DELL'ANTELLA, Giovanni
Nacque a Firenze il 6 genn. 1475 da Filippo di Giovanni di Taddeo e da Maria Bartolini Davanzi.
Il padre, membro di una importante e antica famiglia dell'oligarchia fiorentina, aveva ricoperto cariche politiche sia nella città sia nel "dominio"; tra le altre, quella di gonfaloniere della Repubblica fiorentina nel 1493 e nel 1517; quelle di Vicario del Valdarno inferiore (1481), del Mugello (1501) di Anghiari (1510), di capitano della Montagna pistoiese (1479), di Borgo San Sepolcro (1486), di Livorno (1490) e di Pisa nel 1514.
Il D., primogenito di numerosi fratelli, venne così avviato alla carriera politica, proseguendo la tradizione della famiglia. Era usuale infatti nell'oligarchia fiorentina che il figlio maggiore seguisse il tradizionale cursus honorum degli uffici dello Stato, rappresentando la famiglia nei principali consessi politici della città, mentre la cura del patrimonio domestico, l'attività militare o l'ingresso nel clero erano appannaggio dei figli minori. Degli altri fratelli solo Bartolomeo, di quattordici anni più giovane del D., potrà intraprendere la carriera politica senza tuttavia raggiungere la sua importanza, mentre un altro fratello, Leonardo, ricoprì solo incarichi minori.
Eletto fra i Priori della Repubblica fiorentina nel 1512, subito dopo il rientro dei Medici a Firenze, il D. dimostra di avere ottimi rapporti con essi se due anni dopo venne nominato dal papa Clemente VII "giudice spirituale della Marca Anconitana" nello Stato della Chiesa. Alla scadenza, nel 1520, l'incarico, meramente onorifico, verrà confermato per altri sette anni.
Contemporaneamente egli continua a figurare tra gli ufficiali "intrinseci" e "estrinseci" della Repubblica fiorentina. In particolare nel 1519 venne eletto commissario di Prato, nel 1523 vicario di Anghiari, nel 1526 capitano di Pisa.
Nel 1527, con la nuova cacciata dei Medici da Firenze, i Dell'Antella, ormai apertamente schieratisi dalla parte medicea, escono temporaneamente dalla scena politica. Il rientro del D. avvenne infatti nel 1530, dopo l'entrata in Firenze delle truppe di Carlo V, quando fece parte dei centoquarantasei membri della Balia straordinaria convocata per procedere alla riforma istituzionale della città. Morto il padre nel 1528, il D., che nel 1531 fu di nuovo eletto capitano di Pisa, divenne a tutti gli effetti il rappresentante di maggior prestigio della famiglia nella vita politica di Firenze. Entrò così a far parte, per il quartiere di S. Croce, dove risiedeva, del Senato de' quarantotto, l'organo che, insieme al Consiglio dei duecento e al magistrato dei Consiglieri, le "Ordinazioni" del 27 apr. 1532 avevano posto al vertice politico del principato in sostituzione della Signoria.
Eletto senatore, continuò a ricoprire numerose cariche riservate ai membri del Consiglio dei duecento e del Senato: Magistrato supremo, Otto di pratica, Cinque conservatori del contado e distretto, Conservatori di leggi ecc. Di particolare importanza è la sua nomina a provveditore degli ufficiali del Monte di pietà nel 1533 e quella a capitano di Arezzo dal 20 ott. 1535 al 6 maggio 1537. La sua lunga esperienza nel governo delle città soggette indusse il giovane duca Cosimo ad inviarlo a Borgo San Sepolcro, dove nell'aprile del 1538 si era riaccesa la lotta fra le fazioni rivali dei Pichi e dei Graziani.
In tale sommossa, nonostante il prodigarsi del capitano ducale, vi erano stati alcuni morti e inoltre si erano riaccese le speranze dei fuorusciti, rifugiati nel vicino Stato pontificio e sempre pronti a profittare delle difficoltà in cui potevano trovarsi i Medici. Dalle lettere che il D. e il Gherardi, capitano di Borgo San Sepolcro, spedirono al duca, risulta evidente da un lato il costante interesse di Cosimo a eliminare ogni motivo di contrasto che potesse sorgere nel suo Stato, dall'altro l'abilità con la quale soprattutto il D. riuscì a placare gli animi, a superare i risentimenti per giungere alla pacificazione.
La fiducia di Cosimo verso il D. segna l'effettivo salto di qualità della sua carriera politica: mentre infatti la maggior parte degli uffici assegnati "per tratta" e collegati alla cittadinanza fiorentina, ormai svuotati di ogni potere politico erano soprattutto un riconoscimento formale, gli incarichi diplomatici, le missioni speciali, affidate direttamente dal duca o dai suoi segretari, erano l'occasione per salire nella stima del principe e dimostrare le proprie effettive capacità. Incaricato così una prima volta, nell'ottobre 1539, di trattare alcune questioni di confine sorte tra il pontefice e la città di Perugia, il D. venne inviato nello stesso mese a Roma in qualità di ambasciatore residente. Vi giunse infatti "a buon salvamento e con dispositione da potere attendere facilmente a tutti li negotii che occorreranno" la sera del 29 ott. 1539. Ormai quasi sessantacinquenne il D. coronava la sua vita al servizio dei Medici con questo importante, ma anche difficile incarico diplomatico.
Chiamato a sostituire l'abile e più esperto Agnolo Niccolini, inviato a Carlo V, egli dovette affrontare un momento particolarmente delicato dei rapporti tra la S. Sede e il duca di Toscana. Appena arrivato, venne a sapere di oscure manovre nepotistiche di Paolo III a favore di Ottavio Farnese. "Il papa aspira e cerca di metter costì madama d'Austria e il signor Ottavio et ricompensare Vostra Ecc.za con Camerino, Matelica e San Severino", scrive allarmato da Roma a Cosimo alla fine del 1539. Ma se queste ambizioni del papa non preoccupavano particolarmente il duca, che sapeva di poter contare sull'appoggio di Carlo V. ben più complicata si presentava la controversia delle decime, che già in passato aveva intorbidito i rapporti tra il papa e la Toscana. Nel maggio 1539 Paolo III, a causa della difficile situazione finanziaria della Camera apostolica, aveva imposto due nuove decime su tutti i benefici dello Stato pontificio, estese poi nel luglio a tutta l'Italia. Col pretesto delle disagiate condizioni delle popolazioni del suo Stato, Cosimo si oppose alla riscossione dei tributi prescritti dal pontefice giungendo anzi ad imporre una contribuzione forzata nei riguardi dei beni sia laici sia ecclesiastici per fronteggiare la carestia di quegli anni. Il papa, chiamato il D., protestò violentemente per la condotta del duca. La questione si trascinò a lungo, impegnando il D. in una difficile opera di mediazione tra la posizione del papa e quelle altrettanto oltranziste dei principali collaboratori di Cosimo, quali L. Torelli o F. Campana, favorevoli ad una politica che tutelasse gelosamente le prerogative dello Stato nei confronti dei privilegi del clero.
Nel frattempo si era aggiunto un altro motivo di attrito con la ribellione di Perugia del febbraio 1540, in particolare a causa della posizione di Rodolfo Baglioni. Alle accuse del papa, che prendeva a pretesto il Baglioni, originario di Perugia, ma ormai al servizio di Cosimo, per provare la complicità dei Toscani nella rivolta della città umbra, il D., istruito dal duca, replicava che Cosimo non aveva mai tenuto simili pratiche e che mai avrebbe fatto alcun passo senza il consenso dell'imperatore, notoriamente preoccupato per la ribellione di Perugia.
Rientrato a Firenze nel 1541 il D. riprese il normale iter politico: nel giugno dello stesso anno fu capitano di Pistoia, nel 1545 fu nuovamente nominato capitano di Pisa "direttarnente da Sua Ecc.za". Di particolare importanza l'elezione a luogotenente del duca nel magistrato dei Consiglieri avvenuta una prima volta nel novembre del 1542 e una seconda nel maggio del 1548. Questa carica, trimestrale, era ormai solo onorifica, data la progressiva perdita d'importanza politica degli organi che la costituzione del 1532 aveva posto al vertice dello Stato, ma restava di grande prestigio.
Morì il 24 nov. 1548. Fu sepolto nella chiesa di S. Croce.
Dal matrimonio con Fiammetta Pandolfini, sposata nel 1512, ebbe cinque figli fra i quali Filippo, destinato a ricoprire un ruolo di primo piano tra i funzionari del governo mediceo. Si sposò una seconda volta con la sorella della prima moglie, Costanza.
Fonti e Bibl.: Cenni biogr. sul D. in Arch. di Stato di Firenze, Carte Sebregondi, 162 e Archivio Ceramelli Papiani, 170; per le cariche politiche, Ibid., Tratte, ff.71, 72 e 85; per le patenti di nomina a giudice spirituale, Diplomatico, Antella, 6 marzo 154, 21 dic. 1520; cfr. inoltre Senato de' 48, f. 12, cc. 1 ss.; Balie, f. 49, c. 227r; per il carteggio relativo alla sommossa di Borgo San Sepolcro, Mediceo del Principato 334, cc. 131r-132r, 136r, 142r; 335, cc. 235r, 256r, 257r-260v, 274. Per l'attività di ambasciatore a Roma cfr. Ibid., 652, 3262 e 3263. La data della morte è Ibid., Medici e Speziali 251, c. 74v; Lettere di Cosimo I de'Medici, a cura di G. Spini, Firenze 1940, p. 54; D.M. Manni, Il Senato fiorentino ossia notizie di senatori fiorentini..., Firenze 1776, p. 10; L. Cantini, Saggi istor. di antich. toscane, Firenze 1796, V, pp. 121-28; L. A. Ferrai, Cosimo I de' Medici ... Saggio, Bologna 1882, pp. 130, 301; M. Lupo Gentile, La politica di Paolo III nelle sue relaz. colla corte medicea, Sarzana 1906, pp. 46 s.; L. von Pastor, Storia dei papi, V, Roma 1942, pp. 125, 215 ss., 225, 252, 314, 383, 434, 726, 804; G. Spini, Cosimo I de' Medici e la indipend. del principato mediceo, Firenze 1954, in particolare pp. 94 s., 179, 223 ss.; M. Del Piazzo, Gli ambasciatori toscani del principato (1537-1737), Roma 1953, p. 7; F. Diaz, Il Granducato di Toscana. I Medici, Torino 1976, pp.81, 242, 366.