GIOVANNI di Francesco da Imola, detto Conte Giovanni
Sono pervenute poche notizie su questo scultore originario di Imola, di cui si ignora la data di nascita e ogni dato biografico fino al 1413, quando risulta lavorare a Lucca in collaborazione con Iacopo della Quercia.
Sembra comunque probabile che l'incontro tra G. e il maestro senese sia avvenuto prima di quella data: due dei putti reggighirlanda che ornano il sarcofago del monumento di Ilaria Del Carretto nel duomo di Lucca, realizzati intorno al 1407 e distinguibili dalle plastiche figure quercesche per una più marcata componente linearistica, potrebbero infatti costituire il primo lavoro sinora noto dell'artista.
Alla mano di G. è stata anche ricondotta la Tomba di S. Agnello nella prima sacrestia della stessa chiesa, forse poco più tarda del sepolcro di Ilaria, che viene però pure attribuita a Iacopo della Quercia e ad Antonio Pardini (Beck, 1991).
La notizia della collaborazione tra G. e Iacopo della Quercia nel 1413 è fornita dalla documentazione relativa a un procedimento penale, al quale G. fu sottoposto in quell'anno a seguito di una denuncia di Giovanni Malpighi.
Il nobile lucchese aveva accusato lo scultore di aver intessuto una relazione adulterina con la moglie del fratello Nicola, Chiara Sembrini, di cui avrebbe acquisito e ricettato alcuni beni con la complicità di Iacopo, che lavorava con lui nella cappella Trenta in S. Frediano e col quale divideva anche una casa nella contrada di S. Maria dei Servi. Per preservare il buon nome della sua famiglia, l'accusatore chiedeva a Paolo Guinigi di non rivelare pubblicamente gli eventi incriminanti, ma di condannare piuttosto i due scultori per il reato di sodomia. G. fu interrogato il 16 apr. 1414, condannato il 28, e poi rinchiuso per tre anni nelle carceri del Sasso; Iacopo riuscì invece a riparare a Siena, dove era atteso per continuare l'esecuzione della fonte Gaia (Lazzareschi).
All'epoca della sua incarcerazione G. doveva aver raggiunto una notevole affermazione professionale, in quanto influenti personaggi, quali il signore di Imola Gian Galeazzo Manfredi, Rinaldo Gianfigliazzi, Niccolò Ussano, nonché la Signoria di Firenze, si mossero a intercedere presso il Guinigi per la concessione della grazia (ibid.). Anche Iacopo della Quercia si adoperò per far inoltrare una supplica a nome della Signoria di Siena il 5 genn. 1414 (Ridolfi). Solo il 20 apr. 1417 però Paolo Guinigi accettò di abbassare la cifra della cauzione, che venne pagata il 17 giugno da Girolamo Trenta, certamente per permettere allo scultore di tornare a portare avanti i lavori nella cappella di famiglia, commissionata da Lorenzo, padre di Girolamo (Lazzareschi).
Il ruolo di G. all'interno del cantiere della cappella Trenta non è ancora chiaro.
È difficile riconoscere con certezza la sua mano nella pala marmorea che fu posta sull'altare, raffigurante la Madonna col Bambino tra i ss. Orsola, Lorenzo, Girolamo e Riccardo; l'opera, firmata da Iacopo della Quercia e datata 1422 nella predella, venne indubbiamente ideata e in gran parte realizzata dallo scultore senese, che si avvalse della collaborazione di alcuni aiuti per l'esecuzione degli elementi decorativi. È possibile che la lavorazione del manufatto sia iniziata nel 1412, quando Iacopo ricevette l'incarico di ristrutturare la cappella, e fu necessariamente interrotta a seguito della condanna dei due artisti; nel marzo del 1416, mentre G. era in carcere, Iacopo chiese e ottenne un salvacondotto per tornare a Lucca e soggiornarvi liberamente per un periodo di quattro mesi, durante il quale ebbe quindi modo di portare avanti l'impresa (Lazzareschi). La data 1416 si legge anche nelle due lastre tombali di Lorenzo Trenta e di Lisabetta Onesti Trenta affiancate nel pavimento della cappella, forse iniziate da Iacopo in questo periodo, ma in gran parte eseguite da aiuti. Quando G., scontata la pena, tornò a lavorare a S. Frediano, è possibile che si sia occupato del lavoro di rifinitura dei marmi scolpiti, mentre la data riportata sul dossale va probabilmente riferita alla sola predella, che sembra riflettere infatti una fase più matura dello stile di Iacopo.
Intanto G. si era trasferito a Siena prima del settembre del 1419, quando veniva pagato per una figura intagliata raffigurante lo Spirito Santo e per sei disegni di reliquiari, "quattro picholi e due grandi", che gli erano stati commissionati dall'operaio del duomo senese Caterino di Corsino per inviarli a Venezia e farli esaminare da alcuni orafi (Bacci, 1929, p. 129). Il 25 luglio 1422 fece da compare al battesimo del figlio del maestro di legname Paolo di Martino (Id., 1936).
Probabilmente G. si mantenne anche a Siena in rapporto con Iacopo della Quercia, e sembra che abbia lavorato con lui al gruppo di statue lignee raffigurante la Madonna col Bambino tra quattro santi nella chiesa di S. Martino, realizzando le figure dei Ss. Bartolomeo, Andrea e Giovanni Battista (Bacci, 1936; Carli, 1947 e 1951).
Nel maggio del 1422 lo scultore risulta essere in debito con Piero d'Angelo quando questi nominò procuratore suo figlio Iacopo della Quercia per ottenere la riscossione delle somme dovutegli (Lazzareschi).
L'unica opera certa che si conserva di G., ma da lui eseguita solo parzialmente, è la decorazione scultorea del fronte del nuovo pergamo del duomo di Siena, che l'operaio Bartolomeo di Giovanni Cecchi commissionava a "Chonte di Giovanni da Imola" nel dicembre del 1423, mentre il progetto veniva eseguito da Domenico di Niccolò (Domenico dei Cori).
L'artista era chiamato a scolpire quattro rilievi raffiguranti gli Evangelisti, ma ebbe modo di realizzare solo il S. Marco e iniziare il S. Luca; le rimanenti lastre si devono infatti a Giovanni di Turino, che le portò a compimento il 9 febbr. 1426 (Lusini, p. 331; Bacci, 1929). I rilievi, dopo la demolizione del pulpito, furono murati su una parete della cappella del Sacramento nel duomo.
Nel S. Marco G. dimostra di aver raggiunto, almeno nella sua fase matura, una certa autonomia rispetto ai modelli querceschi, di cui stempera il tornito plasticismo con l'uso di linee nette e angolose, e di definire con una certa sensibilità realistica i tratti somatici del personaggio.
L'importante impresa senese era stata interrotta per il sopraggiungere della morte dell'artista, avvenuta prima del 22 genn. 1425, quando sua moglie, madonna Bianchina, ormai vedova, riceveva dall'Opera del duomo il compenso per la parte del lavoro svolta dal marito (Bacci, 1929, p. 153).
Fonti e Bibl.: R. Ridolfi, L'arte in Lucca studiata nella sua cattedrale, Lucca 1882, pp. 115 s., 370; V. Lusini, Il duomo di Siena, I, Siena 1911, p. 331 n. 146; A. Venturi, Storia dell'arte italiana, VIII, 1, Milano 1923, p. 36; E. Lazzareschi, La dimora a Lucca di Jacopo della Quercia e di G. da I., in Bull. senese di storia patria, XXXI (1925), pp. 63-97; I.B. Supino, Jacopo della Quercia, Bologna 1926, pp. 6, 47; P. Bacci, Jacopo della Quercia. Nuovi documenti e commenti, Siena 1929, pp. 128-134, 151-157; Id., L'altare della famiglia Trenta in S. Frediano di Lucca, in Boll. stor. lucchese, V (1933), pp. 230-236; P. Campetti, L'altare della famiglia Trenta in S. Frediano di Lucca, in Miscellanea di storia dell'arte in onore di Igino Benvenuto Supino, Firenze 1933, pp. 271-294; G. Nicco, Jacopo della Quercia, Firenze 1934, pp. 50, 72; P. Bacci, Francesco di Valdambrino aiuto del Ghiberti e collaboratore di Jacopo della Quercia, Siena 1936, pp. 290 s., 344, 355 s.; L. Grandi Mezzetti, Teste quattrocentesche del duomo di Lucca, in Rivista d'arte, XVIII (1936), pp. 274-278; R. Buscaroli, Lo scultore G. da I., in Melozzo da Forlì, XVI (1938), pp. 72-79; R. Paribeni, Jacopo della Quercia, Roma 1938, pp. 18-20; L. Biagi, Jacopo della Quercia, Firenze 1946, pp. 11 s., 21 s., 62, 65 s.; E. Carli, Capolavori dell'arte senese, Siena 1947, pp. 89-91; Id., Scultura lignea senese, Milano-Firenze 1951, p. 71; J. Pope-Hennessy, Italian Gothic sculpture, London 1955, pp. 213 s.; O. Morisani, Tutta la scultura di Jacopo della Quercia, Milano 1962, pp. 8 s., 48 s., 63-66; A.C. Hanson, Jacopo della Quercia's Fonte Gaia, Oxford 1965, pp. 16-18, 44-49, 96-98, 110 s.; C. Seymour, Jacopo della Quercia sculptor, New Haven-London 1973, pp. 38-44, 102 s.; D. Bruschettini - F. Bellini, in Jacopo della Quercia nell'arte del suo tempo (catal.), Siena 1975, pp. 136 s., 153-155, 166-169; E. Carli, Il duomo di Siena, Genova 1979, pp. 107 s.; J. Beck - A. Amendola, Ilaria del Carretto di Jacopo della Quercia, Milano 1988, pp. 13 s., 18, 28, 31; J. Beck, Jacopo della Quercia, New York 1991, pp. 59 s., 64, 70-77, 151-156, 158-161, 190 s., 362 s.; R. Munman, Sienese Renaissance tomb monuments, Philadelphia 1993, pp. 124-127; G. Giorgi - N. Nicolai, Le due basiliche di S. Frediano nella storia e nell'arte, Lucca 1998, pp. 51-55; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIV, p. 119.