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GIOVANNI di Pietro, detto lo Spagna

di Enrico Parlato - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 56 (2001)
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GIOVANNI di Pietro, detto lo Spagna (Spagnia, Spana)

Enrico Parlato

Non si conoscono la data e il luogo di nascita di questo pittore, del quale solo il nome di battesimo, il patronimico e l'origine spagnola, attestata dall'aggettivo Hispanus e dal soprannome Spagna, sono i dati biografici che si ritrovano in maniera costante nelle fonti documentarie.

Sulla base delle vicende di G., così fortemente radicate nelle città e nella cultura figurativa umbre, è lecito pensare che nacque nella regione o che comunque vi giunse in età giovanile. Nei documenti finora rinvenuti il suo nome è sempre citato in latino o in italiano e nessuna delle opere certe o attribuite reca tracce di una formazione iberica. Per tradizione l'anno di nascita viene collocato attorno alla metà del Quattrocento, facendone così un contemporaneo del Perugino, Pietro Vannucci, e del Pinturicchio, Bernardino di Betto. Tale cronologia si fonda su un atto di compravendita rogato a Perugia nel 1470, nel quale l'acquirente è chiamato "magistro Iohanni Petri ispano habitatori Perusii" (Gualdi Sabatini, 1984, p. 365). Coincidono quindi nome di battesimo, patronimico e nazionalità, ma non vi è alcun riferimento alla professione: pertanto non è certa l'identificazione con G. proposta a suo tempo da Gnoli. Quindi, partendo sia dai documenti che si riferiscono a G. in maniera non controvertibile, sia dai dati stilistici, gli studi recenti tendono a collocarne la nascita nella generazione successiva.

Dobbiamo a Vasari (p. 592) il primo efficace e sintetico profilo di "Giovanni Spagnuolo, detto per soprannome lo Spagna", compreso nella cerchia dei seguaci del Perugino. Le informazioni relativamente dettagliate che si leggono nella seconda edizione delle Vite furono raccolte da Vasari nel viaggio ad Assisi del 1563 e in quello successivo dell'aprile del 1566, durante il quale visitò, tra l'altro, Perugia, Assisi, Foligno e Spoleto ed entrò in contatto con Dono Doni che era stato allievo di Giovanni. Le opere assisiati e spoletine, le qualità di colorista, i circostanziati dati biografici, tra cui il trasferimento da Perugia a Spoleto, sono segnalati da Vasari, cui spetta il merito di avere individuato l'importanza di G. tra i seguaci umbri del Perugino. La Descrizione… della basilica assisiate scritta da Ludovico da Pietralunga (1575 circa) è un'altra importante fonte per la conoscenza di G., ma ha avuto scarsa eco: il manoscritto è stato consultato all'inizio del Novecento e pubblicato nel 1982. Le ricerche erudite del Mariotti, l'interesse ottocentesco per i "primitivi", le indagini dei conoscitori novecenteschi insieme con la capillare perlustrazione del territorio hanno consentito di ritrovare un cospicuo numero di documenti (raccolti nella monografia della Gualdi Sabatini, a cui si rimanda se non altrimenti indicato) e di ricostruire un catalogo piuttosto ampio.

Il primo riferimento documentario che dà conto dell'artista in maniera del tutto certa risale al 1504. A Perugia, il 9 marzo di quell'anno lo "Spagna depentore" intervenne in un compromesso tra l'amministratore dell'abbazia benedettina di S. Pietro e Fiorenzo di Lorenzo per valutare i dipinti eseguiti da quest'ultimo. Il dato è scarno. Tuttavia sembra indicare un certo prestigio e il buon inserimento tra i pittori perugini del tempo, in un momento nel quale la maniera di Vannucci costituiva ancora un modello fortemente vincolante e a Perugia aveva luogo un felicissimo scambio tra i maestri della vecchia guardia, Perugino e Pinturicchio, e i giovani guidati da uno straordinario esordiente quale era Raffaello.

I primordi di G. non sono facili da circoscrivere, soprattutto se si accetta la tradizionale data di nascita attorno alla metà del Quattrocento. La Gualdi Sabatini (1984) ne propone l'apprendistato presso Bartolomeo Caporali, mentre Zeri (1953) lo colloca nella bottega di Pier Matteo d'Amelia. E si è anche supposto che i cantieri degli umbri a Roma potessero fornirgli occasioni di lavoro e di apprendistato. Il Cristo porta croce (Perugia, monastero della Beata Colomba, 1497 circa), attribuito da Gnoli e spesso indicato come punto di partenza nel suo catalogo, è opera che per il sofisticato grafismo non è del tutto in sintonia con la restante produzione del maestro.

Assai meno problematico è, invece, un gruppo di opere da datarsi nel primo decennio del Cinquecento, entro il 1507. Nell'Orazione nell'orto (Londra, National Gallery), nel S. Girolamo penitente (Roma, Galleria Colonna) e nelle Natività della Spineta (Roma, Pinacoteca Vaticana), di Parigi (Musée du Louvre) e di Berlino (Staatliche Museen, ante 1503) l'adesione a modelli perugineschi è fortissima e rappresenta il passaggio fondamentale per la formazione del pittore, passaggio che determina l'intero sviluppo della sua carriera artistica. Tale legame si evince anche dalla grafica e dall'uso di modelli per mettere a punto sia singole figure sia composizioni intere, come dimostra in maniera esemplare il cartonetto (Firenze, Galleria degli Uffizi, Gabinetto dei disegni e delle stampe), modello per l'Orazione nell'orto londinese. Nei dipinti, la ripresa palmare di particolari, la replica di intere composizioni - talvolta riproposte anche a distanza di anni - nasce da una pratica e da un uso del disegno evidentemente appresi nella bottega di Vannucci, aperta a Perugia nel 1501; quindi la collocazione di G. tra i seguaci del Perugino, indicata da Vasari e da Ludovico da Pietralunga, appare del tutto pertinente ed è inoltre lecito posticipare la sua presunta data di nascita di un quarto di secolo.

La fase perugina di G. ha termine con la Natività ora al Louvre. A tale dipinto, che in origine si trovava nella chiesa di S. Antonio a Perugia, si riferisce un documento del novembre 1510 nel quale Mariano di ser Austerio promette di portare a termine una tavola "già comenzata per Spagna pentore, dove sta una Natività de Cristo ed altre figure" (Gualdi Sabatini, 1984, p. 371). G. aveva quindi dipinto la Natività vera e propria, ma non aveva potuto completare né la cimasa, né la predella che furono poi eseguite da Mariano. Lo scorcio del 1507, considerando gli impegni assunti con i francescani di Todi, potrebbe quindi segnare l'abbandono di Perugia, trasferimento che Vasari (p. 593) evoca nei termini drammatici di un conflitto con gli artisti locali: "se l'invidia dei pittori di quella città, troppo nimici de' forestieri, non l'avessino perseguitato di sorte che gli fu forza ritirarsi in Spoleto". In modo più concreto, Ludovico da Pietralunga fa i nomi di Giannicola di Paolo e di Domenico di Paride Alfani, "artisti di equivalente statura, costretti a muoversi in un campo reso già troppo angusto dall'ingombrante presenza del Perugino" (Mancini, in Pittura in Umbria…, 1983, p. 25), pittori ai quali G. dovette evidentemente cedere il passo.

A partire dal 1508 è documentata la presenza a Macerata di un pittore di nome "Johannes hispanus", artefice che diventa cittadino di quella città in quello stesso anno e risulta poi risiedere nel quartiere di S. Salvatore. Tale figura viene normalmente riconosciuta in G., tuttavia l'identificazione non è esente da ambiguità e contraddizioni, tanto da poter far pensare a un caso di omonimia. Nessuno dei documenti marchigiani registra il patronimico, privandoci di un tassello importante per una individuazione più attendibile. Anche se era consentito essere cittadini di comunità diverse, sembra poi abbastanza insolito che G. ottenesse la cittadinanza spoletina continuando ad avere quella di Macerata fino al 1525. Va anche segnalato che non si rinvengono a Macerata né nelle Marche (con la sola eccezione di Visso, allora parte della diocesi di Spoleto) opere di G., che le commissioni affidate al Giovanni "Hispanus" di Macerata sono solo modeste decorazioni effimere e che le sue condizioni economiche non sembrano essere particolarmente floride, soprattutto se messe a confronto con le iniziative che G. intraprendeva contemporaneamente a Todi e Spoleto. La presenza a Montecassiano, nei pressi di Macerata, di una pala d'altare databile attorno al 1512 (Montevecchi, 1981) e attribuita allo "Iohannes Hispanus" studiato da Zeri (1948) potrebbe essere il bandolo per dipanare la matassa. Espungere tali dati consente una ricostruzione molto più lineare del percorso artistico e biografico di G. (Zezza, 1998), la cui attività va, con molta probabilità, confinata nel territorio umbro.

Il 12 sett. 1507 venne stipulato a Todi il contratto tra il pittore e gli osservanti della chiesa di Montesanto per dipingervi una pala d'altare, una Incoronazione della Vergine (Todi, Museo civico), che, come risulta dai pagamenti, era in avanzato corso d'opera alla fine del 1508 e ormai completa nel 1511. La commissione segnò l'inizio di relazioni piuttosto stabili con questa città, dove proprio nel 1511 G. risultava abitare e costituire una società per commerciare in mercerie e dove, stando ai documenti, continuò a prestare la propria opera di pittore fino al 1516. Oltre alla pala di Montesanto, G. lavorò a S. Maria della Consolazione (1508) e, nel duomo dove affrescò diverse cappelle (1513, 1515) e decorò e dipinse l'organo (1516) di cui rimangono due tavole con S. Pietro e S. Paolo (Todi, Pinacoteca comunale).

Nell'accordo sottoscritto per l'Incoronazione della Vergine di Montesanto si richiede espressamente che sia dipinta "ad istar et similitudinem tabule facte in ecclesia Sancti Hyeronimi de Narnia" (Gualdi Sabatini, 1984, p. 366). I committenti indicano quindi un modello preciso, quello dipinto da Domenico Ghirlandaio, Domenico Bigordi, nel 1486 per gli osservanti di Narni. L'opera (Narni, Pinacoteca comunale) era infatti diventata un riferimento quasi obbligato per l'Osservanza francescana in Umbria (Scarpellini), come è testimoniato da due pale perugine molto vicine per cronologia: quella per S. Francesco al Monte (Perugia), allogata al Vannucci nel 1502 e portata a termine attorno al 1504-05, e la pala di Monteluce, commissionata nel 1505 a Raffaello, che secondo le clausole contrattuali avrebbe dovuto attenersi al dipinto ternano del Ghirlandaio. A confronto e come ulteriore esempio di adesione al prototipo del Ghirlandaio, può essere anche ricordata l'ancona di S. Maria della Fratta a Umbertide, dipinta dal Pinturicchio e da Giambattista Caporali tra il 1503 e il 1505. Tuttavia, rispetto agli esempi citati, che variano e aggiornano il prototipo, l'Incoronazione di G. ripropone lo schema del Ghirlandaio con palmare fedeltà, rinunciando quasi - come emergerà anche in opere più tarde - ad innovazioni e alla messa a punto di uno stile personale che cede e si adatta all'autorità di modelli noti e riconoscibili.

Intorno alla metà del secondo decennio del Cinquecento la carriera di G. è ormai molto ben avviata; le commissioni si moltiplicano soprattutto nei centri dell'Umbria meridionale, quali Trevi e Spoleto. La lunetta con la Vergine in gloria con i ss. Girolamo, Giovanni Battista, Francesco e Antonio da Padova nella chiesa di S. Martino a Trevi è datata 1512 e va indubitabilmente assegnata alla mano di G. su base stilistica; l'affresco è molto vicino alla Stigmatizzazione di s. Francesco dipinta sulla facciata di S. Francesco al Monte (Perugia, ora nella Galleria nazionale). Il dipinto costituisce quindi il nesso più evidente, per l'impianto ampio e disteso, per l'articolazione del paesaggio, tra la fase perugina e le opere successive, cui si agganciano i quattro santi adoranti. Ma le imprese più importanti sono quelle assisiati. Il 18 genn. 1516 G. si impegnava a eseguire per un compenso di 100 fiorini una tavola, Madonna con il Bambino, angeli e santi (Assisi, Museo della Basilica di S. Francesco) destinata alla cappella di S. Caterina della basilica inferiore di S. Francesco, opera che doveva consegnare nel giugno di quell'anno e che in effetti completò solo con una lievissima dilazione: sulla tavola si legge "MDXVI XV IULII". Il dipinto fu poi visto da Vasari che lo ricorda nelle Vite (pp. 594 s.) insieme con altre opere assisiati: "ed in Ascesi dipinse la tavola della cappella di Santa Caterina nella chiesa di sotto di San Francesco […]. In Santa Maria degli Angeli dipinse nella cappella piccola, dove morì San Francesco, alcune mezze figure grandi quanto il naturale; cioè, alcuni compagni di San Francesco, ed altri Santi molto vivaci". A questo elenco va aggiunta la piccola pala d'altare per S. Damiano, ricordata da Ludovico da Pietralunga, dipinto che andò disperso nel 1792.

La sacra conversazione per la cappella di S. Caterina è contrassegnata dal perfetto equilibrio compositivo nei due gruppi di santi simmetricamente disposti ai lati del monumentale trono, dove siede la Vergine con il Bambino. Evidentissima l'eco raffaellesca delle pale Ansidei e Colonna, opere che costituiscono un modello e un riferimento per questa felice fase creativa. Il disegno levigato dell'ovale di s. Caterina o della Vergine, i volti ispirati e intensi dei santi francescani interpretano l'esempio all'insegna di misura e ponderazione e di un colorito fuso e dolce.

Vicinissima alla tavola assisiate è la Madonna con il Bambino tra i ss. Girolamo, Niccolò da Tolentino, Caterina e Brizio commissionata da Pietro Ridolfi che fu governatore di Spoleto dal 1514 al 1516 (Spoleto, Pinacoteca comunale, già nella Rocca); lo dimostrano sia l'impianto generale della composizione, sia la s. Caterina che ripropone in controparte la santa omonima della tavola per S. Francesco. I Compagni di s. Francesco affrescati nella cappella del Transito (Assisi, S. Maria degli Angeli) non sono attestati nella documentazione rimasta, ma sono cronologicamente molto vicini alla pala per la cappella di S. Caterina. Nelle diverse figure si riscontra una ricerca di individuazione di tipi e caratteri che fanno quasi pensare a un intento ritrattistico non molto distante da analoghe soluzioni messe in opera dal Perugino nel Collegio del cambio.

Lo stile calibrato e composto di queste opere contribuì in modo decisivo alla fortuna critica di G., prima grazie al ricordo di Vasari e poi nell'Ottocento attraverso i pittori nazareni che, come è noto, visitarono e anche lavorarono ad Assisi e che furono in rapporto con storici dell'arte quali K.F. von Rumohr e J.D. Passavant. G. fu molto osservato, tra gli altri, da F. Overbeck, da J. Schnorr von Carolsfeld e da E.J. von Steinle assurgendo così ad alta considerazione.

Il 7 dic. 1516 gli venne concessa la cittadinanza spoletina; ma G. doveva risiedere in quella città già da diversi anni visto che nel verbale della votazione si legge: "in hac civitate plurimos annos degens" (Gualdi Sabatini, 1984, p. 376). Si trattò quindi dell'atto finale nel processo di integrazione nella vita civica avviato da tempo: la Natività di Berlino, che gli era stata commissionata dallo spoletino Ancaiano Ancaiani per l'abbazia di Ferentillo, è anteriore al 1503; mentre nel 1512 risulta lavorare nella vicina Trevi. Il 31 ag. 1517 fu nominato capitano dell'arte dei pittori e degli orefici, carica che gli venne di nuovo affidata nell'agosto 1520, confermando anche sul piano ufficiale il ruolo di caposcuola che gli veniva ormai riconosciuto. Dal 1516 in poi la sua attività è attestata a Spoleto e nei centri circostanti, sia su base documentaria, sia attraverso un nutrito gruppo di opere nelle quali traspare la presenza di aiuti e l'attività di una bottega che ne aveva assimilato la maniera, anche se non sempre la qualità di esecuzione è all'altezza di quella del maestro. Tra le opere più significative che G. ha lasciato in città insieme con la MadonnaRidolfi si devono ricordare le Virtù dipinte anch'esse per la Rocca, staccate nel 1824 e ricomposte in un monumento dedicato a Leone XII (Pinacoteca comunale). La disposizione e l'iconografia delle tre figure allegoriche, la Giustizia in alto, con ai lati Carità e Clemenza, suggeriscono una loro destinazione a un ambiente con funzioni giudiziarie. Nella Carità, concepita secondo una composizione ruotante, e nella Clemenza, caratterizzata dallo scorcio che conferisce efficacia retorica a gesti e posture, si riflettono soluzioni elaborate da Raffaello negli anni romani, suggerendo così, come propone Toscano, una cronologia abbastanza avanti nel tempo. Nel 1518 si impegnava ad affrescare la cappella di S. Francesco nella chiesa di S. Maria delle Lacrime (Trevi), impresa che fu al centro di una complicata vertenza giudiziaria che contrappose gli eredi del committente, Bartolomeo da Trevi, e gli agostiniani che officiavano quella chiesa.

La decorazione pittorica fu portata a termine entro il giugno 1520, quando G. ricevette 14 fiorini a saldo dei 50 pattuiti. Evidenti ricordi di Raffaello si ritrovano nell'intera decorazione: nella Gloria di s. Agostino l'angelo che regge il libro con la regola è desunto da una volta della stanza della Segnatura; così nel Seppellimento di Cristo (registro inferiore), tema scelto evidentemente in relazione alla funzione funeraria del sacello, il ricordo della Pala Baglioni (1507, allora a Perugia) è palese; l'impianto compositivo è semplificato e depurato da tutti quegli elementi manieristi riconoscibili nel capolavoro raffaellesco. Tuttavia, a confronto con la Madonna Ridolfi o con le opere assisiati, la composizione è meno serrata e le figure si caricano di tratti espressivi che ne incrinano l'equilibrio.

A Spoleto il 10 luglio 1522 sottoscrisse un contratto con i minori osservanti di Trevi con i quali si impegnava a eseguire una pala d'altare. Si tratta dell'Incoronazione della Vergine (Trevi, Museo civico) replica con varianti minime (tra le quali si nota una veduta del sacro convento di Assisi) di quella di Todi, a sua volta derivata dal prototipo del Ghirlandaio, replica nella quale non si possono non notare semplificazioni e una esecuzione meno attenta che ne evidenzia gli ampi interventi di aiuti. Sempre in questi anni G., insieme con la bottega lavorò in Valnerina: nella chiesa di S. Michele Arcangelo a Gavelli, ove vi sono affreschi datati 1518 e 1523; a Visso nella chiesa di S. Agostino; a Scheggino, dove, infine nel 1526 sottoscrisse il contratto per la decorazione della tribuna della chiesa di S. Niccolò per la quale gli furono offerti 150 fiorini. Insieme con la bottega dipinse un'Incoronazione della Vergine prendendo a modello quella eseguita da Filippo Lippi per il duomo di Spoleto. Tra l'ottobre e il dicembre del 1525 ritornò a Todi, dove diversi pagamenti ne attestano l'attività nel duomo per la cappella di Clarice. A partire dal settembre 1526 fu impegnato nella decorazione della chiesa eponima a San Giacomo di Spoleto; qui affrescò l'abside, probabilmente completata alla fine del 1527, e l'anno successivo vi decorò la cappella di S. Sebastiano. In questi stessi anni si dovrebbero collocare gli affreschi di S. Ansano a Spoleto.

Nelle absidi di Gavelli e di San Giacomo l'Incoronazione della Vergine è esemplata in maniera del tutto palmare su quella dipinta da Filippo Lippi per la cattedrale di Spoleto tra il 1467 e il 1469. Come nei casi di Todi e di Trevi, fu la committenza a richiedere e imporre un modello che venne accettato da G. anche se si trattava di un'opera che datava ormai più di mezzo secolo; tale consuetudine - da cui traspare una gerarchia e un valore religioso e civico attribuito a determinate immagini - continuò in ambito spoletino anche dopo la morte di G.: Giovanni da Spoleto, Vincenzo Tamagni (Arrone) e Iacopo Siculo (Vallo di Nera) riproposero la composizione del carmelitano fiorentino.

G. dovette morire nei primi giorni di ottobre del 1528 poiché una carta dell'Archivio capitolare di Spoleto attesta che il giorno 9 di quel mese vennero ricevuti i ceri per la cerimonia funebre: "die 9 octobris, havemmo per la morte dello Spagna pictore quatro torcie" (Gualdi Sabatini, 1984, p. 395).

Altri pagamenti per l'ultima opera seguirono negli anni immediatamente successivi e furono riscossi dalla vedova Santina Capodiferro e dal pittore assisiate Dono Doni che completò la decorazione pittorica di San Giacomo di Spoleto.

Doni fu il seguace più noto, ma non il solo a raccoglierne il testimone. G. lasciò a Spoleto una nutrita bottega, un gruppo di pittori tra i quali vanno ricordati Giovanni Brunotti e Isidoro di ser Moscato, che collaboravano già nel 1512; Giacomo di Giovannofrio Iucciaroni (1483-1524 circa) attivo in Valnerina e che nel 1515 replicò la Natività della Spineta (Spoleto, Museo civico); Piermarino di Giacomo che nel 1533 terminò gli affreschi di Scheggino.

Anche Giovanni da Spoleto, in passato confuso con lo stesso G., e Vincenzo Tamagni mostrano negli affreschi della cappella Eroli (Spoleto, duomo) un rapporto con G. aggiornato alle ultime esperienze romane di Raffaello e di Baldassarre Peruzzi. Lo stesso Iacopo Siculo, pittore che approdò a Spoleto attorno al 1530 e che in precedenza aveva avuto modo di formarsi a Roma, risente dell'opera di G., come si evince dall'Incoronazione della Vergine di Norcia (1541), nella quale l'antico esempio del Ghirlandaio è filtrato attraverso la pala di Trevi.

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Magliani, ibid., II, pp. 844 s.; F. Sricchia Santoro, Per Giovanni da Spoleto, in Prospettiva, LIII-LVI (1988-89), pp. 344-352; F. Todini, La pittura umbra dal Duecento al primo Cinquecento, Milano 1989, I, pp. 313-317; II, pp. 601-608; P. Scarpellini, Per la storia della storiografia artistica in area ternana, in Dall'Albornoz all'età dei Borgia. Questioni di cultura figurativa nell'Umbria meridionale, a cura di G. Antonucci, Todi 1990, pp. 41-54; R. Cordella, Nuovi dati su alcuni pittori della Valnerina nel secondo '400, ibid., pp. 207-247; C. Pietrangeli, Memorie spoletine a Roma II, in Spoletium, XXXIV-XXXV (1990), pp. 146-151; R. Quirino, Piermatteo Gigli e il suo compagno: aspetti della cultura spoletina post-spagnesca, ibid., XXXVI-XXXVII (1992), pp. 62-71; C. Pietrangeli, Opere di provenienza tuderte nei Musei Vaticani, Todi 1993, ad indicem; G. Testa, in C. Bon - V. Garibaldi, Dipinti, sculture e ceramiche della Galleria nazionale dell'Umbria. 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Vedi anche
abside architettura   ● Struttura architettonica a pianta semicircolare, sulla quale si imposta una volta a calotta semisferica (catino), utilizzata come motivo di articolazione spaziale interna ed esterna di un ambiente (talora con funzione di contrafforte); può presentarsi anche con andamento poligonale, ... Perugia Comune dell’Umbria (449,9 km2 con 163.287 ab. nel 2008), capoluogo provinciale e regionale. È posta su un colle a 493 m s.l.m. nella Valle Tiberina, presso l’incrocio di importanti vie di comunicazione, che la collegano con il Lazio e l’Emilia attraverso la valle del Tevere, con la Toscana (Val di Chiana) ... arte In senso lato, ogni capacità di agire o di produrre, basata su un particolare complesso di regole e di esperienze conoscitive e tecniche, quindi anche l’insieme delle regole e dei procedimenti per svolgere un’attività umana in vista di determinati risultati.  ● Il concetto di arte come tèchne, complesso ... organo Strumento musicale ad aria, costituito da una serie di canne in cui viene immessa, per mezzo di un mantice o altro meccanismo, aria che le fa vibrare, con un’emissione di suoni regolata da tastiere e pedaliera; attraverso il somiere (una cassa di legno) l’aria trova un regolato adito alle canne (v. fig.). ...
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