degli ambasciatori genovesi, a cura di R. Ciasca, Roma 1951, I, pp. 53, 67; A. Giustiniani, Annali della Repubblica di Genova, Genova 1854, II, p. 553;G. Calligaris, Carlo di Savoia e i torbidi genovesi del 1506-07, in Atti d. Soc. lig. di st. patria, XXIII (1890), pp.667-670;L. G. Pelissier, Documents pour l'histoire de l'établissement de la domination française a Gênes, ibid., XXIV (1891), pp.460 ss.; E. Pandiani, Un anno di storia genovese (1506-07), ibid., XXXVII (1905), pp. 282-286; V.Vitale, Diplomatici e consoli della Repubblica di Genova, ibid., LXIII (1934), pp. 132 s., 135, 137, 159;D. Gioffré, Gênes et les foires de change, Paris 1960, docc. 21, 317, 359, 427, 430, 465, 541, 583.