GIOVANNI di Bonino
Pittore, mosaicista e maestro vetrario originario di Assisi, documentato a Orvieto e Perugia tra il 1325 e il 1347.La prolungata attività di G. nel cantiere del duomo di Orvieto è nota grazie alla documentazione superstite nell'Arch. dell'Opera del Duomo, parzialmente pubblicata da Fumi (1891) e più di recente da Harding (1989). Dal settembre al dicembre 1325 si succedettero i pagamenti a "M. Iohanni Bonini pictori de Asisio" per l'esecuzione di vetrate forse per le finestre delle navate laterali, con uno stipendio giornaliero di dieci soldi, più che doppio rispetto a quello versato agli altri maestri impegnati nell'impresa, Andrea di Mino da Siena, Buccio di Leonardello da Orvieto e Tino di Angelo da Assisi. Contemporaneamente G. partecipò, non è noto a quale titolo, alla decorazione scultorea della facciata, per la quale nel dicembre dello stesso anno ricevette un compenso giornaliero di appena due soldi e sei denari, cioè la paga più bassa percepita, risultando però l'unico maestro contrassegnato con la qualifica di pittore. Ulteriori pagamenti per le vetrate della chiesa si succedettero nei primi mesi del 1330 e nel maggio 1332; G. vi compariva con l'appellativo 'dal vetro', in relazione all'attività svolta, e continuava a percepire il compenso più alto tra i lavoranti. Tra il gennaio e il marzo 1334 G. fu impegnato nell'ultimazione della grande vetrata absidale, che eseguì ad cottimum, cioè in posizione di assoluta autonomia, secondo quanto stabilito con il capomastro Nicola di Nuto, succeduto a Lorenzo Maitani. Completate le vetrate figurate, G. venne coinvolto nel rivestimento in mosaico della facciata. Nel luglio 1345 risultava presente a Perugia, dove i Canonici Regolari del duomo orvietano lo mandarono a chiamare "pro muysyo faciendo et operando in anteriore pariete dicte ecclesie". Il mese seguente era già all'opera con un salario mensile di quattro fiorini e un terzo; nel novembre 1347 continuava a percepire un identico compenso. I Canonici del Capitolo gli fornirono anche l'alloggio e nel dicembre 1347 venne pagato l'affitto di un intero anno per la casa occupata da "magister Iohannes Bonini magister musayci operis dicte ecclesie".A causa della perdita delle vetrate delle navate e del rifacimento dei mosaici della facciata del duomo di Orvieto, il riconoscimento della figura artistica di G. è affidato soltanto alla grande vetrata absidale. L'estensione del programma - che tra parti antiche e rifacimenti moderni comprende ventidue episodi della Redenzione, tutti dedicati alla Vita della Vergine, tranne tre storie della Vita di Cristo, affrontati ad altrettante figure di profeti con cartigli, ed è chiuso in alto da una rosa con il Redentore benedicente tra i simboli degli evangelisti - coinvolse probabilmente più di un maestro, analogamente a quanto è documentato per le perdute vetrate della navata. Dalle carte dell'Arch. dell'Opera del Duomo risulta che G. svolse un ruolo egemone, addirittura in regime di monopolio, ed è quasi certo che egli, più volte ricordato con la qualifica di pittore, fosse anche l'autore dei cartoni - salvo forse le figure della rosa improntate a una gracile raffinatezza 'senese', per le quali si potrebbe eventualmente fare il nome dell'altrimenti ignoto Andrea di Mino da Siena -, nonché responsabile della loro traduzione su vetro; non sembra giustificato assegnare i cartoni delle storie a Lorenzo Maitani, essendo costui già morto nel 1330. L'evidente parallelo con i rilievi scultorei della facciata non è limitato alla sola scelta del tema - dove si esalta il ruolo della Vergine nella storia della salvazione - o all'alternanza tra composizioni e figure isolate, come nei due pilastri centrali, ma ne condivide l'intensità espressiva e la predilezione per un naturalismo ornato preludente al Gotico internazionale, che ne fanno "il risultato più valido e originale dell'intera storia delle vetrate italiane" (Castelnuovo, 1958).Fuori di Orvieto, la ricerca di tracce ulteriori dell'attività di G. come maestro vetrario ha avuto per oggetto i centri umbri di Assisi e Perugia. Gnoli (1923) riferì per primo a G. l'esecuzione di una vetrata con la Crocifissione per la sagrestia della chiesa di S. Agostino di Perugia (Gall. Naz. dell'Umbria), che presenta palmari somiglianze con la vetrata orvietana e che dovrebbe risalire al tempo del documentato soggiorno perugino di G., cioè prima del 1345. Più problematico è il riconoscimento della sua probabile attività ad Assisi, che dovrebbe eventualmente collocarsi ante 1319 - quando una rubrica dello Statuto di Assisi si preoccupava dell'integrità delle finestre in vetro della basilica di S. Francesco - e prima dei moti ghibellini del 1319-1320, cioè a una distanza cronologica di oltre tre lustri rispetto al finestrone orvietano. La provenienza da Assisi di G. ha condotto numerosi studiosi a ricercarne la formazione nella fabbrica della basilica di S. Francesco, dove sin dalla metà del sec. 13° operavano maestri vetrari d'Oltralpe nelle finestre della chiesa superiore. Il nobile eugubino Ranghiasci (1820) - collezionista di dipinti di maestri 'primitivi' e autore del restauro degli affreschi nella basilica inferiore -, che era a conoscenza dell'attività orvietana di G. grazie agli scritti di Della Valle (1791), segnalò come opera del maestro le vetrate della cappella di S. Caterina della basilica inferiore, a sua detta eseguite in collaborazione con Angioletto e Pietro da Gubbio, senza però produrre elementi di prova; assegnò invece al solo Angioletto, del quale diceva di possedere alcune tavolette a tempera e studi per vetrate, le vetrate della cappella di S. Ludovico nella stessa chiesa. Forti affinità con il finestrone orvietano sono ravvisabili nelle vetrate di alcune cappelle nella navata della basilica inferiore - di S. Martino, S. Antonio da Padova, S. Ludovico e S. Caterina -, eseguite all'interno di una sola bottega benché in esse compaiano sottili differenze nella pittura su vetro, forse dovute all'intervento di collaboratori nella traduzione dai cartoni. I caratteri figurativi di queste vetrate dipendono dallo stesso momento 'gotico' di Giotto, illustrato nella basilica assisiate dalle storie dell'Infanzia di Cristo del transetto destro e dalle Virtù francescane della crociera - mentre le vetrate della cappella di S. Martino, che precedono gli affreschi alle pareti, risentono della conoscenza della Maestà di Simone Martini nel Palazzo Pubblico di Siena -, cioè del più stretto parallelo in pittura con i rilievi della facciata orvietana. In questo contesto va ricondotta anche la figura di S. Francesco a mosaico che orna il portale della basilica inferiore - scolpito entro il secondo decennio del Trecento da lapicidi locali in contatto con il cantiere del duomo orvietano -, che può forse restituire un'idea della futura attività come mosaicista di G. di Bonino.In queste vetrate assisiati si è voluto riconoscere un disegno del Maestro di Figline (Marchini, 1969; Boskovits, in Offner, Steinweg, 1984), un eccentrico seguace di Giotto autore di una Maestà della collegiata di Figline Valdarno, variamente attivo tra Assisi (Maestà nella sagrestia della basilica inferiore di S. Francesco, affreschi nella chiesa di S. Maria in Arce a Rocca Sant'Angelo) e Firenze (vetrate sovrastanti la cappella Bardi, Crocifisso nella cappella Maggiore e Assunta della cappella Tosinghi-Spinelli in Santa Croce), noto nella letteratura di lingua anglosassone sotto lo pseudonimo di Maestro della Pietà Fogg, da una Pietà conservata a Cambridge (MA), Harvard Univ. Art Mus., Fogg Art Mus., che era nel secolo scorso a Gubbio nella Coll. Ranghiasci, parte di un grande polittico proveniente da una chiesa francescana dell'Umbria (Todini, Zanardi, 1980). Marchini (1969; 1973b) ha proposto con buoni argomenti di identificare l'anonimo pittore con G. di Bonino.
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