MEDICI, Giovanni di Bicci de'
MEDICI, Giovanni di Bicci de’. – Nacque a Firenze nel 1360, da Averardo detto Bicci e da Jacopa di Francesco Spini.
Anche i nuclei più importanti della casata Medici si collocavano, nel Trecento, al di sotto dell’élite cittadina, e vivevano delle rendite patrimoniali nel contado, più che delle attività finanziarie e immobiliari urbane; i più modesti tra i Medici non superavano il livello degli artigiani minori e dei salariati. Bicci godeva di contenuti introiti provenienti dal patrimonio fondiario e immobiliare extraurbano; come altri esponenti della famiglia, svolgeva una modesta attività di credito e di compravendita e locazione di terre e immobili.
Alla morte del padre (1363), Giovanni fu posto con i quattro fratelli sotto la tutela della madre, di Foligno di Conte Medici e di Strozza di ser Pini. Non ebbe dunque che 1/5 del modesto patrimonio paterno: una base assolutamente insufficiente per coltivare progetti di affermazione sociale. La sua fortuna fu la collaborazione con l’esponente di un altro ramo dei Medici, Vieri di Cambio, del quale divenne fattore (col fratello maggiore Francesco). Quella di Vieri era la sola azienda Medici impegnata nel commercio e nel credito su scala internazionale.
Nel 1386 Giovanni si immatricolò all’Arte del cambio, ma già da un anno era direttore della filiale del banco «in corte di Roma» (deputata a seguire la Curia pontificia), e ne divenne socio investendo i 1.500 fiorini avuti in dote dalla moglie Piccarda Bueri (sposata nel 1385). Quando Vieri si ritirò dagli affari (1393), Giovanni rilevò debiti e crediti del banco romano che da quel momento divenne l’azienda «Giovanni de’ Medici e compagni in Roma» (De Roover 1970, pp. 52-55). Nel 1397 la sede fu spostata a Firenze e nacque il principale banco Medici fiorentino, guidato da Giovanni con Benedetto di Lippaccio Bardi. Il decennio seguente fu il periodo di maggiore espansione dell’azienda.
Nel 1402 il banco Medici aprì filiali a Venezia e Napoli, dove già operavano agenti stabili; prese inoltre in appalto la dogana di Gaeta, gestita da un rappresentante. La filiale di Roma rimase la branca più proficua, generando più di metà dei profitti del banco negli anni 1397-1420, soprattutto grazie al rapporto con la Curia pontificia. Nel 1402 il capitale complessivo raggiungeva i 20.000 fiorini. Il banco si aprì anche alla manifattura, aprendo due botteghe affidate ai figli di Giovanni, Cosimo (n. 1389; per il quale v. la voce in questo Dizionario) e Lorenzo (n. 1395).
Nello stesso periodo, Giovanni avviò la sua carriera politica, seguendo l’equilibrata posizione di Vieri, che fu lontano dalle accentuate simpatie popolari di molti Medici (alcuni dei quali negli anni ’90 furono coinvolti in complotti contro il governo oligarchico guidato, sin dal 1382, da Maso degli Albizzi) e capace di mediare fra le istanze del popolo, che lo riteneva un possibile leader, e quelle dei ‘grandi’, di cui faceva parte. Le sue posizioni furono apprezzate anche dal potere albizzesco: quando nel 1400, dopo un ennesimo complotto, molti esponenti dei Medici furono esclusi per 20 anni dagli uffici pubblici, i discendenti di Vieri, Giovanni e Francesco furono risparmiati dal provvedimento.
Giovanni poté così entrare nel cuore delle istituzioni. A partire dal 1401 partecipò a diverse assemblee del comune, in cui parlò per sé o come rappresentante dei Gonfalonieri del popolo o dei Dodici buonomini, collegi che condividevano il potere decisionale con la Signoria (o Priorato delle arti, il governo cittadino). Giovanni fu inoltre membro della Signoria nel 1402 e nel 1408.
Nella complessa crisi apertasi con la morte di Gian Galeazzo Visconti (1402), Giovanni partecipò a diverse missioni diplomatiche, a fianco di esponenti di rilievo del gruppo dirigente albizzesco. Particolarmente importante fu l’ambasceria del gennaio 1406 a Ladislao di Durazzo, impegnato nella guerra dinastica contro Luigi II, per evitare che si alleasse con Pisa in procinto di essere conquistata dai fiorentini. In tale città, nell’‘anno dei tre papi’(1409), fu inviato a congratularsi con Alessandro V a nome della repubblica fiorentina (Dami 1899).
Gli incarichi gli furono attribuiti non solo per il suo prestigio, ma anche per l’amicizia con Baldassarre Cossa (v. la voce in questo Dizionario), cardinal legato di Bologna e futuro papa Giovanni XXIII, artefice del concilio pisano. I due si erano forse conosciuti a Roma negli anni ’90, quando Giovanni dirigeva la filiale del banco di Vieri e Baldassare era amministratore dei beni pontifici (dal 1392). Secondo i suoi detrattori, Cossa si arricchì partecipando ai profitti dei creditori della Curia, fra cui i Medici, cui fece accordare interessi elevati dalla Camera apostolica (del 25% ca.); inoltre, nel 1403, riconquistando Bologna al papato estromise i Gozzadini dalla cruciale carica di depositarius Camere apostolice, con la quale si gestivano le finanze papali (da allora attribuita sempre a famiglie fiorentine, in particolare agli Spini che, insieme agli Alberti e ai Ricci, erano i principali creditori della Curia; Holmes 1968). A Costanza (1415), Cossa fu accusato inoltre d’aver comprato il cardinalato, nel 1402, con 10.000 ducati forniti dai Medici; in ogni caso, Giovanni fu fondamentale nell’aprire a Baldassarre la strada al pontificato, ottenuto nel 1410 con il sostegno di Firenze e di Luigi II d’Angiò.
Negli anni seguenti, i legami con la Curia e il potere finanziario e politico dei Medici si rafforzarono ancora. Per recuperare il controllo dei territori della Chiesa, Giovanni XXIII necessitava di un consistente impegno finanziario, al quale i Medici parteciparono; inoltre, nel 1411 furono nominati depositari apostolici due mercanti fiorentini finanziati principalmente dalle filiali romane di Giovanni e del nipote Averardo. E quando – dopo il ritiro di Luigi II d’Angiò e una difficile trattativa – il papa si impegnò a pagare a Ladislao di Durazzo 95.000 fiorini tramite la filiale romana, Giovanni in persona gestì il trasferimento del denaro e custodì gli oggetti preziosi (fra cui due mitre) posti a garanzia dalla Curia.
Successivamente, quando il papa fuggì da Roma assediata da Ladislao (1413) e – respinto da Firenze – si trasferì a Bologna, il flusso finanziario fra i Medici e la Curia diminuì, rimanendo però Giovanni il banchiere principale del papa.
Nel successivo precipitare delle fortune di Cossa, il Medici sostenne lealmente l’amico. Nel 1414 Ilarione Bardi (direttore della filiale romana) e Cosimo di Giovanni Medici accompagnarono Giovanni XXIII a Costanza per il concilio; e tre anni dopo la sua deposizione e incarceramento (1415) Giovanni indusse Bartolomeo Bardi, nuovo direttore della filiale romana, a organizzare la liberazione (1418) e a pagare il riscatto (1419). Nel giugno di quell’anno l’ex papa entrò a Firenze, dopo aver avuto rassicurazioni dal Medici sulla benevola accoglienza della città e di papa Martino V, allora ivi stanziato (Holmes 1968).
In quel periodo, Giovanni – ormai relativamente avanti negli anni – cominciò a tirare i remi in barca dal punto di vista aziendale.
Nel 1416 chiuse la filiale napoletana, che non fruttava, lasciando un rappresentante in loco (poi ritirato nel 1426), e nel 1420, dopo la morte del socio Benedetto Bardi e il conseguente annullamento di tutti i contratti, si ritirò dal mondo finanziario. Non del tutto però: i contratti furono rinnovati a nome di una nuova compagnia, intestata ai figli Cosimo e Lorenzo e ad Ilarione Bardi, della quale, pur lasciando margini di autonomia a Cosimo, non mancò di orientare successive scelte, come l’apertura di un’accomandita a Ginevra (1426), dove già dal 1420 agiva un rappresentante (De Roover 1970, pp. 401-457).
Alterne vicende segnarono l’andamento della piazza romana. Il banco Medici era tornato in posizione inferiore a quello degli Spini, ma il fallimento di questi (1420) consentì di riacquisire il primato, con la nomina di Bartolomeo Bardi a depositario della Camera apostolica (1422). Da allora, i Medici mantennero la carica per 22 anni consecutivi e per altri 18 a intermittenza.
Sul piano politico, nel secondo decennio del secolo il cursus honorum fiorentino di Giovanni procedette regolarmente, senza ripercussioni legate al suo tenace sostegno al Cossa: nel 1412 fu ambasciatore a Pietrasanta (per discutere coi genovesi della conquista fiorentina di Porto Venere), nel 1413-14 partecipò ai consigli con intensità e nel 1414 compì un’altra missione a Bologna, incontrando Giovanni XXIII a nome del comune (a proposito della possibile alleanza fra Ladislao e l’imperatore Sigismondo). Dopo una pausa di alcuni anni, intorno al 1420 ritornò alla ribalta della politica cittadina affiancato dal nipote Averardo e da altri amici e sostenitori.
Nel settembre 1420 fu uno degli otto accompagnatori di Martino V ai confini dello Stato fiorentino, quando il papa lasciò la città toscana per rientrare a Roma; e nel 1421 fu gonfaloniere di giustizia, la massima carica della repubblica. Nel 1421-22 fu ambasciatore presso il papa, e l’anno successivo fu uno dei Dieci di Balìa che diressero la guerra contro Milano (25 maggio-25 novembre 1423). Nel 1424 fu ancora ambasciatore a Bologna e a Venezia.
Questo fu l’ultimo incarico di Giovanni, che in modo più discreto ma non meno efficace continuava tuttavia la propria attività politica nei consigli. In questo periodo, grazie a lui, nacque infatti il nucleo del futuro ‘partito mediceo’. È opinione condivisa che Giovanni abbia adottato una strategia di non contrapposizione all’oligarchia guidata dagli Albizzi, mostrandosi ben disposto a seguire l’orientamento del gruppo dirigente, ponendosi al servizio della Repubblica e curando di non ostentare mire politiche. Ma egli costruì in realtà un’ampia rete di relazioni che, al momento opportuno, dimostrò la sua forza, di fronte al gruppo oligarchico spaccato dalla contrapposizione fra Rinaldo degli Albizzi e Niccolò da Uzzano. Giovanni e i suoi successori fecero fruttare in campo politico le relazioni finanziarie, che riflettevano nelle istituzioni il nucleo e la struttura della compagnia, incentrata su pochi membri della famiglia e sulla costruzione di amicitie (Kent 1978).
Nella seconda metà degli anni ’20, Giovanni, forte del consenso della sua ‘rete’, si oppose più chiaramente all’oligarchia albizzesca. Questa si accorse solo allora di avere a che fare con un pericoloso avversario, ma non riuscì a ricompattarsi, sebbene nel 1426 Niccolò da Uzzano l’avesse messa in guardia contro la «gente nuova», già tanto forte nelle dinamiche elettorali e di voto «che poco men che tutto il cerchio è loro». A capo del gruppo, c’era la «malescia noce» Giovanni (Versi 1843).
Il Medici non aveva però il pieno controllo delle istituzioni. Un episodio significativo di questa delicata fase di passaggio è l’istituzione del catasto del 1427, ovvero l’adozione di nuove modalità di accertamento patrimoniale a fini fiscali. Giovanni mostrò più di una riserva, per il sistema in sé e perché serviva a finanziare la guerra contro Milano, che non lo trovava d’accordo (Berti 1860; Conti 1984, pp. 119-137). Per giunta il nuovo sistema lo colpì pesantemente, dato che la sua ricchezza era costituita soprattutto da beni mobili: Giovanni fu il secondo cittadino più tassato, dopo Palla Strozzi. Poiché il popolo fiorentino era favorevole al nuovo sistema, la sua opposizione fu assai prudente e attenta a salvaguardare il consenso e la popolarità dalla quale egli era circondato: probabilmente, si dichiarò favorevole in pubblico e limitò la sua opposizione al chiuso dei consigli (Dami 1899, pp. 70-82).
Secondo la tradizione Giovanni trovava consenso proprio nel popolo, in quell’ampia parte della società che il gruppo dirigente albizzesco aveva escluso dalla gestione del potere, con particolare ostinazione dopo il tumulto dei Ciompi e la crisi del 1393. Parte di quel consenso originava dall’impegno di altri Medici per il fronte popolare. Sebbene il suo ramo non fosse implicato, il nome di famiglia richiamava pur sempre le simpatie e le speranze dei popolari.
Questi accorti comportamenti fecero sì che negli ultimi anni della sua vita Giovanni fosse ormai uno dei cittadini più eminenti di Firenze. Ricchezza e reti finanziarie, influenza e legami politici e la fama di uomo saggio contribuirono a costruire la sua preminenza. Essa era stata riconosciuta nel 1422 da Martino V con la nomina a conte di Monteverde. Ma con lungimiranza Giovanni respinse il titolo, per poter curare i suoi affari nei modi consueti ed evitare di esporsi agli attacchi degli avversari politici e di alienarsi il consenso popolare (De Roover 1970, p. 75).
Questa discrezione non significa tuttavia che Giovanni abbia rinunciato del tutto a rappresentare materialmente l’eminenza raggiunta, pur evitando l’ostentazione clamorosa.
Egli sfruttò il patrimonio immobiliare ereditato per creare il primo nucleo del futuro palazzo Medici, attraverso l’aggregazione di edifici adiacenti. Pur senza far costruire una residenza ‘signorile’, consolidò il precedente orientamento dei Medici, che trovarono nella via Larga (odierna via Cavour) lo spazio urbano ideale per rappresentare l’ascesa nel contesto sociale fiorentino (Il palazzo Medici 1990, pp. 38-43). Giovanni partecipò all’ampliamento della chiesa di San Lorenzo, anche se non fu lui a ispirarlo né a chiamare Filippo Brunelleschi. Egli riuscì invece a orientare il lavoro dell’architetto sulla sacrestia e sulle cappelle del transetto, di cui ottenne il patronato con un più cospicuo finanziamento. Gli spazi di sepoltura riservati ai Medici furono così completati intorno al 1427 (Trachtenberg 2015).
Giovanni si spense il 20 febbraio 1429, a quasi settant’anni di età. Non fece testamento, ma secondo il bisnipote Lorenzo il Magnifico lasciò un patrimonio di circa 180.000 fiorini (Fabroni, 1874, p. 6).
Terminava così la vita di un abile banchiere e politico, capace di creare le premesse per lo sviluppo di una ‘dinastia’, secondo indirizzi politici ed economici nuovi elaborati sulla scorta dell’esperienza di Vieri di Cambio. Giovanni marcò una netta differenziazione e un salto di qualità rispetto ai Medici del Trecento. Nel campo economico, prese con decisione la strada del credito, praticata su piccola scala dai suoi avi, mentre in quello politico introdusse una combinazione di fattori come via per il successo. Questo mix era costituito da relazioni finanziarie, legami esterni e interni alla città a base economica, attenzione al popolo, abilità nel farsi strada senza suscitare sospetti, abbandonando le turbolenze rivoluzionarie di alcuni rami della sua famiglia. Tutto ciò fece di Giovanni un vero innovatore e il fondatore non solo delle fortune materiali e politiche dei Medici, ma anche del loro modus operandi, del loro stile di potere ‘informale’.
Fonti e bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Consulte e pratiche, 35-48; Mediceo avanti il principato, 153, 1; Signori, Legazioni e commissarie, 3; Versi fatti da Niccolò da Uzzano, a cura di G. Canestrini, in Arch. storico italiano, IV (1843), pp. 297-300; P. Berti, Nuovi documenti intorno al catasto fiorentino, in Giornale storico degli archivi toscani, IV (1860), pp. 32-62; A. Fabroni, Laurentii Medicis magnifici vita, Pisa 1874, vol. II; B. Dami, Giovanni Bicci dei Medici nella vita politica. Ricerche storiche (1400-1429), Firenze 1899; F.A. Gaupp, De eerste Medici, Geldwisselaars-kooplieden-bankiers, in Wegbereiders der Renaissance, Amsterdam 1949, pp. 7-51; R. de Roover, I libri segreti del Banco de’ Medici, in Arch. storico italiano, CVII (1949), pp. 236-240; G.A. Brucker, The Medici in the fourteenth century, in Speculum, XXXII/1 (1957), pp. 1-26; R. de Roover, Gli antecedenti del Banco Mediceo e l’azienda bancaria di messer Vieri di Cambio de’ Medici, in Arch. storico italiano, CXXIII (1965), pp. 3-13; A. Esch, Bankiers der Kirche im Grossen Schisma, in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken, 46 (1966), pp. 277-398; G. Holmes, How the Medici became the Pope’s bankers, in Florentine Studies. Politics and Society in Renaissance Florence, a cura di N. Rubinstein, London 1968, pp. 357-380; R. de Roover, Il banco Medici dalle origini al declino (1397-1494), Firenze 1970 (ed. orig. Cambridge, Mass., 1963); G.A. Brucker, The Civic World of Early Renaissance Florence, Princeton 1977; I. Hyman, Fifteenth Century Florentine Studies. The Palazzo Medici and a Ledger for the Church of San Lorenzo, New York 1977; D. Kent, The rise of the Medici. Faction in Florence, 1426-1434, Oxford 1978; Le «consulte» e «pratiche» della Repubblica fiorentina nel Quattrocento, I, 1401. Cancellierato di Coluccio Salutati, a cura di E. Conti, Pisa 1981; E. Conti, L’imposta diretta a Firenze nel Quattrocento (1427-1494), Roma 1984; Il palazzo Medici Riccardi di Firenze, a cura di G. Cherubini - G. Fanelli, Firenze 1990; Le Consulte e Pratiche della Repubblica fiorentina (1404), a cura di R. Ninci, Roma 1991; M. Nocentini Nucci, Giovanni di Bicci e Cosimo Pater Patriae: la committenza medicea negli inventari di arredi della basilica di San Lorenzo, in Rivista d’arte, XLIII (1991), pp. 19-32; H. Saalman, Filippo Brunelleschi. The Buildings, London 1993; U. Schedler, Giovanni di Bicci, Filippo Brunelleschi und der Bau von S. Lorenzo in Florenz, in Münchner Jahrbuch der bildenden Kunst, XLIV (1993), pp. 47-72; Le consulte e pratiche della Repubblica fiorentina, a cura di L. De Angelis - R. Ninci - P. Pirillo, Roma 1996; Inventari Medicei, 1417-1465: Giovanni di Bicci, Cosimo e Lorenzo di Giovanni, Piero di Cosimo, a cura di M. Spallanzani, Firenze 1996; U. Procacci, Studio sul catasto fiorentino, Firenze 1996; K. Bell, Medici, Giovanni de, “di Bicci” (1360-1429), in The Late Medieval Age of Crisis and Renewal, 1300-1500. A Biographical Dictionary, a cura di C.J. Drees, Westport, Conn. 2001, pp. 342-344; G. Rosendahl, Giovanni di Bicci (1360-1429), in Die Medici. Menschen, Macht und Leidenschaft, a cura di A. Wieczorek, Regensburg 2013, pp. 49-50; M. Trachtenberg, Building and Writing S. Lorenzo in Florence: Architect, Biographer, Patron, and Prior, in The Art Bulletin, 97/2 (2015), pp. 140-172.