DELLA TOSA, Giovanni
Uno degli ultimi figli, se non addirittura l'ultimo, di Rosso, nacque probabilmente a Firenze sullo scorcio del sec. XIII. Nel luglio del 1309, quando morì suo padre, egli non doveva essere ancora maggiorenne perché, a differenza dei fratelli Simone e Gottifredo, non venne allora creato cavaliere. A certo, comunque, che ricevette questo titolo più tardi, anche se non sappiamo né quando né in quale circostanza, dato che fonti lo ricordano come "messer Giovanni di messer Rosso della Tosa".
La differenza d'età che lo separava dai fratelli doveva essere notevole, e condizionò senza dubbio la sua carriera e, in ultimo, le sue stesse scelte politiche e di vita. Infatti, mentre Gottifredo e soprattutto Simone poterono muoversi secondo le direttrici indicate dal padre come protagonisti dell'ultima fase di un'epoca, che aveva visto la loro famiglia primeggiare ed imporsi in Firenze, il D. dovette invece conformare la propria vita e la propria attività pubblica - che rimase, tra l'altro, essenzialmente militare - ad un periodo di trapasso nel quale al potere delle antiche si andava sostituendo quello di nuove schiatte, non solo, ma nel quale i membri delle casate più antiche e illustri, pur partecipando ancora in maniera rilevante alla vita pubblica cittadina, venivano di fatto costretti ad indirizzarsi verso la carriera politica esterna piuttosto che verso quella interna.
Le prime notizie in nostro possesso relative al D. sono del 1325: risulta infatti che egli prese parte all'offensiva scatenata da Firenze nella primavera-estate di quell'anno, in seguito alla perdita di Pistoia (5 maggio), contro Castruccio Castracani, signore di Lucca e capo indiscusso delle forze ghibelline in Toscana. Nell'agosto combatté ad Altopascio, che i Fiorentini occuparono il 25 di quello stesso mese. L'esito della campagna, prolungandosi gli scontri per più giorni, rimase tuttavia a lungo incerto sino al 23 settembre, quando, nella piana d'Altopascio, l'esercito fiorentino subì una sconfitta decisiva, riportando gravi perdite in morti e prigionieri. Fra i migliori cavalieri tedeschi, francesi e fiorentini che caddero nelle mani di Castruccio, vi fu anche il D., che venne con altri rinchiuso nelle carceri di Lucca.
Secondo il Davidsohn (IV, p. 1013), il D. fu fatto prigioniero dal Castracani due giorni prima dell'infausta battaglia di Altopascio, il 21 settembre, nel corso del fatto d'armi di Porcaril uno scontro di cavalleria che si svolse - secondo quanto ebbe a riferire un testimone oculare - come un torneo, e nel quale fu ferito lo stesso signore di Lucca. Col D. caddero nelle mani di Castruccio sei nobili cavalieri tedeschi, tre francesi, Francesco Brunelleschi e molti altri appartenenti a famiglie fiorentine meno illustri.
Ignoriamo, per il silenzio delle fonti note, quando il D. sia stato liberato. Cinque anni più tardi, ad ogni modo, nel primi mesi del 1330, si trovava come commissario della Repubblica presso i reparti di mercenari al soldo di Firenze, che la Signoria aveva inviato in soccorso del legato pontificio in Lombardia, card. Bertrando del Poggetto.
In quella circostanza dovette reprimere una sedizione dei soldati che una volta entrati in territorio bolognese, si rifiutavano di proseguire oltre. Ignoriamo anche il modo con cui il D. riuscì a superare il difficile momento: non sappiamo dunque se, per rìcondurre all'obbedienza i sediziosi, si sia dovuto effettivamente ricorrere alle misure repressive, che egli aveva minacciato ai capi della ribellione, come risulta da un atto datato 2 marzo 1330, "in comitatu Bononiensi, in castro Sancti Iohannis".
Nel 1335 ricoprì per la prima volta una carica pubblica esterna di tutto rilievo: nel giugno di quell'anno, infatti, venne nominato capitano di Bologna. Il modo con cui svolse tale delicato ufficio fu evidentemente valutato in modo positivo, se nell'aprile dell'anno succesivo i Bolognesi gli rinnovavano il mandato e, alcuni anni più tardi, lo chiamavano ancora come podestà per il primo semestre del 1341.
Rientrato in patria, sempre nel 1341, il D. prestò servizio nei contingenti fiorentini che, tra il settembre e l'ottobre, presero parte alle operazioni militari contro Pisa per il possesso di Lucca (che Firenze aveva acquistato da Mastino Della Scala per la cospicua somma di 180.000 fiorini d'oro). Il 2 ottobre, pur essendosi battuto bravamente, il D. cadde prigioniero davanti a San Quirico, nel corso della "ritenuta ed aspra" battaglia del Serchio, che si concluse con una completa sconfitta dei Fiorentini e con la definitiva perdita di Lucca, che venne occupata dai Pisani nel luglio dell'anno successivo.
Rientrato in patria, il D.. ebbe una parte attiva negli avvenimenti che portarono alla fine della signoria di Gualtieri di Brienne, duca d'Atene, su Firenze, ed in quelli ad essa immediatamente successivi. Tra gli aderenti, insieme con Antonio di Baldinacco Adimari e con Geri dei Pazzi, alla congiura ordita dai Pazzi e dai Cerchi per rovesciare il governo del duca (1343), dopo l'arresto di Antonio Adimari, fu in quello stesso anno tra i promotori della rivolta popolare del 26 luglio. Dopo l'allontanamento di Gualtieri di Brienne e la costituzione - auspice il vescovo stesso di Firenze, Angelo di Monte Acciaiuoli, - della Balia di quattordici cittadini eminenti, che fu proclamata il 2 agosto, il D., insieme con Geri dei Pazzi e con Antonio Adimari, cercò un'intesa col presule per interdire il potere ai grandi e per allontanarli dal governo della città. La manovra riuscì. 'Grazie al sostegno delle forze di cui era espressione il vescovo, ma soprattutto grazie all'appoigio del popolo, il D. ed i suoi aderenti costrinsero alle dimissioni i Priori che si diceva fossero "contro al popolo". Questa scelta politica antimagnatizia valse al D., già nell'ottobre, il privilegio di essere aggregato al "popolo" con la sua famiglia, che pure era stata invece annoverata tra quelle dei grandi nel 1203, con la promulgazione degli ordinamenti di giustizia.
Il D. morì in Firenze, qualche tempo dopo questi avvenimenti, nel dicembre del 1343.
La Signoria volle assumersi le spese delle esequie del D.: il gesto voleva significare insieme omaggio per l'uomo e riconoscimento ufficiale e solenne dei meriti che egli si era acquistato nei confronti della città, cooperando alla restaurazione del regime popolare. Stesso significato ebbe il provvedimento, di poco successivo, con cui i Priori crearono cavaliere il figlio del D., Rosso.
Fonti e Bibl.: Storie pistoiesi, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XI, 5, a cura di S. A. Barbi, pp. 170 s.; Corpus chronic. Bononiensium, ibid., XVIII, a cura di A. Sorbelli, pp. 456, 460 s., 499 s .; Cronaca fiorentiná di Marchionne di Coppo Stefani, ibid., XXX, 1, a cura di N. Rodolico, pp. 161 s.; G. Villani, Cronica, a cura di P. Gherardi Dragomanni, Firenze 1845-1847, II, pp. 331 s.; IV, pp. 40 s.; G. Salvemini, La dignità cavallerescanel Comune di Firenze, Firenze 1896, pp. 109 s.; R. Davidsohn, Storia di Firenze, IV, Firenze 1960, pp. 1012 ss.; V, ibid. 1962, pp. 426 s.