GIOVANNI di Corraduccio
Non si conosce la data di nascita di questo pittore, probabilmente originario di Foligno, documentato a partire dal 1404 e fino al 1437.
Citato nelle fonti (Scarpellini, 1976, pp. 121-123) come "magister Iohannes Coradutii de Fulgineo pictor", "magister Iohannes Corradutii alias Mazaforte pictor" o anche "magister Iohannes Coradutii Galassi alias Macçaforte pictor de Fulgineo", G. fu a capo di una bottega molto attiva in ambito umbro-marchigiano.
Il suo nome compare per la prima volta in un documento datato 1404, già nell'archivio della chiesa di S. Gregorio Maggiore a Spoleto, oggi perduto, in relazione a un gonfalone da lui eseguito e destinato a quella chiesa (ibid., p. 121). Nel 1411 (ibid., p. 24) o 1413 (Antonelli), G. realizzò nella stessa chiesa un affresco nella "finestra de mezo dellu frontespizio", finestra da identificarsi con il "rincasso" centrale nella parte superiore della facciata (Toscano, 1963, p. 40). Il 6 apr. 1415, G. promise a Gregorio di Nicoluccio di decorare la trecentesca cappella della S. Croce nel duomo di Fabriano con Storie del ritrovamento della s. Croce e altri temi; per questo lavoro rilasciò quietanza di pagamento il 25 giugno dello stesso anno (Felicetti, p. 218). Infine, nel 1417, eseguì alcune pitture per la cappella di un tale "Mactiolius Pauli Ventaculi" nella chiesa di S. Maria degli Angeli in Assisi (Scarpellini, 1976, p. 122).
Non altrimenti noto il gonfalone e distrutta la cappella assisiate (ibid., p. 35), soltanto i frammenti ad affresco, ancora presenti sulla facciata della chiesa di S. Gregorio Maggiore a Spoleto, e i pochi brani di pittura murale, conservatisi nella ex cappella della S. Croce nel duomo di Fabriano, permettono di tracciare un profilo della figura di G. e della sua opera.
Dell'affresco spoletino è leggibile solo un'esigua porzione della zona superiore, dove rimangono il partito decorativo dell'intradosso del rincasso, alcuni racemi acantiformi alternati a tondi, e, sulla parete di facciata, cinque angeli a mezzo busto ai lati di una mandorla. Inoltre si vedono le impronte in rilievo di quattro aureole, due delle quali, poste ai lati della mandorla, potrebbero indicare la presenza di due santi.
Questi lacerti, segnalati da Toscano (1963, p. 40) come opera di un Giovanni da Foligno distinto da G. ed esclusi dal gruppo di opere assegnate al pittore da Longhi, Zeri (1963) e Boskovits (1977), vennero per la prima volta inseriti nel corpus di G. dallo stesso Zeri (1976). La sua ipotesi venne accolta da Scarpellini (1976, p. 73) e dalla storiografia successiva. Inoltre, Scarpellini propose di riconoscervi le parti superstiti di una Deesis o Giudizio con Cristo tra la Madonna e s. Giovanni.
Il frammentario stato di conservazione dell'affresco rende difficile una sua approfondita analisi stilistica. Tuttavia, dalla generale distribuzione delle poche figure visibili e dalla scansione degli angeli, scalati severamente ai lati della mandorla secondo criteri di rigida simmetria, emerge l'adesione a un modello iconografico di tipo tradizionale e la volontà di accentuare i valori ieratici del soggetto.
Alcune precisazioni, circa le peculiarità stilistiche del maestro e della sua bottega, possono invece evincersi dall'esame dei pur esigui resti della decorazione della cappella della S. Croce nel duomo di Fabriano. Il documento relativo alla commissione a G. di un ciclo di affreschi per questo ambiente venne reso noto da Adamo Rossi (1872), che però non fu in grado di individuare i dipinti superstiti, probabilmente a quella data già scialbati (Scarpellini, 1976, pp. 13, 81). Solo nel 1925 Raymond Van Marle (p. 176) segnalò l'esistenza in una stanza dietro la sagrestia di una Crocifissione e l'attribuì a un pittore locale influenzato dall'arte senese. Queste pitture furono per la prima volta riconosciute come opere di G. nel 1930 da Molajoli, il quale dimostrò che i vani a sinistra del coro erano in realtà le strutture superstiti della cappella della S. Croce, menzionata nel documento pubblicato da Rossi, e che i dipinti lì visibili erano parte della decorazione commissionata a G. nel 1415.
Il complesso decorativo fabrianese appare gravemente mutilato da strutture seicentesche. Dell'originario ciclo pittorico restano soltanto alcune figure forse di santi vescovi (Scarpellini, 1976, p. 81), poste in due vele visibili dal locale dell'organo; alcuni brani della Crocifissione nella parete orientale (la parte inferiore del Cristo Crocifisso, la Maddalena inginocchiata ai piedi della Croce, s. Giovanni, Longino e il gruppo delle pie donne); e infine, nella parete opposta, in un unico pannello, due episodi della Leggenda della Croce (a destra, S. Elena e s. Ciriaco che porta la Croce e, a sinistra, S. Elena che adora la Croce). Anche qui si possono notare la composizione fortemente cadenzata e solenne, statica e iconica, estranea a divagazioni aneddotiche, e la presenza di personaggi caratterizzati e monumentali. Il vestiario indossato da s. Elena, d'altro canto, indica la non estraneità del pittore ai vezzi della pittura tardogotica.
Il catalogo di G. è stato continuamente modificato dalla critica.
Nel 1962 Roberto Longhi attribuì al maestro folignate, proprio sulla base delle analogie stilistiche che egli riscontrava con i frammenti di Fabriano, un trittico esposto nella Pinacoteca di Trevi raffigurante Storie della infanzia e della Passione di Cristoe figure di santi, "vari affreschi nel S. Francesco di Montefalco" e un trittico di proprietà Viezzoli (Genova), che successivamente fu ricondotto da Zeri (1963, p. 32) nel catalogo del Maestro della Dormitio di Terni. Quest'ultimo (ibid., p. 43) aggiunse ancora al corpus proposto da Longhi una Crocifissione e una Dormitio Virginis, affrescati nella cappella in fondo alla navata sinistra della chiesa di S. Francesco a Giano dell'Umbria (Perugia) e un trittico con Madonna col Bambino in trono fra santi, già nella collezione Volpi (Firenze) poi in quella Leuchter (Monaco di Baviera) e quindi nella collezione Heinz Kisters a Kreuzlingen.
Una Crocifissione dipinta all'interno dell'oratorio di S. Leonardo (detto anche di S. Francescuccio) ad Assisi fu attribuita a G. da Scarpellini (1969). Nel 1974, una rettifica al corpus proposto da Longhi e da Zeri venne avanzata da Santi. I contributi prima di Boskovits (1977) e quindi di nuovo di Scarpellini (1976) portarono a un incremento considerevole del numero di dipinti assegnati a G. e alla sua bottega; numero ampliato ulteriormente da Lunghi nel 1982 e ricapitolato nel 1989 da Todini.
La critica, a partire dagli studi di Scarpellini (1976), ha ravvisato nella produzione di G. gli influssi della pittura marchigiana e del pittore Cola di Pietro, giustificati dal documentato soggiorno del pittore a Fabriano e da un suo ipotetico passaggio a Camerino, e la presenza di forti componenti artistiche di origine umbra.
In particolar modo sono state evidenziate le analogie esistenti fra le modalità compositive, iconografiche e stilistiche adottate da G. e quelle proposte all'inizio del secolo precedente in S. Francesco ad Assisi, soprattutto nella basilica inferiore, e reiterate nelle opere dei tanti anonimi maestri attivi nella prima metà del Trecento nella valle spoletina. In questa profonda adesione di G. ai fondamentali testi del Trecento umbro, Scarpellini riconobbe la medesima tensione arcaicizzante riscontrata nell'opera del Maestro della Dormitio di Terni e propose di collocare la formazione di G. nell'ambito di questo pittore, vero e proprio caposcuola di area spoletina tra la fine del Trecento e l'inizio del Quattrocento. La presenza di G. a Spoleto, prima nel 1404 poi nel 1411-13, e la sua attività nella chiesa di S. Gregorio Maggiore davano ulteriore sostegno alla sua ipotesi. Tuttavia, l'accresciuta conoscenza delle correnti pittoriche umbre dell'inizio del Quattrocento ha permesso di comprendere come la tendenza a riproporre modelli trecenteschi, spesso congiunta a un moderato aggiornamento in chiave tardogotica, a volte limitato a singoli motivi, a volte esteso all'impaginazione complessiva dell'opera, fu patrimonio comune di tutta una generazione d'artisti. Anche se, dunque, immutata è l'opinione di far discendere G. e più in generale la scuola folignate da quella spoletina, più incerto deve intendersi il giudizio in merito alla formazione del maestro.
Il processo di revisione del catalogo di G. ha finora portato a espungere alcune delle commissioni più importanti e una parte dei lavori qualitativamente più alti assegnatigli in passato.
Si tratta della decorazione della cella della beata Angelina e del refettorio nel protomonastero di S. Anna a Foligno (Toscano, 1987, p. 355), dell'Età dell'uomo nel corridoio di palazzo Trinci a Foligno (Fratini, 1987), delle Storie di s. Antonio Abate nella quinta cappella della navata destra nella chiesa di S. Francesco a Montefalco (Toscano - Silvestrelli, pp. 22, 91-96), opere tutte attribuite a un altro pittore folignate, Andrea di Cagno. Lo stato attuale delle ricerche sulla pittura umbra protoquattrocentesca induce pertanto a definire G. come una sorta di "nome-pilota" (Toscano, 1987, p. 355), funzionale a un inquadramento complessivo delle molte componenti rientranti nelle opere dei numerosi e anonimi protagonisti della corrente tardogotica.
Il nome di G. compare per l'ultima volta in un documento del 29 giugno 1437 (Scarpellini, 1976, p. 123). Poiché tre anni dopo il figlio Pietro, anch'egli pittore, stipulò da solo un contratto d'affitto per una bottega (ibid.), si ritiene che G. possa essere morto intorno a quella data (ibid., p. 23).
Pietro Mazzaforte e suo genero, Nicolò di Liberatore detto l'Alunno, perpetuarono e rinnovarono l'arte di G. ben oltre la seconda metà del Quattrocento (Galassi, 1994).
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