DE VECCHI, Giovanni
Figlio di Francesco (von Henneberg, 1974, p. 102), nacque probabilmente a Borgo San Sepolcro (Sansepolcro in prov. d'Arezzo) intorno al 1537, se è vero quanto dice il Baglione (1642, p. 129) che morì a circa 78 anni, il 13 apr. 1615 a Roma (Noack). Nel catal. della Mostra del Cinquecento toscano (Firenze 1940, p. 85) il D. viene detto allievo di Raffaellino del Colle e di Taddeo Zuccari, ma in realtà furono più importanti, per la sua formazione (Roli, 1965, p. 45), gli esempi lasciati da Rosso Fiorentino a Borgo San Sepolcro e a Città di Castello tra il 1528 e il 1530. Successivamente il D. fece qualche viaggio a Firenze dove ebbe modo di conoscere le opere di Santi di Tito, Maso da San Friano, Iacopo Ligozzi e in particolare di Cristoforo Gherardi, anch'egli originario di Borgo San Sepolcro, che attorno al 1555 era attivo nella sala degli Elementi, in palazzo Vecchio, sotto la direzione di G. Vasari. Infine, subito dopo il 1558, data dell'arrivo di Santi di Tito, anche il D. dovette giungere a Roma (ibid., p. 47); si sa, infatti, che vi era già attivo all'inizio del settimo decennio, attorno al 1562-63, poiché, come afferma G. Celio (1638, p. 123), in quel periodo lavorava al fregio della sala maggiore nel palazzo del Belvedere in Vaticano, accanto a Santi di Tito e a N. Circignani detto il Pomarancio.
Qui il D. lavorò allo scomparto raffigurante I profeti predicono a Nabucodonosor i castighi divini, in cui è evidente una chiara conoscenza della maniera delle logge, della cultura romana sia perinesca sia del Salviati e soprattutto di Taddeo Zuccari. Si tratta dell'unica opera conosciuta della sua attività nel settimo decennio se si esclude la problematica identificazione del D., ipotizzata da Zeri (1957, p. 55 n. 1; cfr. anche D. R. Coffin, The Villa d'Este at Tivoli, Princeton 1960, p. 44), con il "Giovanni dal Borgo" attivo nel marzo 1568 a villa d'Este a Tivoli, il cui intervento non è comunque individuabile.
Il 7 ag. 1570 compare nell'elenco degli artisti dell'Accademia di S. Luca (Roli, 1965).
Fra il 1570-1574 si ha notizia di pagamenti fatti al D. per alcune "misure" che egli prese sui materiali utilizzati per la costruzione della chiesa di S. Maria in Traspontina; il D. fu evidentemente esecutore di un progetto ideato da altri (ibid., p. 49).
La sua attività principale rimase comunque sempre quella pittorica.
Al 1573 va ascritto il dipinto (olio su lavagna) raffigurante S. Girolamo penitente, sopra l'altare della cappella Delfini nella chiesa dell'Aracoeli a Roma; la datazione del 1573 si deduce dalla iscrizione sulla tomba del committente, Mario Delfini (Pinelli, 1977) p. 56). Il paesaggio sullo sfondo, come osserva il Pinelli, rimanda alla Pietà della coll. Zeri (ibid., fig. 19) ed ai rapporti del D. con G. Muziano.
Il dipinto, assai lodato (Baglione, 1642, pp. 127 s.), fu evidentemente noto presso i contemporanei, come provano la replica, nella coll. Lemme di Roma (Pinelli, 1977, fig. 2), forse di mano di Raffaellino da Reggio, e un disegno conservato presso l'Albertina di Vienna (A. Stix-L. Frochlich Bum, Die Zeichnungen der Toskanischen... und roemischen Schulen, III, Wien 1932, tav. 114 n. 449), tradizionalmente ascritto a G. Cesari, il Cavalier d'Arpino, più probabilmente disegno preparatorio eseguito dal De Vecchi.
Sempre di mano del D. sono gli affreschi con le Storie di s. Girolamo nel deserto nella stessa cappella Delfini.
L'opera direttamente successiva è l'Adorazione dei pastori in S. Eligio degli Orefici a Roma, per cui il D. ricevette l'incarico nell'aprile 1574 (Roli, 1965, p. 49).
Ormai definitivamente affermato, il D. fu tra i maggiori decoratori del palazzo Farnese a Caprarola, se viene ricordato insieme a G. Zanguidi detto il Bertoia e ai due Zuccari nel poemetto La Caprarola di Aurelio Orsi, scritto subito dopo l'esecuzione degli affreschi, ma rimasto inedito fino al 1935, quando fu pubblicato a cura di F. Baumgart sotto l'errato nome di Ameto Orti (in Studi romanzi, CXXV[1935], pp. 79-179; cfr. anche C. D'Onofrio, Roma vista da Roma, Roma 1967, p. 34 n. 5).
A Caprarola, in particolare, fu attivo con Raffaellino da Reggio (R. Motta) nella sala del Mappamondo (1574) e in quella degli Angeli (1575; per una diffusa trattazione sulle attribuzioni al D. delle singole scene cfr. Faldi, 1981).
Il D. continuò a mantenere legami con Borgo San Sepolcro, dove lavorò o inviò alcune opere la cui datazione non è tuttavia chiaramente definibile: un'Annunciazione (perduta) per il duomo e una Natività della Vergine (Sansepolcro, Pinacoteca), definita dal Roli "uno dei più significativi esempi di misticismo controriformistico". Mentre in quest'ultimo dipinto è presente ancora il contrasto tipicamente manierista fra preziosità della materia e sfaldamento delle forme, nelle Stimmate di s. Francesco, della omonima chiesa di Sansepolcro, dipinto coevo in base ad un'analisi stilistica, l'atmosfera appare sorprendentemente dimessa (ibid.). Un altro dipinto per Sansepolcro è la Presentazione della Vergine al tempio (Pinacoteca comunale), in cui la Lo Bianco (1988) osserva giustamente una forte attrazione del D. verso la pittura veneziana, autonoma anche dalle innovazioni proposte in tal senso dal Muziano.
A Roma, nell'ottavo decennio, il D. dipingeva le Storie di S. Caterina nella cappella del Rosario presso S. Maria sopra Minerva (Celio, 1638, p. 65; Strinati, 1984). Si tratta dello stesso argomento riproposto da Francesco Vanni a S. Lorenzo in Miranda a Roma, tra il 1575 e il 1577, periodo in cui, come testimonia il Baglione (1642, p. 110), il Vanni fu a bottega del De Vecchi.
Alla fine dell'ottavo decennio il D. ricevette un altro importante incarico, la decorazione, voluta dal cardinale Alessandro Farnese, dell'oratorio del Ss. Crocifisso di S. Marcello.
Dal documento di incarico dell'11 luglio 1578 risulta che, secondo il progetto originario, il D. doveva eseguire la decorazione di tutto l'oratorio (von Henneberg, 1974, pp. 63 s., 102 s.). I pagamenti, che dovevano raggiungere per l'intera opera la somma di 440 scudi, iniziarono dall'agosto 1576 e proseguirono fino all'anno successivo, furono poi interrotti e ripresi nel 1582 (ibid., pp. 103 s.). Attorno al 1578-79 dipinse il primo riquadro raffigurante S. Elena faabbattere gli idoli che, sebbene lodato dal Baglione (1642, p. 128), non ebbe sufficiente fortuna, tanto che il D., pur essendo l'ideatore del progetto d'insieme, eseguì solamente un altro affresco, nel 1582, con l'Invenzione della vera Croce e le annesse figure di Profeti e della Sibilla (ilresto della decorazione fu affidato a N. Circignani, C. Roncalli, C. Nebbia, P. Nogari, B. Croce; cfr. von Henneberg, 1974, pp. 64 s., 104).
Rispetto al primo riquadro caratterizzato da un movimento accentuato, il secondo è più pacato, denota una ricerca di equilibrio compositivo che rimanda ai consolidati rapporti con il Muziano (ibid., p. 67).
Una delle imprese più prestigiose della carriera del D. fu senz'altro la decorazione della cupola e dei pennacchi della chiesa del Gesù, sostituita dai successivi affreschi seicenteschi, di cui restano le testimonianze scritte del Baglione (1642) e del Celio (1638), oltre alla documentazione che ci offre il dipinto di A. Sacchi (Roma, Museo di Roma), raffigurante l'interno della chiesa.
I lavori, iniziati per volere di Alessandro Farnese nel 1538, non erano ancora terminati alla sua morte nel 1589. Secondo la testimonianza del Celio (1638) il D. eseguì i cartoni per l'intera decorazione (Pinelli, 1977, pp. 57 s.), ma affrescò solamente i quattro Dottori nei pennacchi.
Alessandro Farnese era anche il fautore del rinnovamento della chiesa di S. Lorenzo in Damaso, dove il D. dipingeva, probabilmente attorno al 1589, l'affresco con il Martirio di S. Lorenzo (Baglione, 1642, p. 128), andato perduto nel rifacimento della chiesa. Restano tuttavia quattro disegni preparatori della prima scena: tre conservati agli Uffizi, di cui soprattutto uno (737-717) dimostra una tendenza chiaramente michelangiolesca (Roli, 1965, p. 328, tavv. 142 c, d; Pinelli, 1977, p. 58, fig. 22) ed uno nella Biblioteca reale di Torino (Bonaccorso, 1980, tav. XXVII).
Diventato autorevole membro dell'Accademia di S. Luca, il 31 luglio 1594 il D. vi teneva una conferenza sul bel panneggio delle figure e sui pittori particolarmente dotati a riguardo; due anni dopo era eletto principe dell'Accademia (R. Alberti-F. Zuccaro, Origine et progresso dell'Accademia del disegno di Roma [1604], in Scritti d'arte di F. Zuccaro, a cura di D. Heikamp, Firenze 1961, pp. 68, 90; cfr. anche Roli, 1965, p. 328).
Intorno al 1594 il D. lavorava nella prima cappella a sinistra della chiesa di S. Pietro in Montorio, dedicata a S. Francesco, decorando l'absidiola e il catino (cfr. Roli, 1965, p. 328; Pinelli, 1977, pp. 59 s.). Di questi stessi anni è la tela con la Pietà di S. Prassede, già presso la cappella Cesi ed ora, assai deperita, nella sacrestia della chiesa (cfr. Pinelli, 1977, p. 58, fig. 21).
Malgrado la morte nel 1589 del protettore Alessandro Farnese, l'estrema attività del D. proseguì ricca di importanti incarichi; sono i lavori, andati perduti, per la S. Casa di Loreto, tra cui il progetto per il monumento del cardinale Antonio Maria Gallo, di cui si conserva un disegno al Gabinetto dei disegni e delle stampe degli Uffizi (cfr. ibid., 1977, pp. 54, 60, fig. 3). A Roma nella cappella Cenci all'Aracoeli eseguì, tra il 1597 e il 13 genn. 1610, giorno in cui fu consacrata la cappella, la pala con S. Diego che risana un cieco (ibid., pp. 54, 64, n. 19). Ma forse le due maggiori imprese del D. sotto il pontificato di Clemente VIII sono i cartoni per i mosaici con i due evangelisti nei pennacchi della cupola di S. Pietro in Vaticano, S. Giovanni Evangelista, di cui resta anche un disegno preparatorio (New York, Metropolitan Museum), e S. Luca (ibid., pp. 54, 60, fig. 36), e quelli per il catino absidale di S. Maria Scala Coeli alle Tre Fontane, decorato a mosaico da Francesco Zucchi su disegno del D. probabilmente nel 1604, anche se l'incarico originario risaliva ancora ad Alessandro Farnese (ibid., pp. 54, 64, n. 20).
L'apporto dato dal D. alla ripresa della tecnica del mosaico è legato evidentemente al rilancio del culto dei santi ed alla valorizzazione del periodo paleocristiano, in termini di religiosità e di arte, proprio di quegli anni (Pinelli, 1977, pp. 54 s.).Sulla scorta di un documento trovato da J. Heideman (1988), si deve datare al 1603-04 il dipinto con la Processione della Madonna liberatrice della peste (olio sumuro), commissionato da Giov. Francesco Salomoni, nell'ultimo pilastro di destra della navata centrale, nella chiesa dell'Aracoeli, datato invece da Zeri (1957, p. 59) verso il nono decennio.
Secondo un avviso del 1611 (J. A. F. Orbaan, Documenti sul barocco in Roma, Roma 1920, pp. 183 s.), il D. doveva essere fra i decoratori della cappella Paolina in S. Maria Maggiore, ma nulla rimane che possa essergli attribuito.
Probabilmente, sempre al pontificato di Paolo V (P. Totti, Ritratto di Roma moderna, Roma 1638, p. 17), è ascrivibile la pala d'altare con la Morte di s. Benedetto della basilica di S. Paolo fuori le Mura, di cui rimangono un disegno preparatorio del D. conservato nel Gabinetto dei disegni e delle stampe degli Uffizi (Pinelli, 1977, fig. 38) ed un altro, sempre di mano del D., conservato nello stesso Gabinetto (ibid., fig. 40), che forse rappresenta una prima versione, poi completamente modificata. Della pala, perduta nell'incendio che distrusse quasi per intero la basilica, resta anche un'incisione di J. Callot (ibid., fig. 39, pp. 55, 60 s.).
Ma l'ultima opera del D., probabilmente eseguita un anno prima della morte, nel 1614, può forse considerarsi il dipinto firmato, raffigurante S. Sebastiano nella chiesa di S. Andrea della Valle a Roma, di cui rimane anche un disegno preparatorio (Gabinetto dei disegni e delle stampe degli Uffizi: ibid., fig. 42).
Agli inizi del XVII secolo il D. era ancora molto considerato dai pittori più giovani se il Cavalier d'Arpino, con il quale aveva avuto rapporti diretti, eseguiva una versione ispirata al S. Sebastiano, probabilmente attorno al 1617 (Napoli, Quadreria Gerolamini; cfr. Pinelli, 1977, pp. 55, 64, n. 22).
Sono numerosi gli affreschi e le tele andati perduti che il D. aveva eseguito per le maggiori chiese romane; per un corretto e completo elenco delle sue opere, pertanto, si rimanda all'articolo di Pinelli (1977), che completa e riordina tutta la bibliografia su di lui. Recentemente una di queste opere creduta perduta è stata ritrovata: si tratta di una pala d'altare con S. Michele Arcangelo trionfante su Satana che il D. dipinse, prima del 1585, per la chiesa di S. Michele Arcangelo in Borgo e che è stata individuata da M. T. Bonaccorso (1980) nei locali dell'Opera pia di S. Michele Arcangelo ai Corridori di Borgo, dove è finita dopo la demolizione della chiesa assieme alla "spina di Borgo".
Secondo il Baglione (1642) e il Mancini (1614-30) il D. eseguì anche la decorazione (perduta) della facciata di un palazzo in via dei Banchi Vecchi (C. Pericoli Ridolfini, Le case romane, Roma 1960, p. 52).
Il D. ebbe due figli, uno architetto, Gaspare (cfr. voce in questo Dizionario), l'altro, medico, di cui non si conosce il nome (Baglione, 1642, p. 129).
Fonti e Bibl.: G. Mancini, Considerazioni sulla pittura [1614-30], a cura di A. Marucchi-L. Salerno, Roma 1956, I, pp. 78, 279 s., 312; G. Celio, Memoria delli nomi dell'artefici delle pitture... di Roma [1638], a cura di E. Zocca, Milano 1967, ad Indicem; G. Baglione, Le vite de' pittori scultori et architetti... [1642], a cura di V. Mariani, Roma 1935, ad Indicem; F. Noack, in U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon..., XXXIV, Leipzig 1940, p. 152 (sub voce Vecchi, Giovanni de); F. Zeri, Pittura e Controriforma, Torino 1957, ad Indicem (sub voce Vecchi, Giovanni de); R. Roli, G. D., in Arte antica e moderna, VIII (1965), pp. 45-56, 324-334; G. Labrot, Le palais Farnèse de Caprarola..., Paris 1970, pp. 138 ss.; J. von Henneberg, L'oratorio dell'Arciconfraternita del Ss. Crocifisso di S. Marcello, Roma 1974, pp. 63-68, 102 ss.; A. Pinelli, Pittura e Controriforma, "convenienza" e misticismo in G. D. ..., in Ricerche di storia dell'arte, 1977, 6, pp. 49-64 (con bibliografia precedente); M. T. Bonaccorso, Per G. D. Un angelo, un s. Francesco, un affresco perduto, in Quaderni dell'Istituto di storia dell'arte dell'Università di Messina, IV (1980), pp. 31 ss; I. Faldi, Il palazzo Farnese di Caprarola, Torino 1981, pp. 28, 30, 34 s., 37, 39, 71 e passim; C. Strinati, Espressione figurativa e committenza confraternale nella cappella Capranica alla Minerva (1573), in Ricerche per la storia religiosa di Roma, 1984, n. 5, pp. 411 s., 415-420, 423, 427 s.; J. Heideman, A new dating of D.'s "Procession" painting in S. Maria in Aracoeli..., in Paragone arte, XXXIX (1988), 455, pp. 51-61; A. Lo Bianco, in La pittura in Italia. Il Cinquecento, Milano 1988, ad Indicem.