MEDICI, Giovanni de'
Secondogenito di Cosimo il Vecchio e di Contessina Bardi, nacque il 3 giugno 1421 a Firenze nella casa vecchia dei Medici in via Larga. La sua vita si svolse tutta all’ombra del padre. Già nel settembre del 1433 lo dovette seguire nell’esilio a Venezia, da dove tornò a Firenze un anno dopo, quando Cosimo fu richiamato in patria.
Destinato dal padre sin dall’infanzia ad affiancarlo nella gestione del vasto impero finanziario e commerciale dei Medici, nel 1426, all’età di cinque anni, il M. fu ascritto all’arte del cambio e nel 1435 anche a quella della lana. Una bottega di lana a nome del M. e compagni è attestata già nel 1438. Tra il marzo e il luglio 1438 si trovava a Ferrara per fare pratica nel banco aperto da Cosimo in occasione del concilio ivi riunito.
Alcune lettere indirizzate al M. durante questa sua assenza da Firenze tracciano un vivido profilo del giovane, nient’affatto entusiasta di badare agli affari. Quando il M. si dichiarò stufo del soggiorno a Ferrara, la madre lo esortò a considerare che gli si offriva la possibilità di imparare qualcosa, ma il M. recalcitrava. Dal suo precettore Giovanni Cafferecci, un cliente e factotum di Cosimo de’ Medici, il M. ricevette una vera e propria lavata di testa: doveva stare a bottega per imparare bene il mestiere, perché non poteva fare niente di più utile per soddisfare il padre, e come cattivo esempio gli indicava i figli di Vieri de’ Medici, che non avevano fatto pratica e perciò si erano rovinati economicamente. Il malumore del M. era dettato anche dalla gelosia nei confronti del fratello Piero, al quale Cosimo aveva assegnato invece compiti di rappresentanza che gli permettevano di frequentare gli ambienti della Curia e di disporre di denaro. A questo proposito Cafferecci cercò di consolare il M. con la considerazione che da grande anche lui avrebbe potuto spendere i soldi a suo piacimento, e tanto meglio del fratello, perché aveva imparato a guadagnarli.
L’istruzione del M. non era tuttavia limitata al lato pratico: egli ricevette, come il fratello Piero, un’ottima educazione umanistica che lo interessò molto più dell’apprendistato al banco. Secondo Andrea Alamanni, autore di un elogio scritto in occasione della sua morte (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut., 54.10: Collectiones Cosmianae, cc. 86-87), egli da piccolo non avrebbe desiderato altro che sentire quotidianamente dal suo precettore i poeti e gli oratori latini in modo da acquisire un’ottima conoscenza della lingua latina. Più tardi avrebbe anche seguito le lezioni di Carlo Marsuppini nello Studio. Come suo insegnante di latino è ricordato l’umanista Antonio Pacini, che lo esortò a dedicarsi con zelo alla lettura dei testi antichi per poter eguagliare, se non superare, il padre in questo campo. Certo è che il M. rimase per tutta la vita affascinato dal mondo antico. Arricchì la propria biblioteca di codici con i testi classici, comprati direttamente o fatti copiare da famosi copisti come Vespasiano da Bisticci e Gherardo del Ciriagio. Era sempre alla ricerca di oggetti antichi come marmi e medaglie, che acquistava in grande quantità a Roma con l’aiuto del personale del banco e del fratellastro Carlo, protonotario alla Curia pontificia. Intrattenne rapporti amichevoli con molti dotti come Donato Acciaiuoli, Giannozzo Manetti e Alamanno Rinuccini. A lui si rivolsero anche vari umanisti in cerca di cariche e benefici. Per suo intervento nel 1446 Francesco da Castiglione ottenne la cattedra di greco nello Studio fiorentino e quando Francesco Filelfo volle riconciliarsi con Cosimo de’ Medici per poter tornare a insegnare nello Studio, scrisse prima al Medici. Anche il giovanissimo Marsilio Ficino scrisse a lui dalla nativa Figline per offrire i suoi servizi.
Contrariamente alle affermazioni di Alamanni, però, il M. non rinunciò ai piaceri e alle distrazioni della gioventù. Condusse una vita spensierata e allegra, non priva di eccessi nel mangiare e nel bere, come lasciano pensare certi inviti alla moderazione che gli furono rivolti. Amava circondarsi di poeti e musicisti per allietare le sue feste e i lunghi soggiorni nei bagni, soprattutto a Petriolo, presso Siena, dove si recava quasi ogni anno già negli anni Quaranta per curare i suoi malanni. Scambiava versi (forse anche i propri, ma non sono conservati) con amici poeti come Rossello Rosselli, canonico aretino, e li fece musicare da Antonio Squarcialupi, organista del duomo e insegnante di musica in casa Medici. Egli stesso possedeva molti strumenti musicali che sapeva suonare con perizia. Il suo grande amore per la musica era noto anche a Guillaume Dufay, il famoso compositore fiammingo, che nel 1455 mandò a lui e al fratello Piero alcune canzoni su testi francesi. Poeti come il Burchiello (Domenico di Giovanni), che chiamò a fargli compagnia a Petriolo, e Francesco d’Altobianco Alberti scrivevano poesie per lui; Feo Belcari gli dedicò la Sacra rappresentazione di Abraam e di Isaac suo figliuolo messa in scena nel 1449. Lo stile di vita del M. anticipa quello del nipote, Lorenzo il Magnifico. Come lui anche il M. partecipò a un torneo, svoltosi durante il carnevale del 1447, nel quale un giostrante da lui mandato in campo vinse il primo premio. L’organizzazione di feste era una sua specialità: fu tra i «festaiuoli» nominati dal governo per preparare la grande festa dei Magi del 6 genn. 1447, particolarmente cara ai Medici, e quando nel 1459 il giovane Galeazzo Maria, figlio del duca di Milano Francesco Sforza, fu ospite dei Medici a Firenze, il M. si occupò delle cerimonie e dei divertimenti in onore del principe.
Seppure in seconda fila, il M. svolse anche un certo ruolo politico, sempre di supporto a quello del padre. Nell’ottobre del 1441 fu mandato da lui a Cremona per assistere al matrimonio di Francesco Sforza con Bianca Maria Visconti, grazie al quale il condottiero alcuni anni più tardi sarebbe salito sul trono ducale di Milano. Nel febbraio del 1445 il M. si recò a Roma, dove rimase fino a maggio, per conoscere dall’interno la locale filiale del banco dei Medici. Non ne era però troppo contento; rimpiangeva la bella vita di Firenze e, per evadere, fece anche un viaggio all’Aquila e a Napoli. All’inizio del 1450 fu di nuovo a Roma, in pellegrinaggio per l’anno santo, ma non soltanto per raccogliere indulgenze. Per incarico del padre condusse infatti con Niccolò V trattative relative alla posizione di Francesco Sforza, sostenuto e finanziato da Cosimo, che si accingeva a conquistare Milano. Un’altra questione era la concessione di qualche beneficio al fratellastro Carlo.
Raggiunti i trent’anni, il M. decise di sposarsi e dire addio all’allegra vita di scapolo. L’accordo per il suo matrimonio con Ginevra Alessandri fu concluso nel dicembre 1451 e festeggiato con un ballo nella piazza di S. Piero Maggiore. Le nozze ebbero luogo il 14 maggio dell’anno successivo. Da questo matrimonio nacque, probabilmente nel 1454, l’unico figlio del M., che ricevette il nome del nonno, Cosimo detto Cosimino, che morì già il 17 o 18 nov. 1459, lasciando il M. nella disperazione. La morte del fanciullo suscitò grande commozione, come risulta dalle molte lettere di condoglianze indirizzate al Medici. La corte di Milano si dichiarò particolarmente toccata, perché il giovane Galeazzo Maria Sforza aveva conosciuto personalmente il bambino pochi mesi prima durante il suo soggiorno in casa Medici, dove il piccolo aveva recitato davanti a lui un’orazione in latino. Federico da Montefeltro, conte di Urbino e vecchio amico del M., gli scrisse di propria mano una lettera di consolazione.
Con l’età adulta erano cresciuti anche gli impegni del Medici. Nei mesi di gennaio e febbraio 1454 fece parte per la prima e ultima volta della Signoria come priore. Nel 1455 il suo nome fu inserito nella borsa elettorale per il gonfalonierato, ma non ricoprì mai la carica. Tuttavia fu spesso presente nelle pratiche, le riunioni dei cittadini eminenti chiamati dal governo per sentire il loro consiglio, come in quella riunita tra il 31 agosto e il 1° sett. 1458 per discutere la convocazione di un parlamento e l’istituzione di una Balia, dopo che le riforme istituzionali proposte per rafforzare il regime dei Medici erano state bocciate dai consigli. Il M. vi tenne un atteggiamento moderato e consigliò di tentare ancora le vie ordinarie. Ma il governo decise per il parlamento che acconsentì all’istituzione della Balia, della quale il M. fece parte come ex priore.
Nel 1455 egli svolse alcune missioni, pubbliche e private, che lo portarono fuori Firenze. Tra maggio e giugno fece parte dell’ambasceria fiorentina, capeggiata dall’arcivescovo Antonino Pierozzi, mandata a Roma per congratularsi con papa Callisto III per la sua elezione.
La richiesta di un cappello cardinalizio per Pierozzi non ebbe successo, la qual cosa, secondo un aneddoto tramandato dal Poliziano (Angelo Ambrogini), avrebbe fatto dire al M.: «Io andavo a Roma per un cappello e honne recato la mitera», cioè la vergogna dell’insuccesso (n. 71, p. 55).
Il soggiorno a Roma riaccese il suo interesse per le cose antiche. In quel periodo si procurò, per vie non del tutto lecite, un’antica testa di marmo di una certa dimensione, il cui trasporto a Firenze provocò non poche difficoltà. Appena tornato si recò a Milano. Nell’agosto 1455 Francesco Sforza donò a Cosimo un terreno con alcune costruzioni, sul quale doveva sorgere la sede della filiale del banco che Cosimo aveva aperto nel 1452 a Milano per espresso desiderio del duca. È quindi probabile che il M. abbia intrapreso il viaggio soprattutto per discutere di questo progetto. Il 20 sett. 1455, dopo il suo ritorno a Firenze, Cosimo de’ Medici ringraziò calorosamente il duca per l’accoglienza riservata al figlio e per la casa concessagli. È da pensare quindi che la costruzione e l’arredamento della lussuosa sede, progettata da Michelozzo, l’architetto fidato di Cosimo, fossero stati realizzati sotto l’attenta supervisione del M., il quale consigliò il duca anche nella progettazione del grande ospedale che questi intendeva costruire a Milano. Sempre in settembre la Signoria inviò il M. a Porto Pisano per incontrarvi il cardinale legato di Avignone Pierre de Foix e discutere con lui la questione della crociata contro i Turchi voluta dal papa. Il cardinale avrebbe dovuto portare su una delle sue galere la testa antica acquistata dal M. a Roma, ma la spedizione era stata vietata dai Conservatori dell’Urbe. In quello stesso periodo Cosimo affidò al M. la direzione del banco, dopo la morte, avvenuta nel luglio, di Giovanni Benci, direttore generale dal 1443. Queste nuove responsabilità allontanarono il M. sempre di più dalla vita politica attiva, alla quale negli anni seguenti partecipò solo raramente e in modo informale.
Al momento del matrimonio del M. con Ginevra Alessandri, il nuovo grande palazzo che Cosimo stava costruendo per sé e i suoi figli non era ancora finito; i Medici vi si trasferirono soltanto verso il 1457. Al M. e alla sua famiglia era destinato un appartamento al primo piano, al cui arredamento egli si dedicò senza badare a spese. Già nel 1453 ordinò a Lille sei grandi tappezzerie con la rappresentazione dei Trionfi di F. Petrarca e nel 1459 alla stessa bottega altri arazzi, per la sua camera, con sette figure in trono, che durante il trasporto in Italia furono rubati nel porto di Londra. Due grandi spalliere erano state lavorate per lui a Bruges. Nel 1453 ordinò, probabilmente a Desiderio da Settignano, anche per il suo studiolo una serie di dodici teste di imperatori. Nello stesso periodo fece scolpire da Mino da Fiesole, come fece anche il fratello Piero, il proprio busto di marmo per collocarlo nel suo appartamento. Ma mentre Piero si fece rappresentare con la veste del cittadino fiorentino, il M. preferì mostrarsi con un’armatura all’antica. L’opera più splendida per il suo appartamento fu invece uno «scrittoio» di marmo commissionato a Donatello. Non è conservato, ma forse si trattava di un rivestimento del proprio studiolo ornato di bassorilievi. Insieme con il fratello, il M. si occupò anche degli altri arredi del palazzo. Il trittico che nel 1457 commissionò a Filippo Lippi con indicazioni precise non era invece destinato alla casa, ma era un dono per il re di Napoli, Alfonso V d’Aragona. Lippi fu chiamato un’altra volta per dipingere la tavola d’altare della piccola cappella del palazzo, affrescata nel 1459 da Benozzo di Lese (Gozzoli). Su questi affreschi il M. compare nella prima fila al seguito dei re magi, tra il padre e il fratello Piero, ma leggermente spostato indietro e significativamente con foggia anticheggiante.
L’espressione più genuina del gusto e delle aspirazioni culturali del M. fu certamente la grande villa che egli si fece costruire alle falde della collina di Fiesole su progetto di Michelozzo e con la collaborazione di esperti ingegneri come Antonio Manetti e Lorenzo da Frediano, chiamati per risolvere i problemi posti dal terreno scosceso. I lavori dovettero cominciare nel 1453, quando l’agente a Roma, Bartolomeo Serragli, suggerì al M. di inserire nei muri frammenti e sculture antiche. Nel corso di quattro o cinque anni l’edificio di due piani, i giardini posti su tre terrazze degradanti e i fabbricati di servizio in basso con le stalle, le cucine e gli alloggi per la servitù, erano completati. Tra le sale della villa alcune erano destinate alla biblioteca e alla musica. Quanto all’arredamento, è noto che nell’ottobre del 1455 Donatello gli fornì due Madonne. È stato suggerito anche che lo scrittoio da lui eseguito fosse in verità destinato alla villa di Fiesole. Particolare cura fu riservata dal M. al giardino, per il quale fece venire appositamente da Napoli melograni, limoni, melaranci e altre piante. Si trattava di un luogo di piacere, molto diverso dalle altre ville medicee nate come centri di aziende agricole. È significativa l’osservazione che Cosimo avrebbe fatto, non senza una punta di disaccordo, a proposito di questa villa. Secondo lui la loro villa di Cafaggiolo nel Mugello «vedeva meglio che quella di Fiesole, perché ciò che quella vedeva era loro, il che di Fiesole non avveniva» (Poliziano, n. 3, p. 44).
Il 25 sett. 1463 il M. cadde gravemente malato. Egli stesso lo comunicò il giorno successivo a Francesco Sforza. Aveva avuto un colpo che per un’ora lo aveva lasciato «morto». Chiese al duca con parole drammatiche di mandargli il suo medico personale. «Il mio male», gli scrisse, «è di natura, che otto dì che stia meco, mi ridurrà a termine» (Magnani, n. 34, p. XXV). Le arti di maestro Benedetto da Norcia (Reguardati), accorso da Milano, non riuscirono però a salvare il malato.
Il M. morì il 1° nov. 1463 a Firenze nel nuovo palazzo dei Medici in via Larga. Il 5 novembre Cosimo de’ Medici comunicò personalmente la notizia a Francesco Sforza, ringraziandolo per l’invio del medico.
La morte del figlio prediletto fu un grave colpo per il vecchio Cosimo, che aveva riposto in lui molte speranze, vista la precaria salute di Piero. N. Machiavelli racconta che dopo la morte del M. si faceva portare in giro nel palazzo «sospirando: Questa è troppa gran casa a sì poca famiglia» (p. 463). Il M. fu sepolto con una cerimonia semplice, come volle Cosimo, nella sagrestia vecchia di S. Lorenzo, la cappella sepolcrale dei Medici. Nel 1472 il suo corpo fu posto, accanto a quello del fratello Piero, nel sepolcro sontuoso, opera di Andrea di Michele (Andrea del Verrocchio), che i suoi nipoti Lorenzo e Giuliano avevano commissionato per lui e per il loro padre. Gli elogi funebri, in latino e in volgare, non si contavano e moltissime furono le lettere di condoglianze che da tutta l’Italia arrivarono a Cosimo.
Il M. non aveva fatto testamento, anche perché non era stato mai «emancipato». Ma aveva lasciato ultime volontà che riguardavano le sue proprietà personali acquistate nella Maremma pisana e nella zona di Fucecchio. Le lasciò all’arte del cambio con la clausola di istituire doti per ragazze povere. La sua vedova continuò a vivere nel palazzo di via Larga almeno fino al 1471, quando fece testamento.
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I. Walter