GIOVANNI di Minuccio (Giovanni da Siena)
Nacque a Siena nella prima metà del XIV secolo da una famiglia popolare dimorante nel terzo di Camollia.
La figura di G. giurista e diplomatico non deve essere confusa con alcuni suoi omonimi: un Giovanni di Minuccio maliscalcus e un ser Giovanni di Minuccio, impegnati prevalentemente in ambito politico senese; un Giovanni da Siena presente a Padova nell'entourage letterario di Pietro da Moglio; nonché un lettore di grammatica e un maestro di teologia agostiniano, attivi entrambi a Bologna intorno al 1370.
Sin dagli anni della sua formazione universitaria G. si trasferì a Bologna abbandonando la città natale, ove in futuro avrebbe soggiornato solo per brevi periodi. Nell'aprile del 1354 troviamo "Ioannes [de] Senis" - questo era il nome con cui era più comunemente conosciuto al di fuori dell'ambito senese - "iuris peritus, scholaris Bononiae in iure civili studens", presenziare, in qualità di testimone, a un atto relativo alla costituzione di un procuratore da parte di Agapito Colonna arcidiacono di Bologna (Piana, 1976). Dopo aver conseguito il titolo di legum doctor, G. entrò al servizio di Giovanni Visconti da Oleggio, signore della città, divenendone vicario generale e svolgendo per suo conto delicate missioni diplomatiche. Nella primavera del 1358 G. prese parte alle trattative di pace tra Bernabò Visconti e la lega promossa dal legato pontificio, Androino della Rocca, della quale anche l'Oleggio faceva parte. In quell'occasione, al fianco di G. troviamo per la prima volta Niccolò Spinelli, docente dello Studio bolognese e futuro cancelliere del Regno di Sicilia, la cui attività diplomatica si sarebbe spesso intrecciata alla sua.
Risalgono allo stesso periodo le prime esplicite attestazioni della collaborazione di G. con il cardinale Egidio de Albornoz (di nuovo legato, ritornato in Italia nell'ottobre 1358), destinata a durare quasi un decennio sino alla morte del cardinale. Rilevante fu per esempio il ruolo di G. nelle trattative che nel giugno del 1359 permisero al legato pontificio di ottenere la cessione di Forlì da parte di Francesco Ordelaffi. Il parere espresso da G. durante le trattative intercorse tra Giovanni da Oleggio e l'Albornoz nei primi mesi del 1360 - parere condiviso da Niccolò Spinelli - fu inoltre determinante nel convincere il signore di Bologna a cedere la città alla Chiesa. Una volta raggiunto l'accordo, sebbene avesse partecipato alle trattative per conto dell'Oleggio, G. venne lautamente ricompensato anche a spese della Tesoreria pontificia. Secondo la descrizione che Pietro Azario ci ha lasciato nel suo Chronicon, G. - "qui tamquam publicus guelphus vocatus fuit" - avrebbe persuaso il proprio signore a restituire Bologna alla Chiesa, promettendogli che avrebbe ricevuto da quest'ultima grandi benefici. Sin da quest'epoca vengono così in luce due tendenze che avrebbero caratterizzato il prosieguo della carriera diplomatica di G.: una certa propensione a non limitarsi a servire un padrone alla volta e - d'altro canto - la sua fedeltà di fondo alla Curia avignonese e ai suoi rappresentanti.
Dopo che Giovanni Visconti da Oleggio ebbe ottenuto dall'Albornoz la città di Fermo e la carica di rettore della Marca di Ancona, G. lo seguì in qualità di vicario generale, mentre Niccolò Spinelli passò al diretto servizio del legato pontificio. Negli anni seguenti G. alternò l'espletamento delle sue funzioni di vicario allo svolgimento di importanti incarichi diplomatici per conto dell'Albornoz, del quale divenne consigliere. Ricordiamo tra l'altro l'impegnativa missione effettuata con Niccolò Spinelli a Ferrara, Verona e Padova nei primi mesi del 1362 per trattare la stipula di un'alleanza tra i signori di quelle città e il legato pontificio contro Bernabò Visconti. Tre anni più tardi, nel gennaio del 1365, è attestata la presenza di G. a Pescina, nella Marsica, insieme con Guglielmo Guasconi - futuro vescovo di Siena - quale testimone del contratto di condotta concluso dai rappresentanti della Chiesa e della regina di Napoli, Giovanna I d'Angiò, con i componenti della compagnia di ventura anglo-ungherese nota con il nome di Compagnia bianca.
Dopo la morte dell'Oleggio (1366) troviamo G. alle dirette dipendenze della Chiesa: nella primavera del 1367 venne inviato a Praga da Urbano V in qualità di mediatore tra l'imperatore e il Comune di Firenze. Nei mesi successivi fu a Viterbo presso il cardinale Albornoz al seguito della corte pontificia, particolarmente attivo insieme con il cancelliere del Regno di Sicilia Niccolò Spinelli e il segretario pontificio Francesco Bruni nel promuovere una lega contro le compagnie di ventura ma de facto antiviscontea, cui aderirono la Chiesa, la regina di Napoli, Siena, Perugia e il signore di Cortona. Sembra che in questo periodo G. avesse riallacciato rapporti con la propria città natale, divenendo uno dei principali referenti del governo senese presso la corte pontificia.
Con la repentina scomparsa del cardinale legato nell'agosto del 1367 si chiuse un importante capitolo della vicenda di G., impegnato per anni al suo fianco. Analizzando i rapporti intercorsi tra l'Albornoz e il giurista senese, sebbene risultino condivisibili le cautele espresse dal Colliva circa la concreta partecipazione di G. all'elaborazione delle Constitutiones Aegidianae, sembra comunque probabile che la collaborazione tra i due possa essersi estesa non solo all'ambito diplomatico, ma anche a quello legislativo.
Dopo aver preso parte attivamente alla repressione del tumulto scoppiato a Viterbo in seguito alla morte dell'Albornoz, G. seguì a Roma la corte pontificia insieme con gli altri consiliarii camerae di Urbano V. Sino alla primavera del 1368 G., presente in Bologna al fianco del cardinale legato Anglico Grimoard, fu impegnato nella complessa incombenza di dare esecuzione alle ultime volontà dell'Albornoz, che nell'agosto del 1367 lo aveva nominato tra i fiduciari destinati ad affiancare i propri esecutori testamentari.
Le vicende connesse alla seconda discesa dell'imperatore Carlo IV di Lussemburgo in Italia costituiscono l'apice delle fortune politiche di G.: i contatti che egli poteva vantare nelle città toscane, nelle terre della Chiesa e nella stessa corte pontificia resero la sua collaborazione estremamente preziosa per l'imperatore, che lo volle al suo fianco come consigliere nel viaggio verso Roma. Nondimeno G. rimase sempre in contatto epistolare con Urbano V, che lo sollecitava a incitare l'imperatore a perseguire una politica antiviscontea. Nonostante la prolungata assenza dalla propria città natale, G. manteneva in Siena importanti referenti politici. Suo fratello Francesco, detto Fonda, membro influente della fazione cittadina (o "monte") dei Dodici nonché partigiano della potente famiglia Salimbeni, ebbe un ruolo importante nel garantire all'imperatore un tranquillo ingresso in città nell'ottobre del 1368.
Grazie alla possibilità di sfruttare i loro molteplici contatti politici, G. e Francesco furono in grado di giocare un ruolo di primo piano nelle convulse vicende che si svolsero in Siena sino al gennaio del 1369, riuscendo tra l'altro a ottenere in dono dal governo cittadino il castello di Batignano. In particolare G. svolse un ruolo importante nel tentativo di sovvertire il regime popolare senese - attuato nel gennaio del 1369 dal vicario imperiale Malatesta Ungaro, dalla fazione dodicina e dai partigiani della famiglia Salimbeni - conclusosi con l'ignominiosa fuga da Siena dell'imperatore, che pare andasse dicendo in lacrime: "Io so' stato tradito da misser Malatesta e da misser Ioanni e da' Salimbeni e da' Dodici" (Cronaca senese…, p. 626).
L'organizzazione del colpo di mano contro Siena nel gennaio del 1369 segna a un tempo il culmine della carriera di G. e l'inizio del suo declino. La residua fiducia nutrita da Carlo nei confronti del proprio consigliere svanì nell'aprile dello stesso anno, quando G. rivelò a Pietro Gambacorta l'intenzione dell'imperatore di riconsegnare Pisa allo spodestato doge Giovanni Dell'Agnello, provocando la pronta reazione dei Pisani e il fallimento del progetto. Questa volta la sua spregiudicata condotta costò a G., oltre al completo discredito agli occhi di Carlo, anche un periodo di carcere.
Una volta libero G. ritornò presso Anglico Grimoard, vicario pontificio in Bologna, che dimostrò sempre di apprezzare i suoi servigi e la sua fedeltà nei confronti della Chiesa. Durante questo nuovo periodo bolognese G. dedicò una particolare attenzione alle questioni riguardanti Siena e in particolare alla contesa con Arezzo per il controllo del castello di Lucignano.
È probabile che i prelati avignonesi fossero preoccupati per la stabilità politica di quella parte di Toscana, ma è altresì verosimile che G. si prodigasse a favore dei governi senesi pensando al proprio tornaconto, rappresentato da un suo possibile radicamento sul territorio. In quell'area G. vantava infatti diritti - peraltro contestati - su Città della Pieve (Castrum Plebis), sul castello di Batignano e su quello di Pereta, del quale aveva ricevuto il titolo di vicario per conto della Chiesa.
A partire dai primi mesi del 1371 troviamo G. impegnato al diretto servizio del nuovo pontefice Gregorio XI: nel mese di febbraio curò per lui l'acquisto in Bologna di un palazzo destinato a ospitare il collegio detto poi Gregoriano e successivamente ricevette la nomina a vicario di Civitanova nella Marca di Ancona. Dal giugno dello stesso anno G. fu impegnato insieme con Gómez Albornoz in varie missioni diplomatiche in Romagna e in Toscana, partecipando ai negoziati, condotti sotto l'egida della Signoria di Firenze, per la stipula di una nuova lega. Sebbene G. si mostrasse ben disposto nei confronti dei governi senesi, la sua spregiudicata attività lo portò a mantenere contatti anche con i loro oppositori. Nell'aprile del 1372 partecipò addirittura a un tentativo di strappare a Siena il controllo su Montepulciano a vantaggio della Chiesa. Dopo la scoperta di questo "trattato" non risulta che G. sia più tornato in Toscana, essendo impegnato nello svolgimento di missioni diplomatiche per conto del pontefice quasi esclusivamente nel Norditalia. Dal luglio del 1372 G. fu in Piemonte per trattare la stipula di una lega con Amedeo VI di Savoia e Ottone di Brunswick, zio e tutore del marchese di Monferrato, Secondo Ottone. Nei mesi seguenti venne inviato ripetutamente presso il conte di Savoia, prima come consigliere di guerra e successivamente con l'incarico di favorire la pace fra il conte e il marchese di Saluzzo, Federico (II). Sino al maggio del 1373 G. percorse a più riprese tutto il Piemonte, le limitrofe zone lombarde e le valli ticinesi al fine di incitare signori e Comuni alla guerra contro i Visconti, con ampio potere di contrarre convenzioni e patti con gli alleati di Bernabò e Galeazzo al fine di riportarli all'obbedienza della Chiesa. Sembra che in questa occasione G. sia andato oltre il mandato affidatogli, ricevendo un fermo rimprovero da parte di Gregorio XI, che lo invitò a usare con moderazione i propri poteri e le sostanze messe a sua disposizione.
Nel giugno del 1373 G. ricevette insieme con Niccolò Spinelli, allora siniscalco di Provenza, l'invito a operare per la concordia tra la regina di Sicilia e il conte di Savoia. Fu questo l'ultimo incarico ricevuto in comune dai due diplomatici: alla fine di luglio si perdono le tracce di G., recatosi per raccogliere truppe nel Monferrato, ove morì verosimilmente di lì a poco.
Il cronista senese Donato di Neri, in effetti, riporta la notizia della morte di G. in Piemonte, collocandola dopo un avvenimento risalente al 31 luglio e affermando, non senza una buona dose di orgoglio cittadino, che egli "era tenuto il più valente e savio omo d'Italia" (Cronaca senese, p. 651). G. era sicuramente già morto il 22 dic. 1373, quando Gregorio XI chiese a Niccolò Spinelli di restituire a Francesco da Carrara i 2000 fiorini prestati a suo tempo "quondam Ioanni de Senis, de cuius bonis idem Senescalcus habere dicitur" (Lettres secrètes…, 1962-65, n. 2378).
La vita errabonda condotta da G. non gli consentì di fermarsi a lungo nelle città in cui fu attivo, né di radicarsi in modo duraturo. Non gli si conosce del resto alcuna discendenza diretta e anche i suoi precari dominati castrensi nella Toscana meridionale scomparvero ben presto senza lasciare alcuna traccia. Al presente non abbiamo elementi per giudicare l'attività di G. in qualità di giudice e di giurista. Come diplomatico G. ebbe una carriera rapida, quasi fulminea, che non lo portò tuttavia a ricoprire stabilmente cariche prestigiose, come per esempio poté fare Niccolò Spinelli, divenuto cancelliere del Regno di Sicilia. Ad alcuni indubbi successi G. alternò infatti dei fallimenti clamorosi, provocati talvolta dal suo desiderio di ritagliarsi autonomi spazi di intervento. Nonostante la duratura e sincera fedeltà alla Chiesa avignonese abbia garantito a G. la stima e l'appoggio dei più alti prelati del tempo, la condotta ambigua e spregiudicata getta sulla sua personalità una luce alquanto sinistra.
Dopo la morte di G. il fratello Francesco gli subentrò nel vicariato del piccolo castello di Pereta. Ciononostante, non sembra aver seguito la sua carriera, rifiutando la podesteria del castello pontificio di Medicina in Emilia nel giugno del 1374.
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