DI GIOVANNI, Giovanni
Nacque a Taormina (Messina) da Giovanni Battista e da Caterina Corvaja il 23 giugno 1699. Dopo aver conseguito a ventidue anni, presso l'università di Catania, la laurea in diritto, si trasferì a Palermo con l'intento di esercitare la professione forense. Ben presto, però, il D. sentì la vocazione al sacerdozio. Compì allora gli studi teologici a Messina, dove ebbe come maestro l'archimandrita Silvio Valenti Gonzaga, che sarebbe poi divenuto cardinale e segretario di Stato di Benedetto XIV. Il Valenti Gonzaga "lo diresse e confortò a' buoni studi, ed a quello in particolare della lingua greca" (Scinà, I, p. 186).
Rientrato a Palermo, su invito dello zio Francesco Paladino, il D. fu eletto canonico della cattedrale e partecipò attivamente del nuovo clima culturale che si veniva formando nell'isola sulla base dell'adesione alle idee di L. A. Muratori. Entrò a far parte della muratoriana Accademia del Buon Gusto, ufficialmente fondata a Palermo nel 1721, e produsse su invito del sodalizio la sua prima opera a stampa: De divinis Siculorum Officiis tractatus (Panormi 1736).
In quest'opera il D. esaminava le variazioni verificatesi nel corso dei secoli nella liturgia e nella salmodia delle Chiese di Sicilia dai primi tempi del cristianesimo fino al periodo posttridentino, dimostrando fine erudizione e buone capacità critiche. La sua pubblicazione gli consentì di aprire una corrispondenza epistolare col Muratori, che lo incoraggiò a proseguire negli studi e nelle ricerche: "La di lei nobil fatica - gli scriveva il 16 ott. 1739 - avrà plauso presso chiunque s'applica a sì fatti studi. Ed io particolarmente me ne congratulo con lei, perché tolta Roma, dove conosco due valentuomini di questa professione, pochi altri ne ha l'Italia" (Muratori, Epistolario, IX, n. 4117).
Nel 1741 il D. enunciava nel Prospectus Siciliae diplomaticae (Panormi 1741) il programma dell'opera che lo avrebbe reso celebre al di fuori dell'isola e che al tempo stesso gli avrebbe procurato gravi dispiaceri in patria: il Codex diplomaticus Siciliae. Il suo disegno prevedeva la raccolta in cinque tomi dei diplomi riguardanti la Sicilia dall'era cristiana sino ai tempi dell'autore. Ma il primo volume, stampato a Palermo nel 1743 e contenente documenti dal I all'XI secolo, incontrò tali e tante opposizioni da convincere il D. a lasciare incompleta l'opera.
In essa l'autore dimostrava fra l'altro che nei primi secoli del cristianesimo la Chiesa siciliana era alle dipendenze del patriarca di Costantinopoli, in conformità con l'antico sistema del decentramento ecclesiastico e con la posizione di vescovo di Roma e patriarca d'Occidente, spettante al romano pontefice. Contro il Codex diplomaticus insorse, ancor prima che venisse messo in circolazione, l'ottantenne A. Mongitore, con uno scritto presentato al Senato di Palermo (Nota agli errori e pregiudizifatti alla Città di Palermo e a tutta la Sicilia dal canonico Di Giovanni nella sua opera intitolata Codexdiplomaticus Siciliae). La violenta requisitoria del Mongitore e la sua repentina morte (da alcuni attribuita ai dispiaceri provocatigli dall'opera del D.) convinsero il Senato palermitano a proibire la diffusione del Codex. Tramite Giuseppe Querci, fiorentino, filogiansenista, che in quegli anni insegnava al collegio dei teatini, alcune copie giunsero a Napoli, Roma e Firenze. G. Lami fu il primo a schierarsi pubblicamente, attraverso le Novelle letterarie (7 giugno 1743), a difesa del D. e a divulgare negli ambienti del riformismo ecclesiastico italiano la fama dell'autore siciliano. Anche il Muratori fece un accenno alla polemica in una lettera a F. Tamburini, datata 12 luglio 1743, in cui prendeva di mira "quei buoni palermitani [che] son forte in collera anche contro il loro canonico Di Giovanni" perché si era permesso di respingere e confutare alcune tradizioni della loro Chiesa (Muratori, Epistolario, X, n. 4739).
La vicenda ebbe parziale soluzione solo nel 1745, quando il Senato palermitano fece esaminare l'opera a una commissione di studiosi presieduta da Antonio Requesens, che ne permise la divulgazione a patto che l'autore inserisse alcune correzioni. Dopo queste vicende, che lo avevano profondamente amareggiato, il D. sospese definitivamente la pubblicazione degli altri tomi del Codex.
A partire dagli anni '40 il D. affiancò all'attività di ricerca quella di riformatore degli studi ecclesiastici, trovando nell'arcivescovo Domenico Rossi un convinto sostenitore. Anche in questo campo si fece promotore di un'ardita riforma che mirava a sottrarre ai gesuiti il monopolio culturale della città e a creare presso il seminario palermitano, di cui nel 1741 era stato nominato rettore, scuole autonome. Nel 1742 l'arcivescovo Rossi, dietro suggerimento del D., ritirava i chierici dal collegio dei gesuiti per farli studiare in seminario, dove vennero istituiti corsi di teologia dommatica e morale, diritto, geometria, filosofia, retorica, lingua latina e italiana, grammatica greca e canto gregoriano.
La riforma del seminario condotta dal D. si muoveva nella linea dell'antigesuitismo, ma soprattutto poneva l'accento sulla Chiesa locale, sul ruolo del vescovo e del clero secolare. Secondo il D. spettava ai vescovi e ai loro preti la cura dei chierici "giacché stando i seminaristi immediatamente soggetti alla direzione del proprio Prelato, e dei suoi Preti, può egli più facilmente ottenere una distinta cognizione del talento, e merito di ciascheduno in particolare, per destinarli poi opportunamente alla cura, chi di una chiesa, chi di un'altra, giusta la capacità di ognun di loro" (Storia dei seminariichiericali, p. 114). Perché le scuole del seminario potessero stare alla pari con il collegio dei gesuiti era tuttavia necessario che venissero abilitate a rilasciare il titolo del dottorato. La facoltà, richiesta dall'arcivescovo Rossi, venne concessa il 30 apr. 1745 da papa Benedetto XIV con il breve In Supereminenti. Anche in questa circostanza, tuttavia, il D. dovette incontrare resistenze e insormontabili ostacoli. I gesuiti, tenaci oppositori della nuova istituzione abilitata a rilasciare il dottorato, intervennero presso l'autorità regia per bloccare l'esecuzione del breve pontificio. Per quanto Carlo III fosse favorevole alle tesi del D., il dibattito sulla questione del seminario di Palermo si trascinò presso la giunta generale di Sicilia per più di un anno e mezzo, fino a che non venne a mancare, per decesso, uno dei principali attori: l'arcivescovo Domenico Rossi, morto il 6 luglio 1747. La questione del seminario venne così risolta all'intemo della stessa Chiesa palermitana. Dapprima il capitolo della cattedrale, in sede vacante, decise la soppressione delle scuole del seminario e, quando il D. ottenne dal re e dal viceré la sospensione del provvedimento, egli dovette pagare la vittoria con la sua rimozione dalla carica di rettore.
Libero da impegni pastorali, il D. tornò a pubblicare. Dapprima diede alle stampe L'ebraismo in Sicilia (Palermo 1748) e, quindi, nel 1749 la Storia dei seminarii chiericali (Roma 1747: questa data venne impressa per motivi di opportunità).
La pubblicazione di quest'ultima opera segnò il momento di maggior contatto del D. con gli ambienti filogiansenisti romani. Attraverso il Querci era entrato in contatto con P. F. Foggini e tramite questo entrò in rapporto con G. Bottari, che poteva essere considerato il capo del movimento giansenista a Roma. Fu proprio il Bottari a fare da patrocinatore alla pubblicazione della Storia dei seminarii, come si evince dal carteggio che si conserva presso la Biblioteca Corsiniana di Roma. "La prego che sospenda la stampa del libro" scriveva il D. a Bottari il 28 giugno 1748. "Terrio che s'ecciti contro di me una grave persecuzione uguale a quella che soffrii per la pubblicazione del 1º tomo della mia Sicilia Diplomatica" (cod. Cors. 1593). L'opera uscì nel 1749 con lo stratagemma dell'anticipo della data di stampa, per evitare che potesse apparire come un atto ostile al nuovo arcivescovo G. Melendez, che aveva definitivamente soppresso le scuole del seminario palermitano.
Malgrado le vicissitudini che caratterizzarono la sua posizione nella Chiesa locale, il D. fu prescelto nel 1748 per la carica di inquisitor fiscale del S. Offizio e nel 1751 arrivò la nomina all'ambita carica di giudice di Monarchia, che egli tenne ricercando una "amichevole concordia tra il Sacerdozio e il Reame" (lettera a G. Bottari del 2 apr. 1751, cod. Cors. 1593).
Morì a Palermo l'8 luglio 1753.
Opere: Modena, Arch. Muratoriano, 67.7, lettera del D. a Muratori del 21 ag. 1739. La Bibl. comunale di Palermo possiede numerosi mss. del D., fra cui citiamo: Al buon governo della Repubblica devono essere insieme le armi e le lettere, discorso recitato all'Accademia dei Geniali il 27 ag. 1724 (29 E 54.14), e la raccolta in 2 voll. di Documenti ed opuscoli riguardanti la Sicilia (Qq H 52 a b). Fra le opere pubblicate postume ricordiamo: Storia ecclesiastica di Sicilia, a cura di S. Lanza, Palermo 1846-1848; Dissertazioni sulla storia di Taormina…, a cura di A. Pierallini, ibid. 1870, Storia ecclesiastica di Taormina, a cura di P. Grima, ibid. 1870; Storia del seminario arcivescovile di Palermo, a cura di A. Narbone-G. Ferrigno, ibid. 1887.
Fonti e Bibl.: Sul D. manca una vera e propria biografia. Cenni sulla sua vita e sulla sua opera in V. Fontana, G. D., in G. E. Ortolani, Biografia degli uomini illustri di Sicilia, II, Napoli 1818, ad vocem; D. Scinà, Prospetto della storia letter. di Sicilia nel secolo decimottavo, Palermo 1823, I, pp. 186, 258-276; S. Lanza, Introduzione a G. Di Giovanni, Storia ecclesiastica di Sicilia, 1846, cit.; G. M. Mira, Bibliografia sicil., Palermo 1875, pp. 430-433; A. Narbone, Mons. G. D., la sua vita e le sue opere, in Nuove Effemeridi siciliane, s. 3, V (1877), pp. 227 ss.; L.A. Muratori, Epistolario, a cura di M. Campori, Modena 1901-1907, IX, n. 4117; X, n. 4739; G. Fasoli, Il Muratori e gli eruditi siciliani del suo tempo, in Miscell. di studi muratoriani, Modena 1951, pp. 116 ss.; M. Condorelli, Note su Stato e Chiesa nel pensiero degli scrittori giansenisti sicil. nel sec. XVIII, in Il Diritto ecclesiastico, LXVIII (1957), 3, pp. 341 s.; G. Giarrizzo, Appunti per la storia culturale della Sicilia settecentesca, in Riv. stor. it., LXXIX (1967), pp. 586-589; F. M. Stabile, Il caso del dottorato in teologia nel seminario di Palermo, in Ho Theologos, IV (1977), pp. 100-108.