GIOVANNI di Mone
Nacque probabilmente a Firenze nel corso degli anni Trenta del Trecento.
Le notizie sulla sua vita reperibili nella cronachistica cittadina sono piuttosto scarse. La sua professione, secondo la testimonianza unanime delle fonti, era quella di biadaiolo. G. fu personaggio di una certa importanza nella vita cittadina già a partire dal sesto decennio del secolo XIV, in quel torno di anni che vide a Firenze l'acuirsi dei conflitti sociali tra la parte aristocratica e le forze artigiane dell'economia e della società.
Nell'ottobre del 1358, quindi piuttosto giovane, fu tra i cittadini chiamati a deporre nel processo intentato contro Neri di Giuntino Alamanni, accusato di ghibellinismo, in anni cruciali per la definizione del disegno politico della Parte guelfa: questo processo suscitò infatti una vasta eco polemica ed è registrato da Matteo Villani a testimonianza del dilagare del prepotere della Parte.
Il suo nome, stando alla testimonianza della cronaca di Marchionne di Coppo Stefani, compare nelle liste dei Priori per i periodi gennaio 1365 - gennaio 1366 e gennaio 1374 - gennaio 1375.
Raggiunse una posizione di grande prestigio politico nel 1376, quando prese parte alla Balia degli Otto santi, come furono chiamati gli otto cittadini - uno di famiglia "grande", uno proveniente dal mondo delle arti minori e gli altri sei da quello delle arti maggiori - chiamati a dirigere, con poteri che non avevano precedenti nella storia fiorentina, le operazioni nella guerra contro Gregorio XI (1375-78).
La rilevante esperienza politica nella Balia degli Otto dovette fruttare a G. ulteriore notorietà: nel corso del tumulto dei ciompi, scoppiato al termine della guerra contro il papa, nel 1378, egli fu tra quei cittadini che furono nominati cavalieri del Popolo (ottobre). Secondo quanto attestato da una delle fonti edite da G. Scaramella per la storia del tumulto (p. 205), G., insieme con altri quattro degli Otto santi, con i ghibellini e con gli ammoniti che erano stati vittime della Parte guelfa, animò la sommossa, ordinando ai rivoltosi di agire e di incendiare alcune case di guelfi (luglio 1378).
Di lì a poco gli stessi ciompi gli assegnarono, per le sue benemerenze, la rendita (per un ammontare di 300 fiorini) delle botteghe di piazza Mercato Vecchio; quella stessa rendita, tuttavia, gli fu tolta dopo alcuni giorni nel corso di una tumultuosa adunata dei ciompi, per essergli finalmente restituita con una successiva deliberazione dei Priori.
Nel bimestre gennaio-febbraio 1379 fu nominato gonfaloniere di Giustizia. Non abbiamo che scarne notizie della carriera e dell'attività politica di G. successivamente al tumulto dei ciompi; certamente non venne meno l'importanza che egli aveva acquisito sin dall'epoca della sua partecipazione alla Balia degli Otto santi. Nel 1380 fu console dell'arte degli oliandoli, come risulta dal volgarizzamento (compiuto appunto in quell'anno) dello statuto di quell'arte stilato nel 1345 (Diario d'Anonimo fiorentino, p. 256).
Negli anni successivi al tumulto l'equilibrio politico fiorentino conobbe momenti di grave crisi: vennero meno ben presto le possibilità di riconciliazione tra il regime e i suoi oppositori aristocratici, che presero a complottare per rovesciare il governo.
Particolarmente critica si presentava la situazione ad Arezzo, dove alcuni esuli si erano rifugiati tramando per ottenere l'aiuto del principe Carlo d'Angiò Durazzo; proprio in quella città G. fu inviato come ambasciatore dai Fiorentini nel luglio 1380.
Ad Arezzo G. morì assassinato nel settembre del 1380.
Fu Carlo d'Angiò Durazzo, entrato ad Arezzo come signore il 14 settembre per iniziativa degli Aretini stessi, a informare, non senza grande sconcerto, la Signoria che G. aveva trovato la morte in un agguato mossogli da tre fuorusciti fiorentini - Tommasino da Panzano, messer Bartolomeo da Prato e Moscone dei Becchenugi, come ricorda Bonaccorso Pitti - mentre si recava a omaggiare Carlo. Il 28 settembre fu celebrato in S. Reparata il suo funerale, "e mossonsi dal palagio di nostri Signori tutti i sopraddetti cavagli e arnesi e andarosene verso casa sua a San Piero Maggiore, e ivi si pianse" (Diario d'Anonimo fiorentino, p. 417). In una lettera indirizzata a Carlo per ottenere un salvacondotto per coloro che andarono a prelevarne il cadavere, Coluccio Salutati celebrò la memoria di G. "non odio suo, sed patriae […] extinctus" (cfr. Pitti, p. LIII).
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Podestà, 1064, cc. 123r-132v (in partic. c. 130r); Arte dei pizzicagnoli e oliandoli, 2; Il tumulto dei ciompi. Cronache e memorie, a cura di G. Scaramella, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XVIII, 3, ad ind.; Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca fiorentina, a cura di N. Rodolico, ibid., XXX, 1, ad ind.; Diario d'Anonimo fiorentino dall'anno 1358 al 1389, a cura di A. Gherardi, Firenze 1876, pp. 256, 266, 307, 417, 505, 514, 523; B. Pitti, Cronica, a cura di A. Bacchi Della Lega, Bologna 1905, pp. LIII, 55; Mercanti scrittori. Ricordi nella Firenze tra Medioevo e Rinascimento, a cura di V. Branca, Milano 1986, p. 378; M. Villani, Cronica, a cura di G. Porta, Parma 1995, II, p. 175 (VIII, xxxi, 31-54); G. Capponi, Storia della Repubblica di Firenze, Firenze 1875, pp. 345 s., 358, 364, 597; G.O. Corazzini, I ciompi. Cronache e documenti con notizie intorno alla vita di Michele di Lando, Firenze 1887, pp. 21, 53, 100; G.A. Brucker, Florentine politics and society. 1343-1378, Princeton 1962, pp. 168, 299, 382, 389; G. Pampaloni, Bartolomeo da Prato, in Diz. biogr. degli Italiani, VI, Roma 1964, p. 758; G. Salvemini, La dignità cavalleresca nel Comune di Firenze e altri scritti, a cura di E. Sestan, Milano 1972, p. 180; G.A. Brucker, The civic world of early Renaissance Florence, Princeton 1977, p. 56; J.M. Najemy, Corporatism and consensus in Florentine electoral politics. 1280-1400, Chapel Hill, NC, 1982, pp. 221 s., 230, 238 s.