Giovanni di Jandun
Filosofo scolastico e chierico regolare, nato a Jandun nelle Ardenne nella seconda metà del secolo XIII, morto presso Todi nel 1328.
Non conosciamo le circostanze della sua formazione e della sua prima carriera scolastica; però è certo che sin dagl'inizi del Duecento egli era professore nella facoltà delle arti dell'università di Parigi. E fu appunto a Parigi che G. si legò di amicizia con un maestro italiano, Marsilio da Padova, che vi era presente già nel 1311. Frutto di questa amicizia fu la probabile collaborazione del maestro alverniate all'elaborazione del Defensor pacis; e anzi, alcuni studiosi (come il Valois) hanno cercato di ‛ isolare ' il contributo di G. alla grande opera marsiliana, indicandolo particolarmente nella I ‛ Dictio ' del Defensor, così legata ai temi aristotelici della Politica e non priva di alcuni espliciti accenni a temi consueti della tradizione ‛ averroistica ' latina. Ma è più probabile che la collaborazione dell'alverniate (se pur si vuole adottare questo concetto) sia consistita piuttosto nella sua profonda e acuta conoscenza dei testi aristotelici, nella rigorosa metodologia logica che ispira tutta la sua opera di commentatore, nell'impostazione generale del suo pensiero sostanzialmente libera di qualsiasi preoccupazione di carattere teologale e sempre aderente alla ‛ littera ' degli scritti di Aristotele e del " Commentator " Averroè.
Comunque il più stretto rapporto con Marsilio dové iniziarsi dopo il 1319, quando il padovano (che era certamente in patria nel maggio del 1315, e nell'aprile del 1319 si recava da Charles de la Marche per offrirgli il capitanato della lega ghibellina lombarda) era tornato di nuovo a Parigi, per dedicarsi nuovamente ai suoi studi prediletti. Una precisa testimonianza di un chierico parigino (Parigi, Bibl. Nazionale, lat. 5696, c. 39) allude infatti alla sua presenza a Parigi, insieme con Marsilio, e li ricorda entrambi " legentes naturalia ". Negli anni tra il 1320 e il 1324 si può dunque porre la più diretta collaborazione dei due ‛ magistri '; difatti proprio nel 1324 il Defensor pacis era terminato e, presto, cominciava a circolare, dapprima anonimo, poi, in breve tempo, come scritto comunemente attribuito a Marsilio e a Giovanni. Le reazioni dei sostenitori delle tesi ierocratiche e dello stesso pontefice allora regnante, Giovanni XXII, non si fecero attendere: nel 1326 i due ‛ magistri ' erano costretti ad abbandonare Parigi e a rifugiarsi, in una data che è impossibile stabilire, presso la corte di Ludovico il Bavaro, eletto imperatore e, già allora, in conflitto con il pontefice.
Insieme con Marsilio, G. seguì l'anno successivo in Italia l'imperatore, mentre ad Avignone veniva aperto un regolare processo contro Ludovico e i suoi seguaci, tra i quali sono citati esplicitamente gli " eretici " Marsilio e G. (cfr. Mon. Germ. Hist., Const. VI I, nn. 273-277). Nell'ottobre, poi, giunto Ludovico in Toscana, Giovanni XXII rinnovava la sua condanna dell'imperatore e confutava il Defensor pacis in un'apposita bolla (cfr. Mon. Germ. Hist., Const. VI I, nn. 361, 264-268; Rinaldi, Annales ecclesiastici, V, Lucca 1750, 347-353). Ma, nel gennaio del 1328, G. era certo ben al sicuro dalle minacce papali, perché si trovava sicuramente a Roma dove forse poté assistere il 17 gennaio all'incoronazione di Ludovico per mano di Sciarra Colonna delegato del " popolo romano ". La notizia della presenza dei due ‛ magistri ' nella città, al seguito dell'imperatore, era del resto anche nota al papa che il 31 marzo scriveva ai Romani di non aiutare i due " eretici " (Mon. Germ. Hist., Const. VI I, nn. 428, 336), e il 15 aprile scriveva al cardinale legato che i due predicavano in Roma apertamente l'eresia e che, pertanto, i cittadini dovevano provvedere a catturarli e custodirli in luogo sicuro (Mon. Germ. Hist., Const. VI I, nn. 439, 363). La risposta di Ludovico fu pronta: mentre confermava il " vicariato " a Marsilio, il 10 maggio nominava G. vescovo di Ferrara (Mon. Germ. Hist., Const. VI I, nn. 444, 366).
È noto che il dominio romano di Ludovico il Bavaro durò ben poco; premuto dalle milizie guelfe di Roberto di Napoli e minacciato dal pericolo di un'insorgenza dei Romani, il sovrano bavarese partì da Roma il 6 agosto 1328; e subito vi entravano i Colonna e gli Orsini, restaurando la signoria pontificia. Il 6 agosto l'imperatore e il suo seguito erano già a Viterbo; il 17 la corte si fermava brevemente a Todi. E proprio qui, intorno a questa data, dev'essere morto G., se è vero quanto scrive Michele da Cesena in un suo scritto del dicembre 1332, dove si discolpa dell'accusa di essere stato in rapporto col Jandun. Questo' - egli dice - " manifeste mortuus fuit in Tuderto, antequam Pisis venirem " (cfr. " Arch. Franc. hist. " IX [1916] 181). Comunque, nonostante che il nome di G. compaia ancora nei documenti polemici delle due parti, non si hanno più precise testimonianze della sua attività dopo l'estate del 1328.
G. di J. deve però la sua fama di filosofo principalmente ai suoi commenti aristotelici, a cominciare dai commentarii al De Anima e al De Coelo et mundo, alla Physica, ai Parva naturalia e alla Metaphysica; al De Substantia orbis di Averroè e alla Expositio problematum Aristotelis di Pietro d'Abano (che non a caso ebbe precise e documentate relazioni con Marsilio). Da autocitazioni contenute nel commento al De Anima risulta inoltre che egli avrebbe scritto altri trattati e, cioè, delle Quaestiones de formatione foetus, delle Quaestiones de gradibus et pluralitate formarum, un Tractatus de specie intelligibili e Duo tractatus de sensu agente. Il Grabmann (Mitteialterliches Geistesleben, II 244 ss.) ha inoltre segnalato una Quaestio utrum elementa sub propriis formis maneant in mixto, che la Maier suppone appartenere verosimilmente al commento del Jandun al De Generatione et corruptione non pervenutoci in forma integrale. Altri testi e " quaestiones " sono stati poi reperiti, nel corso degli ultimi decenni (tra esse, sempre ad opera del Grabmann, le questioni: Utrum aeternis repugnet habere causam efficientem; Utrum elementa suis propriis formis maneant in mixto; Utrum species intelligibilis sit aliud realiter ab actu intelligibili, forse identificabile con il citato De Specie intelligibili). Un altro scritto del Jandun, particolarmente interessante come documento storico, è il De Latidibus Parisius (del novembre 1323), vivace e ricca descrizione della Parigi dei suoi tempi e, soprattutto, degli ambienti scolastici dove ferveva l'attività dei maestri delle arti (intesi a indagare i segreti della natura, l'astrologia, la matematica e le scienze morali), dei teologi, dei giuristi e dei medici.
L'atteggiamento dottrinale di G. è improntato al più rigoroso aristotelismo di tradizione averroistica, ed è probabilmente legato all'insegnamento di Sigieri di Brabante che egli, del resto, difende dalle ‛ calunnie ' dei suoi avversari. G., che si proclama " simia Aristotelis " (In Metaphysica, Venezia 1525, 84), accetta infatti le principali tesi averroistiche (eternità del mondo e della materia: cfr. In Physica VIII 3; In De coelo et mundo I 29), delle quali proclama l'assoluto e indiscutibile valore filosofico. Ma, come gli altri maestri averroisti della sua generazione, avanza la tipica riserva sulla perfetta possibilità " presso Dio " di tutte quelle dottrine o idee che la ragione naturale dimostra impossibili, così come afferma la sua piena e completa fedeltà al magistero della Chiesa nella " scientia de divinis " (cfr. principalmente In De anima III 7 [ediz. Venezia 1587, f. 269]). Sulla questione dell'intellettola sua posizione non diverge sostanzialmente da quella di Sigieri nei suoi testi di sicura attribuzione. E, a proposito della natura e qualità dell'anima umana, scrive che è del tutto impossibile stabilire se essa sia forma sostanziale del corpo, indivisibile e inestesa, prodotta da Dio per pura creazione e, in quanto tale, immortale. Simili " verità " sono accettabili solo per fede, ma indimostrabili per via di ragione (III 12 [f. 291]).
Notevole importanza nei confronti delle dottrine fisiche della prima metà del Trecento riveste il suo commentario In Physica, abbastanza diffuso e citato dai maestri dell'epoca. In questo scritto G. espone le principali interpretazioni averroistiche della cosmologia e della fisica aristotelica, attribuendo talvolta ad Averroè anche soluzioni e dottrine non conformi del tutto alla lettera dei suoi commenti. Ed è interessante notare che proprio attraverso il commento di G. alcune concezioni (come, ad esempio, l'antitesi tra i concetti di " forma fluens " e " fluxus formae " nella concezione del moto; e cfr. A. Maier, Zwischen Philosophie und Mechanik. Studien zur Naturphilosophie der Spätscholastik, Roma 1958, 83 ss.) sono state poi considerate come genuine dottrine averroistiche e, in quanto tali, tutelate dall'alta ‛ auctoritas ' del Commentatore.
D. non cita mai G. nei suoi scritti; né sappiamo se egli abbia potuto conoscere i suoi commenti aristotelici. Bruno Nardi (Nel mondo di D., Roma 1944, 158) ha però rilevato l'affinità della dottrina di D. sulla fievole luce propria della luna e diversa da quella del sole (Mn III IV 17-18) con un passo dell'Expositio in de substantia orbis (cap. II). Sempre nello stesso libro (p. 227) egli ha poi ricordato altri testi di G. (In De anima III 10, 28 e 36; In Metaphysica I 4, II 4) a proposito dell'argomento averroistico secondo il quale solo pochi uomini possono pervenire allo stato di perfetto congiungimento con l'intelletto agente, ripreso anche da D. in Cv IV XIII 7-9; ha notato (p. 234) la vicinanza di altri passi danteschi con il commento alla Metaphysica (I 4 ad 2) laddove si afferma il concetto che il desiderio umano di sapere è soddisfatto in ogni momento dalla collaborazione di tutti gli uomini considerati collettivamente (e cfr. Mn I III 4); e, soprattutto (p. 292), il Nardi ha posto in diretto confronto un testo di G. (In De anima III 10) che pone l'essenza della libertà nel potere della ragione di giudicare senza essere prevenuta da motivi passionali, con quei passi della Monarchia (I XII 3-5) dedicati appunto al problema della libertà umana e con i celebri versi di Pg XVIII 40 ss.
Il fatto che le dottrine esposte da G. siano in gran parte non diverse da quelle di altri scrittori averroisti rende certo difficile, se non addirittura impossibile, l'accertamento di un'effettiva influenza diretta o indiretta dei suoi commenti che, tra l'altro, non hanno una datazione sicuramente accertata. Non v'è dubbio, però, che la figura del maestro alverniate è strettamente legata alla fortuna delle dottrine averroistiche nei primi decenni del Trecento e alla loro più larga diffusione nei vari centri scolastici europei.
Bibl. - Opere ed edizioni: commenti al De Anima, Venezia 1437; alla Physica, ibid. 1488; al De Coelo et mundo, ibid. 1501; ai Parva naturalia, ibid. 1505; alla Metaphysica, ibid. 1525; al De Substantia orbis di Averroè, ibid. 1481 (edizioni tutte più volte ristampate; riproduzioni più recenti: delle Quaestiones in XII libr. Metaph., Francoforte-New York 1966; delle Quaestiones in VIII libr. Physic., Francoforte 1967; del comm. al De Anima, Francoforte-New York 1966); De Laudibus Parisius (ediz. Le Roux De Lincy-Tisserand, in Paris et ses historiens au XIVe et XVe siècles, Parigi 1867, 1-79). Per altre edizioni di testi e frammenti vedi gli studi seguenti: N. Valois, Jean de J., in Histoire littéraire de la France, XXXIII, Parigi 1906, 528-623; E. Gilson, Elude: de philosophie médiévale, ibid. 1921, 51-75; J. Rivière, in Dictionnaire de théologie catholique, VIII I, ibid. 1924, 764 ss.; A. Maier, Ein Beitrag zur Geschichte des italienische Averroismus im; 14. Jahrbundert, in " Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken " XXXIII (1944) 136-157; A. Gewirth, John of J. and the Defensor Pacis, in " Speculum " XXIII (1948) 267-272; A. Maurer, John of J. and the divine Causality, in " Mediaeval Studies " I (1955) 185-207; S. Mcclintock, Perversity and Error. Studies on the " Averroist " John of J., Bloomington 1956; H. Ley, Studien zur Geschichte des Materialismus in Mittelalter, Berlino 1957, 445-462; L. Thorndike, John of J. on Gravitation, in " Journal of the History of Ideas " XIX (1958) 253-255; M. Grignaschi, Il pensiero politico e religioso di G. di J., in " Bull. Ist. Stor. Itai. Medio Evo " LXX (1958) 425-496; A. Pacchi, Note sul commento al " De anima " di G. di J., in " Rivista Crit. Storia della Filos. " XIII (1958) 372-383; XIV (1959) 437-457; XV (1960) 354-375; C.J. Ermatinger, Notes on some early Fourteenth Century Scholastic Philosophers, in " Manuscripta " III (1959) 155-168; Z. KuKsewicz, Les trois " Quaestiones de habitu " dans le ms. Vaticano Ottoboniano 318. Editions des textes de Jean de J., Guillaume Alnwick et Anselme de Côme (?), in " Mediaevalia Philosophica Polonorum " IX (1961) 3-30; ID., " De principio individuationis " de Jean de J.-Ètude du texte d'après le ms. Upsala Bibl. Univ. C. 615, ibid. XI (1963) 93-106; W. Senko, Jean de J. et Thomas Wilton. Contribution à l'établissement des sources des " Quaestiones super I-III de Anima " de Jean de J., in " Bull. Société Intern. Étude Philos Médiévale " V (1963) 139-143; A. Maier, Die italienischen Averroisten des Codex Vaticanus latinus 6768, in " Manuscripta " VIII (1964) 68-82; Z. Kuksewicz, The Concept of Individua Soul of John of Janduno. Naturalistic Elements in the Averroist Psychology, in " Studia mediewistyczne " VII (1966).