DE TORRES, Giovanni
Discendente da nobile famiglia di origine spagnola, nacque a Roma nel 1618 da Ludovico che "pigliò moglie una sorella de Maria Cenci" (Caffarelli, f. 166). Studiò a Perugia e a Bologna laureandosi in utroque iure. Tornato a Roma, fu primicerio di S. Rocco e, dal 1630, referendario delle due Segnature. Dapprima vicario dello zio paterno, cardinale Cosimo, arcivescovo di Monreale, il D. amministrò la diocesi dal 1639, quando Cosimo, malato, dovette tornare a Roma.
Il 30 genn. 1645 il D. fu creato arcivescovo di Adrianopoli e il 16 febbraio dello stesso anno ebbe l'incarico di nunzio apostolico in Polonia (gia lo zio Cosimo era stato nunzio in Polonia nel 1621-22). Imbarcatosi ad Ancona il 28 maggio, giunse a Vienna il 23 giugno. In questa città il D. si trattenne a lungo; si incontrò con l'imperatore, con vari membri della corte, col vescovo di Cracovia che ritornava in patria e con l'ambasciatore veneto G. Tiepolo diretto anch'egli in Polonia. Partì da Vienna il 6 agosto, giungendo a Varsavia il 15 settembre. Il primo incontro col re Ladislao IV avvenne però solo il 23 ottobre.
Da più di due anni in Polonia non c'era un nunzio apostolico. Dall'inizio del 1645 il re insisteva con Roma perché fosse inviato un rappresentante. Pensando a una prossima guerra contro i Turchi, il re mirava soprattutto alla possibilità di procurarsi l'appoggio del papa; per questa ragione era stato anche inviato in Italia il vescovo di Cracovia. In una prospettiva diversa, invece, si vedeva a Roma l'incarico del De Torres. Rispetto alla politica orientale, infatti, Roma non aveva intenzione di andare più in là di un semplice benestare per un eventuale attacco diversivo dei Cosacchi sul Mar Nero, promosso dal re di Polonia. Oltre a ristabilire un controllo e contatti più stretti con la Chiesa polacca, l'attenzione del nunzio doveva essere rivolta alle possibilità, ultimamente balenate, della riunificazione di parte degli ortodossi dell'Ucraina con Roma. Da tempo provenivano segnali favorevoli da parte di alcuni vescovi, ed erano state anche avviate trattative tra il vescovo M. Terleckyj e il metropolita di Kiev, P. Mohyla. Il D. doveva controllare questo processo di riavvicinamento e cercare di favorirne la soluzione. Tali progetti però fallirono; l'idea di un sinodo comune non approdò a nulla, anche perché i rapporti dello Stato polacco con le popolazioni russo-ortodosse (perlopiù Cosacchi) si fecero sempre più tesi, fino a sfociare nella guerra civile del 1648.Il D., invece, si trovò subito a fare i conti con le pressanti richieste, e da parte del re e, soprattutto, da parte del Tiepolo, per un impegno della S. Sede in una guerra contro i Turchi. Il re, sapendo che il suo progetto di guerra non avrebbe avuto l'assenso della Dieta, voleva scavalcarla, mascherando la campagna contro i Turchi come guerra difensiva contro i Tartari; parallelamente voleva procurarsi una copertura più ampia con la formazione di una lega insieme con Venezia e Roma. L'ambasciatore veneto, partito per chiedere solo una diversione dei Cosacchi sul Mar Nero, aveva ottenuto poi dal Senato, dietro sue insistenze, l'autorizzazione a trattare, pur con varie limitazioni, la costituzione di una lega più ampia con la Polonia. Il D., comunque, si limitava dal canto suo a ribadire l'indisponibilità della S. Sede a una tale lega tripartita, soprattutto a causa della difficile situazione finanziaria, e insisteva continuamente su "le gravezze e miserabilissimo stato della Sede Ap.ca".
A partire dalla primavera del 1646 le insistenze del Tiepolo si fecero sempre più pressanti; Ladislao IV, infatti, di fronte all'opposizione molto dura che i suoi progetti di guerra avevano suscitato, voleva non solo un accordo molto approfondito con Venezia, ma riteneva indispensabile anche il pieno coinvolgimento delle altre corti. Il Tiepolo, che aveva lavorato per questo accordo scavalcando spesso le intenzioni dello stesso Senato veneto, vedendo in pericolo l'esito della sua missione intensificò le pressioni sul D.; scriveva il nunzio: "l'Amb. di Venetia non è giorno, che non mi travagli con dire, che S. San.tà deva concorrere nel dar danari" (Nunziatura Polonia 53, f. 113r). L'atteggiamento di Roma, comunque, non mutò molto; ci si limitò, nell'aprile del 1646, alla spedizione di 30.000 scudi al D., come contributo una tantum alla guerra contro i Turchi. Il denaro doveva essere consegnato, però, solo a precise (e improbabili) condizioni: dopo che la guerra fosse scoppiata, dopo il pieno accordo tra il re e la Dieta, e dopo la stipulazione dell'accordo tra Polonia e Venezia.
Da rilevare che in queste vicende la posizione personale del D. appare diversa da quella della segreteria di Stato. Pur rispettando le istruzioni, che rifiutavano ogni aperto interessamento della S. Sede, il nunzio non mancava di confessare al Tiepolo che "gli pareva incredibile che il papa non contribuisse in questa occorrenza all'istanze di sua maestà" (Caccamo, p. 154) e l'ambasciatore veneto, apprezzando l'operato del D., ribadiva come il nunzio "si trova... legate le mani" (ibid., p. 169). Giunti i 30.000 scudi, poi, il D. si fece "lecito di rappresentare ... humiliss.te" al segretario di Stato, che le condizioni poste per la loro utilizzazione erano decisamente troppo gravose, (Nunziatura Polonia 54. f. 190r) e, dopo alcuni mesi, scriveva ancora che, pur obbedendo a tutte le disposizioni, "non posso, ne debbo però non rappresentarle rive.te ciò che si discorre da queste parti", dando per sicuri gli aiuti che il re avrebbe ottenuto dai principi di Moldavia, Valacchia e Transilvania nonostante l'opposizione della Dieta (ibid., f. 399v). I progetti però sfumarono tutti con la dura opposizione della Dieta dell'ottobre-dicembre 1646 e con la partenza del Tiepolo nel maggio successivo.
L'attività del D., per il resto, si limitò a una amministrazione abbastanza ordinaria. Il nunzio si preoccupava che i privilegi della Chiesa venissero rispettati e che nelle Diete, nella corte e nello Stato venisse limitato al massimo ogni spazio per i protestanti. Si occupò di numerose questioni interne al clero polacco, con frequenti incontri con i vescovi e i prelati, trattando anche varie controversie, come quella che a lungo divise l'Ordine domenicano. Il 10 marzo 1646 celebrò le nozze del re con Maria Luisa Gonzaga Nevers.
I motivi di attrito con il re furono pochi. Uno di questi riguardò la questione delle Scuole pie, un ordine che Roma voleva ora ridurre a semplice congregazione. Le continue insistenze del D. per far accettare al re questa decisione furono sempre inutili poiché Ladislao IV, protettore delle Scuole pie, non volle mai cedere. Lo screzio più grave avvenne però su una questione formale: i titoli di Giovanni Casimiro, fratello del re. Nominato cardinale il 26 maggio 1646, Giovanni Casimiro, come membro di casa regnante, pretendeva il titolo di eminenza reale. La Curia, però, non era intenzionata in alcun modo ad accontentarlo. Il D., in Polonia, ricevette molte richieste e proteste su tale questione, vedendosi perfino rifiutare, con una scusa, l'udienza reale per il tradizionale scambio di auguri ai primi di gennaio del 1647. La questione si trascinò fino a che Giovanni Casimiro non abbandonò lo stato ecclesiastico.
Morto Ladislao IV nel maggio 1648 e aperta la crisi di successione, il D. si trovò in difficoltà, poiché entrambi i principi impegnati nella contesa, Giovanni Casimiro e Carlo, volevano tirarlo dalla loro parte. Alquanto intimorito, il D. non si accontentava affatto dell'assoluta neutralità consigliata da Roma: "che questi dui Prencipi fratelli non si appagheranno di questa candidezza... perciò sopra di me si caricherà la colpa, imputandosi ad opera, e manifattura mia" (Nunziatura Polonia 53, ff. 211v-212r). In occasione della Dieta dell'ottobre-novembre 1648, comunque, il D. si impegnò soprattutto perché non venisse scelto un terzo candidato tra i calvinisti.
Nel maggio 1649 celebrò il matrimonio del nuovo re Giovanni II Casimiro con la regina vedova. Il re, nell'agosto 1649, era riuscito a raggiungere una tregua con i Cosacchi, insorti fin dall'anno precedente sotto la guida di B. Chmelnickij. Contro le concessioni, che in questo accordo erano state fatte agli ortodossi, a scapito della Chiesa rutena unita, il D. protestò molto vivacemente di fronte alla Dieta nel gennaio 1650, ma senza risultati. Nell'estate del 1650 il D. collaborò attivamente con l'ambasciatore veneto a Vienna, N. Sagredo, per preparare la missione di A. Vimina, inviato presso il Chmelnickij per trattare un eventuale attacco diversivo dei Cosacchi e dei Tartari contro i Turchi. Poco dopo, Venezia riprese la trattativa per una lega antiturca direttamente con il re polacco inviando l'ambasciatore G. Cavazza. Nuovamente il D. prese a seguire con attenzione le trattative, sbilanciandosi probabilmente più del dovuto, tanto da ricevere dei richiami da Roma; il 18 marzo 1651 scriveva, infatti, al segretario di Stato: "Io sento infinito piacere nell'haver ricevuto sopra di ciò i suoi sensi espressi, perché sfugirò in avvenire tali occasioni d'intromettermi in cosa alcuna, e se l'ho l'addietro fatto è stato per la speranza del bene, che parevami se ne potesse cavare dalla Christianità tutta." (Nunziatura Polonia 59, f. 76r).
Il 30 marzo 1652 il D. chiese di tornare in Italia accennando ai "bisogni notissimi" della sua casa. Il 23 settembre iniziò il viaggio di ritorno.
"Di sensi aperti, d'ingegno mediocre, dominato dall'ambizione; farebbe tutte le cose per ascendere", scriveva di lui il Tiepolo (Caccamo, p. 585); più volte dalla Polonia giunsero richieste per una sua nomina a cardinale; nel 1649 vi si oppose la Francia, forse perché il D. era "parzialissimo de Spagnuoli, da quali traeva l'origine" (ibid.).Su proposta del cardinal G. Colonna, il 1º apr. 1658, il D. fu nominato vescovo di Salerno. L'8 giugno inviò un suo procuratore a prendere possesso della diocesi e il 28 giugno nominò un vicario generale. A Salerno giunse nel settembre. Trovò la città e la diocesi ancora sconvolte per la peste del 1656. Popolazione decimata, economia disastrata, la rendita della diocesi era scesa da 9.000 a 5.000 ducati. Il D., peraltro, ne poteva disporre di soli 3.000, essendo i restanti riservati al suo predecessore F. Savelli. Nel 1659-1660 compì personalmente una visita della diocesi, e nel 1661-1662 ne promosse una seconda tramite vicari. L'8-9 maggio 1661 celebrò un sinodo diocesano le cui Costituzioni furono stampate a Napoli l'anno successivo.
Morì nel settembre 1662; secondo altra fonte, riportata criticamente dal Crisci, il 6 maggio dello stesso anno.
Fonti e Bibl.: Bibl. Ap. Vat., Ferrajoli 283: G. P. Caffarelli, Notizie della famiglia Torres, ff. 165v-167; Vat. lat. 12337, ff. 155 s.; 13, 17, ff. 38, 70 s.; Roma, Bibl. naz., Fondo Sessoriano, 424: G. Fantuzzi, Itinerario... nel partirmi da Polonia dell'anno MDCLI, ff.2 s., 25 s., 36; Arch. Segr. Vat., S.S. Nunziatura Polonia 52-60, 178; Ibid., Nunziatura Polonia, Additamenta 3, fasc. IV-V; Ibid., Nunziature diverse 148; Ibid., Ibid., 296, ff. 218-27; Ibid., Nunziature Napoli, 39A., ff. 122-53; Ibid., Archivio d. Nunziatura di Varsavia, 168-69; su questi documenti cfr. V. Meysztowicz, De Archivo Nuntiaturae Varsaviensis quod nunc in Archivo Secreto Vaticano servatur, Vaticani 1944, pp. 83 s.; P. Savio, De actis Nuntiaturae Poloniae quae partem Archivi Secretariatus Status constituunt, Vaticani 1947, pp. 17 s., 72, 81, 91, 108, 122, 138. Sui documenti relativi al D. custoditi presso altri fondi ed archivi si vedano: P. Collura, L'Archivio Dragonetti De Torres in L'Aquila, in Notizie degli Archivi di Stato, X (1950), pp. 135-42; W. Wyhowska De Andreis, Repertorium rerum Polonicarum ex Archivo Orsini in Archivo Capitolino Romae, I-III, Romae 1961-1964, ad Indices; Id., Collectanea e rebus Polonicis Archivi Orsini in Archivo Capitolino Romae, I, Romae 1964, pp. 15, 24, 26; V. Meysztowicz-W. Wyhowska De Andreis, Documenta Polonica ex Archivo Parmensi, II, Romae 1970, ad Indicem; molto ricco per l'utilizzazione di documenti e le indicazioni di fonti d'archivio, specie per il periodo salernitano del D., è G. Crisci, Il cammino della Chiesa salernitana nell'opera dei suoi vescovi (secc. V-XX), II, Napoli-Roma 1977, pp.61-76. Cfr. inoltre A. Theiner, Vetera Monum. Poloniae et Lithuaniae..., III, Romae 1853, pp. 434 s., 437 s., 453 s., 457 s., 460 s., 465-70, 473, 475; Relacye nuncyuszów apostolskich i innych osób o Polsce od roku 1548 do 1690 (Le relazioni dei nunzi apostolici e di altre persone in Polonia dall'anno 1548 al 1690), II, Berlin-Poznań 1864, pp. 286 ss.; S. Temberskiego, Roczniki 1647-1656 (Annali 1647-1656), Kraków 1897, ad Indicem; S. Oświęcima, Dyarysz 1643-1651 (Diario 1643-1651), Kraków 1907, ad Indicem; Donesenija papskago nuncija Ioanna Torresa ... o sobytijach v Pol'èe vo vremja vozstanija Bogdana Chmel'nickago (Le relazioni del nunzio apostolico Giovanni Torres... sugli avvenimenti di Polonia durante l'insurrezione di Bogdan Chmel'nickij), a cura di E. N. Antonovič - V. N. Zabugin, in Sbornik statej i materialov po istorii Iugo-Zapodinoj Rossii (Raccolta di articoli e materiali nella storia della Russia sudoccidentale), II, Kiev 1916, pp. I-II, 1-181; P. S. Da Nadro, Sinodi diocesani italiani, Città del Vaticano 1960, p. 246; A. G. Welykyj, Litterae nuntiorum apostol. historiam Ucrainae illustrantes (1550-1850), VI-IX, Romae 1962-1963, ad Indices; A. Reptyckyj, Monumenta Ucrainae historica, II-III, Romae 1965-1966, ad Indices; W. Müller, Relacje o stanie diecezsji krakowskoiej (Relazioni sullo stato della diocesi di Cracovia), Lublin 1978, p. 77; D. Caccamo, Il carteggio di Giovanni Tiepolo ambasciatore veneto in Polonia (1645-1647), Roma 1984, ad Indicem; A. Mazza, Historiarum epitome de rebus Salernitanis, Neapolis 1681, p. 84; F. Ughelli-N. Coleti, Italia sacra, VII, Venetiis 1721, pp. 444 s.; G. Cappelletti, Le Chiese d'Italia, XX, Venezia 1866, pp. 310 s.; W. Czermak, Plany wojny turkiej Wùadysùawa IV (I piani della guerra turca di Ladislao IV), Kraków 1895, pp. 36 s., 47, 51 s., 59, 63, 70, 92, 98, 102, 113, 116 s., 120 s., 128, 154 s., 173, 205, 256, 262, 298, 301, 316, 337 s.; A. Capone, Il duomo di Salerno, Salerno 1927, p. 153; G. Musca-A. Capone, De Salernitanae Ecclesiae episcopis et archiepiscopis catalogus, Sublaci 1930, p. 84; G. Crisci-A. Campana, Salerno sacra, Salerno 1962, p. 104.