GIOVANNI di Benedetto da Como
Miniatore attivo a Milano e in Lombardia nella seconda metà del 14° secolo.A G. si deve la realizzazione di un libro d'ore miniato (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 23215), che presenta nel foglio di guardia la scritta: "Iohan(n)es filius mag(ist)ri Benedicti de Cumis me pinxit et ordinavit. Ora voce pia pro me Virgo Maria". Questo manoscritto, noto come le Ore di Bianca di Savoia, venne commissionato da quest'ultima e dal suo consorte Galeazzo II Visconti a una data da porsi tra il 1350, anno delle loro nozze, la cui avvenuta celebrazione è attestata dalla presenza delle armi di Galeazzo congiunte alla croce dei Savoia, e il 1387, data di morte di Bianca. Per lungo tempo si è ritenuto termine ante quem per la realizzazione del manoscritto il 1378, anno della morte di Galeazzo, a causa della presenza di una preghiera funebre in suo onore nelle ultime pagine del libro, ma in seguito è stato dimostrato che testo e illustrazioni proseguono dopo la preghiera (Castelfranchi Vegas, 1992). Dal punto di vista stilistico, una datazione intorno al 1375-1380 sembra la più corretta. Il manoscritto, forse proveniente dalla biblioteca dei Visconti, che originariamente aveva sede nel castello di Pavia, non figura negli inventari della collezione e potrebbe darsi che già prima del 1426, data del primo inventario, abbia cessato di appartenere alla famiglia (Pellegrin, 1955).Il contributo di G. e di eventuali collaboratori consiste in sedici miniature a piena pagina integrate al testo, vale a dire previste dal copista, e ventuno carte miniate aggiunte, sembra, in un secondo tempo. Inoltre il manoscritto presenta numerose iniziali ornate o figurate e margini decorati; ogni illustrazione è completata ai quattro angoli da una composizione di racemi di foglioline d'ispirazione francese, che occupa larga parte dei margini (Salmi, 1955). È probabile che questa parte della decorazione sia stata realizzata da uno specialista, che lasciò a G. l'esecuzione delle figure principali.L'interesse della critica si è appuntato sulle immagini incorniciate che seguono il programma iconografico imposto dal testo, contenente la vita della Vergine e quella di Cristo; queste presentano nella parte inferiore una larga fascia di volute vegetali con al centro un medaglione polilobato generalmente contenente personaggi a mezza figura, recanti in mano un cartiglio di commento alla scena, e a volte l'arme del committente.Questo tipo di decorazione (successione di girali vegetali e quadrilobi a figure) è utilizzato nella stessa maniera nella pittura monumentale ad affresco di area lombarda, di solito sull'intradosso degli archi, in funzione di repertorio decorativo secondario rispetto alle scene principali. Da questo punto di vista non risulta quindi inopportuno che alcuni oratori siano stati messi in relazione con la produzione di G., non solamente in base a questo comune elemento del sistema decorativo, ma anche per il carattere monumentale delle figure del manoscritto di Monaco, ispirate alla pittura ad affresco e che sembrano in qualche caso non adattarsi al formato ridotto del libro. Alla cerchia di G. sono stati dunque collegati i cicli dell'oratorio di Lentate, di Mocchirolo (Milano, Pinacoteca di Brera), dell'oratorio dei Biraghi a Solaro e dell'oratorio visconteo di Albizzate, tutti realizzati tra il 1360 e il 1380 circa.Lo stile di G., la cui personalità artistica attende comunque una più precisa definizione, è marcato dall'introduzione di caratteri giotteschi nella pittura lombarda dell'epoca, il cui maggiore rappresentante fu Giovanni da Milano (Toesca, 1912); inoltre il miniatore non fu indifferente ai modi di Giusto de' Menabuoi, nonostante una evidente mancanza di abilità nella rappresentazione di alcune figure o di determinate configurazioni spaziali. La scena del codice di Monaco illustrante la Nascita della Vergine (c. 37v) o quella della Natività (c. 103v), per es., sono costituite da personaggi dall'espressione stereotipata e dalla goffa gestualità, nonostante la precoce introduzione di elementi di dettaglio che divennero in seguito sempre più determinanti nella pittura lombarda di fine secolo. Le immagini di G. sono cariche di elementi decorativi (fondo quadrettato delle scene, elementi architettonici, varietà di costumi), senza tuttavia raggiungere lo sfarzo e l'eleganza di codici prodotti successivamente e meglio conosciuti.Alla produzione di G. è legato anche un secondo manoscritto miniato, quello che contiene le Ore della Vergine di rito ambrosiano (Modena, Bibl. Estense, lat. 862/α S.2.31), che presenta l'indicazione storica: "Ego magister Albertolus de Porcellis s(ub)s(crips)i civitatis Mediolani porta Cumane MCCCLXXXIII" (c. 77r). Realizzato per un personaggio sconosciuto, questo libro d'ore contiene miniature appartenenti a due differenti momenti: il primo è certamente contemporaneo all'iscrizione nel testo (1383), mentre il secondo, da situare nell'avanzato sec. 15°, deve corrispondere a un completamento dell'opera. Tre delle miniature più antiche (cc. 21v-22r, Annunciazione; c. 37v, Natività) costituiscono l'esatta continuazione delle Ore di Bianca di Savoia dal punto di vista dell'impaginazione; particolarmente notevole è la bella scena dell'Annunciazione, che occupa due carte affrontate, secondo un modello poco frequente.La critica attuale tende ad assegnare questo manoscritto a un allievo di G. assai vicino al maestro, senza vedervi la diretta partecipazione di quest'ultimo (Quattrini, 1992); anche se così fosse, le miniature appartengono comunque pienamente a quella corrente di cui G. è il rappresentante principale e che si caratterizza per la presenza di figure ben proporzionate e di alto livello qualitativo, come l'angelo dell'Annunciazione, insieme a composizioni alquanto complesse, come la veduta di città della Natività.L'arte di G. e dei suoi discepoli anticipa la realizzazione di un imponente libro d'ore-messale milanese (Parigi, BN, lat. 757), sia sulla base della presenza di una identica impaginazione (miniatura incorniciata, a piena pagina, decorata ai quattro angoli) sia per alcuni caratteri stilistici, benché sia evidente la partecipazione di numerose mani e la vicinanza risulti dovuta più all'utilizzo delle medesime fonti figurative (Cogliati Arano, 1970a) che non a una effettiva comunanza stilistica. A questo manoscritto possono essere avvicinati alcuni codici di lusso prodotti per gli esponenti più in vista della corte viscontea conservati a Parigi: il libro d'ore-messale Smith-Lesoüeff (BN, Smith-Lesoüeff 22); i romanzi del ciclo di Artù, Guiron le Courtois (BN, nouv. acq. fr. 5243) e Lancelot du Lac (BN, fr. 343), nonché il Tacuinum sanitatis (BN, nouv. acq. lat. 1673); essi, malgrado una evidente evoluzione stilistica, debbono in parte qualcosa a G. qualora non vi si riconosca la sua diretta partecipazione.
Bibl.: P. Toesca, La pittura e la miniatura nella Lombardia, Milano 1912 (Torino 19662); E. Pellegrin, La bibliothèque des Visconti et des Sforza, ducs de Milan au XVe siècle, Paris 1955, p. 385 (suppl., a cura di T. De Marinis, Firenze 1969, p. 30); M. Salmi, La pittura e la miniatura gotica in Lombardia, in Storia di Milano, V, La signoria dei Visconti (1310-1392), Milano 1955, pp. 815-874: 867-868; R. Cipriani, Giovanni di Benedetto da Como, in Arte lombarda dai Visconti agli Sforza, cat., Milano 1958, pp. 25-27, nrr. 65-66; L. Cogliati Arano, Due libri d'ore lombardi eseguiti verso il 1380, Arte lombarda 15, 1970a, 1, pp. 37-44: 42; id., Miniature lombarde. Codici miniati dall'VIII al XIV secolo, Milano 1970b, pp. 412-414; Dix siècles d'enluminure italienne (VIe-XVIsiècles), a cura di F. Avril, cat., Paris 1984, pp. 58, 96-97; K. Sutton, Codici di lusso a Milano: gli esordi, in Il Millennio Ambrosiano, a cura di C. Bertelli, III, La nuova città dal Comune alla Signoria, Milano 1989, pp. 110-139: 112-115; E.W. Kirsch, Five Illuminated Manuscripts of Gian Galeazzo Visconti, Pennsylvania State Univ. 1991, pp. 8-10, 15, 20, 29, 43, nrr. 15, 45, 49, 38; L. Castelfranchi Vegas, Il percorso della miniatura lombarda nell'ultimo quarto del Trecento, in La pittura in Lombardia. Il Trecento, Milano 1992, pp. 297-321; C. Quattrini, Giovanni di Benedetto da Como, ivi, p. 417.